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Gioie e dolori del docente digitale

Gioie e dolori del docente digitale

17 Ottobre 2015 Flavia Giannoli
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Flavia Giannoli
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Insegnare nella Scuola Digitale per Competenze richiede competenza tecnologica, ma soprattutto competenza didattica, conoscenza dei nuclei fondanti della propria disciplina, capacità di creare percorsi formativi flessibili ed efficaci, capacità di coinvolgere gli studenti nelle attività didattiche in classe affinché si creino i presupposti per l’apprendimento costruttivista, il cooperative learning e lo sviluppo delle competenze trasversali oltre a quelle disciplinari.

L'articolo è stato scritto da Flavia Giannoli - Docente  Formatore e-mail: flavia.giannoli@gmail.com 


 

 

Il docente diviene accompagnatore e tutor di riferimento, senza mai delegare la responsabilità delle scelte formative alla base della progettazione didattica dei percorsi di apprendimento. Non è poco, né ciò è semplice da realizzare. Inoltre, non sempre studenti e famiglie apprezzano il cambiamento dalla didattica frontale: incredibile, ma vero! Uscire dal bozzolo rassicurante del “si è sempre fatto così” non è facile per nessuno: docenti, studenti, genitori, dirigenti.

 

La formazione è cambiata: cambiamo la formazione

Per indagare su come cambino le necessità formative è utile partire dalle classiche cinque domande dei giornalisti:

 

Cosa insegnare? Competenze disciplinari ed interdisciplinari: al grido di “lo chiede l’Europa” (o il mondo) ormai tutti i Dipartimenti nazionali di formazione puntano sulla trasversalità degli apprendimenti e cercano di adeguare le indicazioni nazionali ed i curricula disciplinari alla didattica per competenze, in ottemperanza alle richieste europee per il 2020, dopo il fallimento dei traguardi previsti per il 2010 dalle indicazioni di Lisbona del 2006.

Chi insegna? il docente digitale, l’insegnante 2.0 .

Chi apprende? Il nativo digitale, che tuttavia non sempre è così “digitale”: sono in atto molte discussioni fra critici (per favore non chiamateli nativi digitali) ed entusiasti. In realtà molti ragazzi, anche delle superiori, sanno ben utilizzare gli smartphone per chattare, fare foto e leggere la posta ( i social sono un po’ in declino), ma se si chiede loro di documentarsi in internet o muoversi in ambienti di apprendimento organizzati trovano difficoltà anche solo ad accedere.

Quando? Dove? Anytime & Anywhere!  Non si può prescindere dall’ampliamento spazio-temporale delle opportunità, modalità e risorse di apprendimento che la tecnologia e la rete mettono a disposizione.

Perché? Per essere cittadini del mondo, in una società globalizzata e tecnologicamente avanzata.

La didattica non può più limitarsi allo svolgimento del “programma” ministeriale sul libro di testo in adozione.  La didattica diviene una metodologia progettuale, una metodologia per formare i giovani alla resilienza, alla capacità di interagire sempre più consapevolmente ed efficacemente con la complessità del mondo esterno e di reagire alle sue sollecitazioni, non sempre positive. Occorre formare alla capacità di resilienza in un ambiente di apprendimento nel quale si trovi spazio per la creatività e l’interazione fra pari per lo sviluppo consapevole dell’apprendimento personale; un ambiente rispettoso ed etico nel quale si possa lavorare con un pizzico di allegria e dove sia favorito lo sviluppo dello spirito di iniziativa e l’indipendenza.

Utilizzare le tecnologie non basta

Sono decisamente scettica se qualcuno propone le tecnologie come panacea per risolvere tutti i problemi. Le tecnologie sono solo strumenti: sono mezzi e non fini. 

Non è la tecnologia a fare la scuola delle competenze.  “Prima” si scriveva rielaborando i contenuti, “dopo” si millanta per miglioramento dell’apprendimento il fare una  foto al contenuto della lavagna. Si noti come nella foto la classe è frontale sia “prima” che “dopo”: quale è dunque il cambiamento?

Grande cambiamento? No di certo! 

La didattica e l’apprendimento cambiano solo cambiando radicalmente il modo di fare lezione. Le tecnologie vanno utilizzate esattamente come si fa con i codici (code) in una buona codificazione (coding): la codificazione è realizzata dalla creatività del programmatore, che la sviluppa a partire dalla peculiarità del codice stesso, allo scopo di raggiungere gli obiettivi e/o funzionalità richiesti. Saper utilizzare bene le tecnologie è importante, ma solo per sfruttarne adeguatamente le potenzialità per raggiungere più facilmente gli scopi prefissati e semplificarsi la vita. (cfr. Intervista: Tecnofila, tecnofoba ed anche un po’ tecnoscettica ) .

Individuare l’essenziale per comprendere la complessità

Nella scuola digitale è necessario individuare l’essenziale, partire dai nuclei fondanti disciplinari e dalle competenze di cittadinanza da sviluppare per portare gli studenti a comprendere la complessità, facendo uso delle tecnologie più adeguate ai diversi casi:

  • Concentrarsi sul contenuto
  • Pedagogia della padronanza
  • Cambiare le abitudini
  • Problem solving in aula
  • Gioco e sviluppo della creatività

(Salman Kan – La scuola in rete, 2012)

I metodi della didattica attiva, la flipped classroom, l’Innovative Design dei percorsi formativi (http://www.innovazioneinclasse.it/ ) il costruttivismo, l’apprendimento cooperativo per la costruzione collaborativa della conoscenza cambiano alla radice il modo di fare scuola: i banchi si girano, i ragazzi si guardano negli occhi ed interagiscono tra loro seguendo le attività volte al raggiungimento degli obiettivi cognitivi progettate per loro dai docenti. Meglio se progettate in modo collegiale dai Consigli di Classe per assicurare la trasversalità degli apprendimenti disciplinari e potenziare le competenze di cittadinanza mediante prove autentiche, cioè compiti complessi articolati in aspetti plurimi.

Interessante la statua della foto:  con la luce non si capisce, ma al buio prende significato!

Il significato dell’Insegnamento è accompagnare gli studenti alla soglia della propria mente, perché scoprano in sè la conoscenza, la gioia di imparare ad imparare, acquistino competenze nuove e personali per risolvere problemi. 

Uscire dalla “zona di comfort”

Ogni apprendimento ha come presupposto il cambiamento, per fare spazio all’acquisizione di nuove abilità e conoscenze. La crescita richiede apertura al nuovo e la voglia di mettersi in gioco: rimanere entro la zona di comfort delle sicurezze acquisite non è sempre positivo. La Società liquida richiede una formazione adeguata a richieste sempre più complesse e pressanti; di conseguenza la Scuola liquida richiede a docenti, studenti e famiglie lo sviluppo di capacità reattive adeguate a tale complessità.

Alla base dell’uscita dalla “zona di comfort” per tutti i protagonisti della Scuola liquida ci sono la condivisione e l’informazione, le nuove metodologie e la tecnologia, la fiducia nei docenti innovatori, l’accettazione del rischio della sperimentazione di nuove forme di apprendimento, il considerare l’utilizzo delle risorse digitali e della Rete come una valore aggiunto e non come un pericolo.

Genitori (e docenti) spesso sono restii a dare fiducia ai ragazzi che apprendono ed a lasciare spazio allo spirito di iniziativa e creatività: sicuramente non è usuale a scuola procedere senza incanalare l’azione didattica sulle ricette preconfezionate, legate solo al “programma” ed all’utilizzo del libro di testo. Spesso sono gli studenti stessi a chiedere “Prof. ci dice esattamente tutti i passaggi per fare l’esercizio?” oppure (peggio!): “Prof, ma lei come vuole che le ripetiamo questo concetto?” E’ un gap da superare.

Le tecnologie sono risorse preziose per lasciare più spazio all’autonomia dei studenti. Le attività sono progettate e si svolgono in un ambiente “protetto” tramite le indicazioni e le consegne che vengono assegnate. I ragazzi gradiscono ed imparano facilmente l’utilizzo delle tecnologie e ciò dà loro una maggior fiducia in se stessi anche per quanto riguarda la capacità di elaborazione degli argomenti disciplinari. Spesso si crea una sorta di effetto “alone” anche per argomenti trattati in maniera più tradizionale, che comunque vengono studiati ed assimilati con più facilità di prima.

Chi ha paura della tecnologia cattiva?

Purtroppo l’atteggiamento di alcuni genitori verso la tecnologia può divenire un punto critico.

Molti di loro sono piuttosto indifferenti all'educazione alla presenza su internet dei figli. Ciò è grave perché evidenzia il fatto che non si comprende che il mondo virtuale affianca sempre più quello reale e non è opportuno lasciare i ragazzi da soli in rete.

Altri genitori pensano addirittura che sia meglio tener fuori i figli dai pericoli e vietano d’autorità l'accesso! come se i ragazzi non navighino con gli smartphone dove vogliono e quando vogliono. E' un argomento piuttosto importante e delicato, che merita sicuramente approfondimento: non è a caso che l'Europa punti sulle competenze tecnologiche: usare internet per informarsi e formarsi è sicuramente una priorità per diventare cittadini consapevoli e responsabili.

A volte a scuola si può creare dissenso verso i "metodi" dell’insegnante innovatore (consistenti anche solo nell’utilizzare una mailing list per l’assegnazione di alcuni compiti o fornire link a risorse o filmati da vedere a casa) perché si sostiene che "disorientano i ragazzi". Altre volte accade che i ragazzi stessi facilmente adducano generici “problemi di connessione” per giustificare la propria mancanza di puntualità nelle consegne o nello svolgimento dei compiti assegnati. Per lavorare con le tecnologie è necessaria una buona misura, colma e pigiata, di senso di responsabilità.

E' quindi opportuno condividere le scelte ed avere ampi consensi, prima di proporre a tutta una classe qualcosa del genere. Meglio se ciò è accompagnato da una condivisione con tutto il consiglio di classe, ove possibile, e dal beneplacito della Presidenza. 

L’azione sinergica è importante

C’è da sottolineare come la solitudine spesso accompagni i docenti innovatori.

Purtroppo l’atteggiamento tecnofobo è ancora molto diffuso negli ambienti scolastici. Molti docenti in servizio da anni si scoraggiano davanti al “tempo in più” che tale utilizzo richiede. Non a torto, visto che l’aggiornamento professionale non è riconosciuto, a meno di non seguire costosi master universitari in cambio di crediti.

Non sempre nel proprio istituto i docenti più aggiornati trovano attivate modalità operative e procedure scolastiche che favoriscano l’innovazione. Se ciò si unisce ai molti problemi tecnici strutturali, di mancanza di esperti tecnici di laboratorio, di mancanza di connessione adeguata, il risultato può divenire scoraggiante.

Chissà se la “buona scuola” e l’anno che viene non porterà veramente incentivi ed incoraggiamento a chi da anni si batte per l’innovazione e l’adeguamento della didattica alle richieste formative necessarie per imparare a vivere e lavorare nel XXI secolo?

Con questo augurio saluto i tanti docenti 2.0, digitali, innovativi, instancabili ed appassionati del proprio lavoro!

 

 

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