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Un tablet per ogni studente. Come se fosse solo questo il problema….

Un tablet per ogni studente. Come se fosse solo questo il problema….

17 Ottobre 2015 Redazione SoloTablet
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L’anno scolastico 2013-2014 si presenta con budget ridotti all’osso e l’attenzione rivolta a problemi più importanti come posto di lavoro e sopravvivenza di istituti scolastici e facoltà. Tutti sono alla ricerca di investimenti tecnologici ma pochi hanno le idee chiare su cosa farne nel caso in cui diventassero disponibili.

A guardarla bene la scuola italiana non è molto diversa dalla situazione generale del paese Italia. Lo sforzo verso la modernizzazione, attraverso strumenti multimediali e a misura delle nuove generazioni di nativi digitali e generazioni touch, viene comunicato e confermato a giorni alterni. Ma poi nella realtà questo sforzo non è mai adeguatamente supportato da sufficienti risorse finanziarie e, quando lo sono, l’investimento non è mai capillare e strutturale ma provvisorio e improvvisato.

Le cose non vanno bene al sud (scontato) come al centro-nord (meno scontato ma reale). In queste condizioni sembra complicato, se non addirittura impossibile, fare investimenti innovando e puntando sulla tecnologia per farlo. Senza contare che l’investimento da fare non è limitato all’acquisto delle componenti hardware e software necessarie ma deve comprendere la formazione a docenti ed operatori scolastici e predisporre il supporto adeguato alle classi e alle scuole. Hardware, software e infrastrutture di rete sono solo gli elementi utili a gettare le basi di una architettura tecnologica scolastica senza la quale non si può neppure iniziare. Poi viene tutto il resto, ciò che veramente conta e costa.

Un recente studio Ocse  ha sottolineato il ritardo dell’Italia per quanto riguarda le dotazioni multimediali e l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: “Un piano ben strutturato" ma "con pesanti vincoli di bilancio”, lanciato nel 2007 e ancora non entrato a pieno regime.

La criticità forse maggiore, in un paese tecnologicamente (cultura della tecnologia) arretrato come il nostro , dipende dalla necessità di impostare e implementare adeguati percorsi formativi capaci di formare. ma soprattutto di coinvolgere e motivare gli insegnanti.

La motivazione è essenziale perché non si tratta solamente di apprendere l’uso di un nuovo dispositivo, il tablet, ma di mettere in discussione e ripensare le forme e i metodi della didattica frontale fino ad oggi praticata. Cambia la didattica ma cambiano soprattutto le modalità di apprendimento dei discenti. Il cambiamento della prima passa necessariamente attraverso la sperimentazione in aula e dalla esplorazione delle potenzialità e opportunità delle nuove tecnologie nell’apprendimento.

Se la formazione del corpo docente è l’ostacolo maggiore ad una vera innovazione (troppo costoso e complicato), che dire della obsolescenza, in molti casi assenza, dell’equipaggiamento tecnologico necessario a poter almeno partire?

Difficile fare gli innovatori o disegnare rivoluzioni tecnologiche quando le scuole sono magazzini di personal computer, laptop e dispositivi di memoria  palenteologici e inutilizzabili con tutte le novità tecnologiche  emerse negli ultimi tre anni. Ogni scuola dovrebbe essere una piccola centralina wireless, quante lo sono veramente? Tutti gli insegnanti dovrebbero essere dotati di un laptop  di un tablet, quanti possono sperare di averne uno decente e a breve? Tutti gli studenti dovrebbero poter sperimentare aule tecnologicamente ‘dotate’, quante sono quelle attrezzate nella realtà?

Nei casi, limitati, di eccellenza,  caratterizzati dalla presenza di una rete wireless e di dispositivi tecnologici per tutti, il problema diventa un altro, cosa fare con la tecnologia in dotazione. Le nuove tecnologie non sono infatti un fine di per sé  ma un semplice strumento ed una risorsa, un mezzo per arrivare ad un fine fatto di efficacia ed efficienza nella didattica e nell’apprendimento, di collaborazione, interazione, ricerca e partecipazione. La risorsa tecnologica è innanzitutto un’opportunità grande di innovazione e di sperimentazione. Poi può diventare uno strumento sofisticato per nuovi approcci didattici capaci di cambiare la relazione e il dialogo tra insegnanti e studenti e degli studenti tra di loro, nella stessa classe ma anche in giro per il mondo.

Le sperimentazioni servono anche per realizzare progetti finalizzati alla introduzione dei dispositivi mobili e dei tablet nelle scuole. In alcune scuole i dispositivi sono stati fatti acquistare dalle famiglie, in altre sono stati affittati, in altre ancora si sono trovate formule di project financing in collaborazione con i vendor, in altre ancora i device sono stati regalati agli studenti che hanno dimostrato doti particolari nel loro utilizzo a scopi formativi.

"A distanza di un anno dalla sua indizione, l’iter del concorso scuola 2012 è di fatto concluso: il Consiglio dei Ministri ha ufficializzato l’ok alle 11.2628 nuove assunzioni di insegnanti, più 672 dirigenti."

Il ritardo accumulato dalla scuola italiana non è più accettabile e sta facendo emergere nuove istanze di cambiamento destinate a modificare o a rivoluzionare lo stato corrente. Sbaglia chi fa finta di nulla ma anche chi non comprende che il cambiamento più importante è avvenuto nella mente dei ragazzi che frequentano le nostre scuole.

Se la scuola non introdurrà le nuove tecnologie in classe, saranno i ragazzi ad imporle con le loro scelte e le loro preferenze in termini di dispositivi, software e modi di utilizzarli. Un po’ come avviene nelle aziende con il fenomeno BYOD. Con la differenza che la gestione BYOD a scuola è molto più complicata di quella in azienda. Nella scuola infatti i dispositivi devono essere usati per pratiche molto più complicate e importanti quali quelle della maturazione cognitiva e dell’apprendimento di nuova conoscenza e di nuove forme di didattica.

A praticare il BYOD è anche una nuova generazione di insegnanti pragmatici (learning by doing) e impazienti ( non si può più aspettare!) che, pur non conoscendo come applicare le nuove tecnologie alla didattica, hanno comunque deciso la via della sperimentazione e della innovazione.

Fortunatamente la situazione non è sempre drammatica e anche l’Italia può trarre vantaggio da progetti e investimenti internazionali. Uno di questi, denominato Smart Future, è finanziato da Samsung ed è finalizzato a favorire la digitalizzazione dell’istruzione a partire da un processo di formazione indirizzato in primis agli insegnanti, quindi agli studenti e alle loro famiglie. Il progetto Smart Future impegnerà esperti autorevoli e porterà alla creazione di classi digitali in 300 scuole italiane nel periodo 2013-2015. I progressi saranno monitorati e i risultati verificati in modo da certificare la validità e rigorosità del progetto.

A settembre il progetto prevede la partenza di un roadshow che  coinvolgerà sette regioni italiane con sessioni dimostrative nelle scuole finalizzate a spiegare come possono cambiare didattica e apprendimento con le nuove tecnologie. Infine il progetto prevede anche la costituzione, preso la Università Cattolica di Milano, di un osservatorio sui media digitali a scuola che si occuperà di svolgere un’indagine con questionari, osservazione dei partecipanti, interviste e focus group e farà il punto sulla digitalizzazione della scuola italiana, monitorerà l’impatto delle nuove tecnologie sul processo di apprendimento, sulla formazione degli insegnanti e sui percorsi didattici rivolti agli studenti.

Sarà sufficiente? La risposta è no! Se si vuole essere onesti e fare un benchmarking con quanto avviene in altri paesi come UK, Olanda e Francia.

 

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