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La tecnologia oggi è al servizio delle pulsioni dell’uomo consumista occidentale (Luca Ariostini)

La tecnologia oggi è al servizio delle pulsioni dell’uomo consumista occidentale (Luca Ariostini)

02 Aprile 2017 Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
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Il capitalismo ha scientificamente annebbiato le masse a tal punto che queste non saprebbero nemmeno immaginare quale uso fare della tecnologia diverso da quello volto all’intrattenimento o al consumismo. I fatti confermano che lo sviluppo tecnologico digitale degli ultimi 20 anni è stato incanalato quasi esclusivamente nella fruizione di esperienze ludiche o di intrattenimento. Più della metà dei dati scambiati sulle infrastrutture di rete mondiali ha a che fare con la pornografia. Contra factum non valet argumentum. Ci avviamo verso il mondo preconizzato da Marx: lavoreremo poche ore alla settimana in cambio di accesso all'intrattenimento personale, che sarà dato dalla realtà virtuale anziché dalla pittura.

Carlo Mazzucchelli  intervista Luca Ariostini per Conversazioni di Filosofia, che ringrazia per il prezioso contributo

Sei filosofo, sociologo, piscologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero?                                           .

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori.

Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.

 

Secondo il filosofo Slavoj Zizek viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?

La maggior parte delle riflessioni sui futuri sviluppi della civiltà occidentale – tra cui quella di Zizek – viene   oggi operata sulla base di processi induttivi, sia che tali riflessioni rientrino nella corrente ottimista – primi fra tutti i sostenitori della singolarità tecnologica – sia che tali riflessioni rientrino nella corrente pessimista o catastrofista.

L’analisi filosofica può invece parlare del futuro solo qualora individui nel presente una dialettica tale da anticipare gli sviluppi degli stadi storici successivi.

A tale scopo è fondamentale distinguere l’esistenza di “contraddizioni" dall’esistenza di “conflitti”, cioè dall’esistenza di contrasti tra volontà antagoniste.
Questo distinguo è essenziale perché  non è possibile anticipare l’esito di un conflitto né tantomeno quantificarlo temporalmente, mentre è possibile prevedere  lo sviluppo che una certa contraddizione dovrà seguire per essere superata.

Tenendo ben ferma l’anzidetta distinzione tra contraddizione e conflitto, nell’epoca presente si sente ripetere che il capitalismo si avvia alla sua fine; e il rapporto tra capitalismo e tecnica viene fatto valere appunto come manifestazione di una contraddizione. Ma è davvero così?

Di seguito si cercherà di indicare brevemente che:

  1. Il rapporto tra capitalismo e tecnica può essere posto come contraddittorio – e non semplicemente conflittuale –solo qualora ci si mantenga all’interno di un ingenuo presupposto materialistico.In altri termini, se il presupposto materialistico è falso, tra capitalismo e tecnica non sussiste di fatto alcuna contraddizione.
  2. Tra capitalismo e tecnica non sussiste contraddizione, bensì semplice conflitto contingente: e questo è verificato (non falsificato) dai fatti disponibili.

Si ricordi che sbagliare su questa impostazione preliminare comporta emettere delle previsioni che poi non si avverano; il caso del marxismo scientifico e di Keynes ne sono casi emblematici.

Semplificando al massimo grado, diremo che il capitalismo è un complesso di procedure, direttamente o indirettamente economiche, in cui il fine vitale degli attori è la massimizzazione del profitto.

Affinché questo possa accadere, la produzione di beni e di servizi deve avvenire necessariamente almeno secondo un requisito essenziale alla perpetuazione del sistema produttivo: mantenere progressivamente gli attori (dalla manovalanza all’imprenditore) in condizioni di relativa scarsità, altrimenti questi non avrebbero incentivi a prendere parte al gioco produttivo; se infatti si rendessero disponibili vitto, alloggio, energia e intrattenimento in cambio di un bicchiere d’acqua, il 90 % della popolazione non si presenterebbe al lavoro il giorno successivo.

La conseguenza di questo requisito essenziale è che la fornitura di servizi e di prodotti  erogati dal capitalismo non configurano il più efficiente dei mondi possibili; in altri termini, esiste necessariamente un mondo possibile in cui noi potremmo almeno disporre degli stessi beni lavorando meno o danneggiando meno l’ambiente o subendo minori livelli di stress etc.

Osservare che il marxismo abbia costruito la sua fortuna su un truismo del genere ci porterebbe lontano dallo scopo della presente intervista.

Ora, poiché la tecnica – per stare alla solida analisi di Emanuele Severino – ha come scopo intrinseco il potenziamento indefinito delle proprie capacità, ne deriverebbe che le tecnica spinge per un aumento dell’efficienza e un conseguente diminuzione della scarsità delle risorse.

Proprio sulla scia di tale argomento – in analisi filosofiche rigorose come quella del Severino – si intravede una contraddizione: da una parte la tecnica mina la anzidetta condizione di scarsità, dall’altra il capitalismo ha necessità di perpetuarla. La contraddizione starebbe appunto nel fatto che il capitalismo da una parte è costretto ad usare la tecnica come un mezzo per massimizzare i profitti e produrre merci, ma dall’altra si servirebbe di un mezzo (la tecnica) che ha uno scopo intrinseco divergente, e che pertanto tenderà a disarcionarlo.

Ma questa è davvero una contraddizione?  Esiste davvero questa dinamica contraddittoria?

Se evitiamo di personificare surrettiziamente la Tecnica come un’entità astratta, dotata di intelligenza propria come le intelligenze angeliche rinascimentali, la contraddizione non si pone.

E non si pone appunto perché un mezzo – a meno che non si tratti di un soggetto intelligente utilizzato come mezzo (uno schiavo o un impiegato) –, non può avere uno scopo intrinseco; la presenza di uno scopo richiede necessariamente che esso sia posto da un soggetto dotato di identità personale. Lo schiavo vuole scappare mentre lavora nella piantagione, invece la macchina a vapore o il brevetto ingegneristico depositato evidentemente non hanno nessuna volontà intrinseca.

Pertanto, esemplificando,  è certamente vero che un ipotetico petroliere potrebbe sapere di avere la capacità tecnologica di avviare una ricerca ingegneristica per produrre energia da fonti alternative; ma fintanto che egli rimane capitalista non si contraddice e non si contraddirebbe nemmeno se volesse smettere di essere un capitalista per investire tutto sulla ricerca tecnologica. Si contraddirebbe soltanto qualora volesse continuare ad essere un petroliere capitalista e simultaneamente regalasse all’umanità una tecnologia per ricavare energia alternativa.

Visto che di “contraddizione” non si tratta, si deve quindi parlare di “conflitto” tra il capitalismo (con rispettivo apparato tecnologico) e un gruppo di soggetti consapevoli del fatto che la tecnica potrebbe essere impegnata per raggiungere un mondo produttivo più efficiente sotto diversi rispetti di quello attualmente presente.

Insomma, si tratta da ultimo di un conflitto analogo a quello tra gruppi umani che vogliono costruire un palazzo e quelli che vogliono piantare alberi al suo posto o difendere le foche bianche.

A questo punto un’obiezione al nostro discorso potrebbe configurarsi nel seguente modo: concesso che la Tecnica non può essere personificata, allora si dirà che il capitalismo è costretto ad usare e vendere  la tecnica, ma in tal modo è costretto ad informare le masse delle sue potenzialità.

Così che la contraddizione ora sarebbe tra i capitalisti (detentori dell'apparato tecnologico) e le masse, ai quali il capitalismo ha dovuto dare accesso parziale alla tecnica nel ruolo di produttori e di consumatori. Potremmo definire la denuncia di questa contraddizione come “tecno-marxismo”: il capitalismo è costretto a dare accesso alla tecnica ai lavoratori salariati e questi potrebbero avere la volontà di impadronirsi dell’apparato tecnico-scientifico e non più dei semplici mezzi di produzione come nel marxismo classico.

Questa riformulazione della presunta contraddizione si fonda però su un presupposto materialistico analogo a quello del marxismo classico. Infatti si deve osservare che fintanto che un gruppo umano non si renda consapevole di questa possibile alternativa tecnologica, non si dà nessuna contraddizione. Affinché il capitalismo entri in contraddizione con la tecnica, è pertanto necessario che i non-capitalisti divengano consapevoli delle potenzialità tecniche inespresse o soppresse.

Detto in altri termini, è lo Spirto che fa esistere le contraddizioni, non le condizioni materiali.

Se le masse sono convinte da ultimo di vivere nel migliore dei modelli produttivi possibili, non sussiste la condizione affinché emerga alcuna contraddizione. E non si capisce quindi su quale fondamento si affermi che il capitalismo – specialmente nella sua forma industriale e non finanziaria – abbia le ore contate, non sussistendo attualmente alcuna contraddizione.

A questo si aggiunga che per coordinare un conflitto basato sulla contraddizione in oggetto, eventuali gruppi umani dovrebbero prima appropriarsi del capitale. Infatti per costruire una tecnica in grado di soppiantare la tecnica usata dal capitalismo si dovrebbe avere preliminare accesso ai mezzi di produzione.

Rimane tuttavia possibile che il marxismo si ripresenti in un prossimo futuro come tecno-marxismo; con altri simboli e altri linguaggi. Già oggi assistiamo a velate ideologie tecno-socialiste che vanno in questa direzione, da Al Gore a Soros a Casaleggio; ma questo ci porterebbe troppo lontano.

In conclusione si osservi che, per evitare di entrare in questa contraddizione potenziale con la tecnica, il capitalismo ha scientificamente annebbiato le masse a tal punto che queste non saprebbero nemmeno immaginare quale uso fare della tecnologia diverso da quello volto all’intrattenimento o al consumismo.

I fatti confermano che lo sviluppo tecnologico digitale degli ultimi 20 anni è stato incanalato quasi esclusivamente nella fruizione di esperienze ludiche o di intrattenimento.
Più della metà dei dati scambiati sulle infrastrutture di rete mondiali ha a che fare con la pornografia. Contra factum non valet argumentum.

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?


Come si concludeva poco fa, la tecnologia viene declinata esplicitamente dal capitalismo come mezzo per potenziare esperienze edonistiche o ludiche. Essa è svincolata dal perseguimento di uno scopo superiore o dall’affermazione di un destino comune.

La tecnologia è un mezzo che si inserisce all’interno della vita di una data civiltà; in base alle finalità pregresse del soggetto medio, la tecnologia ne facilita la loro realizzazione.

La tecnologia oggi è al servizio delle pulsioni dell’uomo consumista occidentale e ne sta accelerando il processo di atomizzazione. Dobbiamo ancora vedere gli effetti (High Touch) nelle generazioni digitalmente native, ma è difficile escludere che si tratterà di aspetti negativi e deteriori.

Il prossimo stadio, già in atto, sarà la virtualizzazione della quasi totalità delle esperienze con particolare riferimento ai visori virtuali con supporto cinetico.

Quando individui di una società liquida potranno rifugiarsi in una realtà effettivamente parallela, si avrà una maggiore devianza sociale di quella causata dalla comparsa degli stupefacenti nelle generazioni degli anni ’70. E non sarà nemmeno perseguibile.

Film come Strange Days sembravano pura fantasia, finché non si prova un visore virtuale. E siamo ancora in fase prototipale.

 

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?

Per quanto riguarda il conflitto tra tecnologia e capitalismo abbiamo già indicato prima i possibili sviluppi. Conta mantenere sempre la distinzione tra conflitto e contraddizione.

Da una parte potrà nascere un tecno-marxismo, guidato da alcuni capitalisti che potrebbero farne un mezzo per i propri scopi. Ricordiamo che nel capitalismo l’etica è un mezzo o un fine secondario.

Il tecno-marxismo, guidato da alcuni capitalisti “illuminati”, permetterà al capitalismo di evolvere, così come il marxismo classico ha permesso al capitalismo di neutralizzare il conflitto di classe, evitando che esso diventasse una contraddizione ed evitando che fosse usato come tale.

Dall’altra parte si avrà una massa di individui atomizzati imprigionati nella realtà parallela, prodotta su misura secondo le loro pulsioni. Questi lavoreranno per potersi permettere intrattenimenti avanzati di questo tipo, che saranno gentilmente offerti da multinazionali.

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?


Su questo tema c’è molta confusione. L’ipotesi che nei prossimi anni si avrà una AI (Intelligenza Artificiale) forte, in grado di riprodurre, magari pericolosamente, il pensiero umano o di superarlo è semplicemente assurda. La dimostrazione di quando si sta dicendo è la seguente.

Per riprodurre qualcosa bisogna prima capirne la struttura; ora, oggi nel 2017 non esiste nemmeno vagamente una teoria trascendentale del significato o una teoria del linguaggio. Sì che qualsiasi progetto di AI hard si configurerebbe come l’intenzione di riprodurre qualcosa di cui non si sa nulla. Già anche solo per questa lacuna il progetto è contraddittorio e le rispettive paure infondate.

Tanto per fare un parallelo diremo che, stanti le conoscenze attuali, è più verosimile che entro il 2090 saremo in grado di spostare i pianeti su altre orbite. Stiamo a preoccuparci che potrebbero collidere con la Terra?

La prova di quanto andiamo dicendo è confermata anche dal fatto che tutti i colossi mondiali della ricerca AI sono passati a stanziare miliardi di dollari sul machine learning, rinunciando alla pietra filosofale della AI hard.

Il machine learning si prefigge l’obiettivo – in rapido e promettente sviluppo – di replicare e potenziare certe capacità umane sulla base di algoritmi che usano metodi statistici e probabilistici.

In altri termini, non si prova più a riprodurre l’intelligenza umana o il pensiero di cui si ignora la struttura,  bensì si trovano algoritmi in grado di svolgere alcuni compiti meccanici avanzati sulla base di strutture statistiche.

La paura di Skynet è del tutto infondata perché richiederebbe la pietra filosofale della AI hard.

Rimane l’incognita dei lavori umani che saranno presto soppiantati dal machine learning; a questo proposito possiamo però ricordare che le previsioni di Keynes circa la riduzione del lavoro entro fine ‘900 si sono rivelate infondate.

Già oggi tutti i beni che consumiamo sono prodotti dal 10% della popolazione mondiale e pur tuttavia il restante 90 % svolge lavori inventati o accessori. A seguito dello sviluppo del machine learning ne inventeranno altri per il restante 9%.

Grazie allo sviluppo della realtà virtuale parallela è probabile che la cosa passerà inosservata ai più.

Ci avviamo verso il mondo preconizzato da Marx: lavoreremo poche ore alla settimana in cambio di accesso all'intrattenimento personale, che sarà dato dalla realtà virtuale anziché dalla pittura.

Tutto sarà controllato da colossi tecnologici para-statali che già oggi dominano la tecnologia globale.
Il tecno-marxismo sta arrivando.

 

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi.  Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?

La maggior parte dell’umanità ha potenziato con la tecnologia degli ultimi 10 anni le attività di pettegolezzo o di gossip. Gli smartphone hanno la ragione d'essere specifica nella condivisione informazioni in tempo reale sui social network; tralasciando il fatto che l’hardware dello smartphone medio è spropositato per questo scopo, si apre il problema ormai conosciuto del controllo delle informazioni condivise.

A mio avviso però si deve anche sottolineare che senza questa ambigua fruizione delle informazioni molti applicativi perderebbero di attrattiva per milioni di utenti.

Che senso avrebbe Facebook se non potessi vedere con chi si è sposta la mia sbadata compagna di banco del Liceo che non ha limitato la privacy?

Per quanto riguarda la percezione della realtà derivante dalla circolazione dell’informazione in tempo reale, mi pare che la conseguenza più tangibile –ma non sempre apprezzabile- sia una maggiore flessibilità degli stili di vita e delle relazioni. Pensiamo per esempio all’organizzazione del tempo personale in un mondo in cui so di poter aggiornare e gestire in tempo reale i miei interlocutori; evidentemente si tenderà a programmare e disfare le proprie attività con maggiore disinvoltura.

Già nel breve periodo il carattere dei soggetti ne risulterà modificato e anche la qualità delle relazioni interpersonali ne subirà conseguenze.

Più genericamente mi pare che il web 2.0 aumenti la percezione di sé a discapito dell’ambiente circostante, che viene percepito come perennemente disponibile. Di certo non incentiva la formazione del carattere e del rigore.

 

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boetie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?

Attualmente la rivoluzione tecnologica in atto è condotta da poche multinazionali che forniscono software, gestione dei dati e infrastrutture globali.

Queste hanno accesso alla totalità dell’informazione personale degli utenti e, grazie alle infinite capacità di calcolo di cui dispongono – oltre ai miliardi di dollari che possono stanziare nello sviluppo di appositi algoritmi –, sono in grado di mappare la totalità delle relazioni di miliardi di persone, unitamente al reperimento di dati e informazioni.

Siccome, almeno sulla carta, sono inseriti in un quadro economico capitalista, si tratterebbe di capire da dove ricavano gli utili.

Ad esempio, di recente una chat gratuita con funzioni avanzate, Snapchat, è stata quotata 30 miliardi di dollari.
Ora, se non ricavano profitti vendendo illegalmente le informazioni degli utenti, da dove esce una quotazione del genere?
Lo chiedo da capitalista.

Una risposta potremmo conoscerla; per l’ennesima volta, con l’operazione Vault 7, Wikileaks ha rilasciato le prove che i colossi globali della tecnologia in oggetto collaborano con le agenzie di intelligence degli Stati Uniti nel reperimento globale, anche illegale, di informazioni.

Ecco, forse possiamo ipotizzare  chi possa mettere i 30 miliardi di dollari per Snapchat. Indicativamente potrebbero essere gli stessi che hanno il potere di stamparli.

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali, il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

A mio avviso, la tecnologia è di per sé trasparente rispetto alla qualità dei rapporti personali o rispetto al carattere dei soggetti di una data civiltà.

Farei attenzione a non confondere l’effetto con la causa.
Mi limiterò a una battuta controfattuale: se i ragazzi degli anni ’70 avessero avuto uno strumento come il web 2.0, lo avrebbero impegnato per discutere di massimi sistemi, politica, istruzione, musica.

Oggi gli utenti condividono foto di gattini, video demenziali, meme etc.

La capacità di sopportare solitudine o inquietudini è andata persa nella società dei consumi, da quando è venuta meno la convinzione che l’esistenza abbia un fine. Potremmo rinviare a Nietzsche, che di contraddizioni ne ha viste diverse, anticipando i nostri tempi con estrema precisione.

I social network sono solo un palcoscenico, sul quale in questo frangente va in scena la pochezza diffusa.
Da ultimo direi che comunque, in ogni tempo e in ogni epoca, laddove vanno in scena le masse lo spettacolo non è mai edificante.

Il web 2.0 oggettiva al massimo la miseria delle masse, che però non credo abbiano mai avuto qualcosa da dire in quanto masse.

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?

Gli autori del testo sopra citato provengono dal MIT. Hanno scritto un testo provocatorio ma credo siano consapevoli che quanto propongono non è tecnicamente fattibile né di principio né di fatto.

Di principio non è possibile evitare di lasciare sul web tracce utilizzabili dagli algoritmi per ricostruire informazioni complesse. E’ di fatto possibile evitare di essere intercettati durante la trasmissione di dati, ma, se gli end point a quali mi connetto collezionano dati, il problema della privacy non è minimamente risolto.

In altri termini, è possibile navigare in modo anonimo – richiede un minimo grado di competenza – ma se la destinazione della navigazione è un sito qualsiasi, nulla vieta a quel sito di collezionare dati sulle mie richieste.

Detto in altri termini, il mio governo o un hacker può non sapere che sto visionando il mio account di posta, ma se l’account è Google, Amazon su Facebook, la cosa è del tutto irrilevante, visto che sono questi i primi a raccogliere dati sulle mie sessioni per cederli a terzi e di sicuro a enti governativi.

Se dovessero poi prendere piedi applicazioni decentrate, peer-to-peer o varie dark-net come TOR o I2p, ritengo probabile che i governi userebbero la carta della sicurezza nazionale per restringere la navigazione.

In futuro credo si andrà verso l’identità digitale, istituzionalizzando qualcosa di simile all’OAuth: chiunque di noi avrà incontrato questo metodo di autenticazione quando per loggarsi su un sito, questo richiede le credenziali Facebook o Google, che fanno da garanti della nostra identità.

A questo punto resterebbero solo le darknet per evitare di cedere privacy, ma queste hanno i seguenti punti deboli:

  • Sono facilmente smantellabili dai provider e per funzionare richiedono che esistano Paesi in cui non sono bloccate, in modo tale che questi facciano da base di appoggio.
  • Non possono offrire servizi e prestazioni paragonabili a quelli presenti gratuitamente sul web;
  • Non sono fruibili per utenti senza competenze avanzate.

Se poi parliamo di metodi di offuscamento per creare semplice rumore rispetto alla collezione dei dati, allora si ricordi che esistono algoritmi in grado di eliminare il rumore o ridurlo. Ma al MIT questo credo che lo sappiano molto bene, visto che molti di questi algoritmi provengono proprio da qui.
Quindi non ritengo sia una via percorribile al di là della semplice provocazione.

 

* Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli(Mongolia,Cile)



 

Hanno contribuito alla iniziativa di SoloTablet:

  1. Renato Pilutti, Consulente di Direzione per le risorse umane, Consulente filosofico - Bisogna avere cura dei linguaggi che stanno subendo un degrado qualitativo impressionante
  2. Maria Giovanna Farina, filosofa, consulente filosofico, scrittrice e trend cultural blogger - Filosofia due punto zero, rapporti umani e tecnologia
  3. Silvia Marigonda, ingegnere e umanista, archeologa, antropologa  - Tecnologia: servono antropologi della modernità e un presidio etico! 
  4. Alberto Romele, ricercatore all’università di Porto e all’università di Digione  - La tecnologia non è mai stata neutrale. Ha sempre modificato la nostra relazione col mondo
  5. Stefano Zammartini, consulente filosofico - Quando corro o nuoto non metto strumenti. Mi piace sentire il cuore,il respiro e il movimento.
  6. Anna Colaiacovo, consulente filosofico presso Phronesis - I filosofi devono affiancare e aiutare i giovani a liberarsi dell’universo luccicante delle merci.
  7. Gianluigi Bonanomi, giornalista hi-tech, autore, formatore e consulente aziendale - Usiamo i mezzi programmati da qualcun altro. Solo una élite è in grado di trarne reali vantaggi!
  8. Cosimo Accoto, Visiting Scientist presso il Sociotechnical Systems Research Center del MIT di Boston (La tecnologia è il modo dell’umano di stare al mondo: difficile distinguere dove finisce l’una e inizia l’altro.
  9. Adriano Fabris, Full Professor of Moral Philosophy at the University of Pisa - Senza il nostro apporto concreto, i processi tecnologici non possono trovare sviluppo.
  10. Bianca Cavallini Psicologa del lavoro - Work & Organization Psychologist  - La tecnologia in sé non è né positiva né negativa, è semplicemente possibilità
  11. Pietro Montani, autore di libri e Professore di Estetica presso la Sapienza Università di Roma. - Il cervello non viene modificato dalla tecnica ma da essa plasmato.
  12.  Alberto Giovanni Biuso professore associato di Filosofia teoretica nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania.Il Grande Fratello non ci guarda, siamo noi che lo guardiamo e tuttavia ne veniamo dominati.
  13. Cateno Tempio specializzato in Storia della Filosofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania - Siamo ancora quelli della pietra e della fionda. E il vero problema sono i vicini, il prossimo, gli altri.
  14. Barbara Piozzini, Professoressa di Filosofia e Storia - Tecnologicamente consapevoli ma recuperando l'intimità!
  15. Giorgio Schivo, Manager, insegnante, imprenditore, web content editor e .... filosofo -Ciò che si demonizza, spesso diventa lo strumento più usato dal “demonio” (o dal dominio

  16. Davide Dell'Ombra editor, correttore di bozze, traduttore e...filosofo - Fare filosofia, in rete o fuori, non è affatto un gesto da persone educate e civili!

  17. Cristina Sassi, psicologa esperta in Tecnologie Assistive presso Leonardo Ausilionline - Stiamo guadagnando la consapevolezza di ciò che andiamo perdendo.
  18. Giorgio Griziotti, uno dei primi ingegneri informatici usciti dal Politecnico di Milano e autore del libro Neurocapitalismo, mediazioni tecnologiche e linee di fuga (Mimesis 2016) - La tecnica è da sempre una forma di mediazione col mondo, con tutte le sue contraddizioni e biforcazioni.
  19. Luca Ariostini per Conversazioni di Filosofia - La tecnologia oggi è al servizio delle pulsioni dell’uomo consumista occidentale
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