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Il Grande Fratello non ci guarda, siamo noi che lo guardiamo e tuttavia ne veniamo dominati.

Il Grande Fratello non ci guarda, siamo noi che lo guardiamo e tuttavia ne veniamo dominati.

21 Marzo 2017 Interviste filosofiche
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Il MiPiace di Facebook è la carota che si accompagna al bastone dell'insignificanza della quale si viene minacciati se non ci si sottopone a tali riti, è l’inesistenza stessa, che dal piano di un’ontologia materica è passata a quello di un’ontologia digitale che sta a fondamento di un «impero virtuale». Ciò che sta succedendo sembra confermare le intuizioni heideggeriane sulla natura non neutrale della tecnica, sul suo costituire l’espressione di una struttura ontologica che si incarna certamente in opere e manufatti ma non è a essi riducibile; vengono confermate le tesi sul pericolo che la tecnica rappresenta quando il suo sviluppo è lasciato a se stesso o, per meglio dire, agli interessi politici che lo muovono.

 

Carlo Mazzucchelli intervista Alberto Giovanni Biuso professore associato di Filosofia teoretica nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. Insegna Filosofia teoretica, Filosofia della mente e Sociologia della cultura.


Sei filosofo, sociologo, piscologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero? .

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.


Buongiorno Professore, può raccontarci qualcosa di lei, delle sue molteplici attività attuali e della sua produzione filosofica? Quale interesse ha per le nuove tecnologie e le loro rivoluzioni? Quanto importante è nella sua attività filosofica contribuire a una riflessione critica sui loro effetti sulla realtà e la mente umana?

Buongiorno a lei.

Per carattere ho cercato sempre di divertirmi e uno dei grandi piaceri impliciti nel lavoro filosofico sta nel fatto che mentre altri saperi -come afferma Aristotele- si ritagliano degli ambiti ben precisi, la filosofia si occupa dell'intero. In questo intero non ci sono limiti ma solo esigenze di rigore metodologico. Le tre materie che insegno ne costituiscono una conferma.

La Filosofia teoretica si occupa dell'essere, della verità, dell'identità/differenza, del tempo. La Filosofia della mente declina questi temi come autoconsapevolezza di una parte della materia di esistere in quanto finitudine, limite, tempo. E quindi di essere sempre ibridata con l'altro da sé -tra cui le tecnologie- proprio perché l'essere umano è tecnico per natura. E anche questo è l'oggetto della Sociologia della cultura.

Riflettere criticamente su tutto questo è parte importante delle mie ricerche e della didattica, tanto è vero che il corso di Sociologia della cultura che sto svolgendo quest'anno ha come titolo Social Network e dominio.

Mi occupo poi di antropologia politica, letteratura, cinema, arte e vari altri ambiti. Ma questo i nostri lettori potranno vederlo, se hanno voglia e curiosità, sul mio sito Un barlume di fasto.

Nel suo libro Cyborgsofia lei ha definito l'ambiente tecnologico nel quale viviamo un'infosfera nella quale la maggior parte delle persone 'non sanno quello che fanno ma lo fanno' Agiscono passivamente rischiando di essere manipolate e delegando ad altri, i possessori delle piattaforme tecnologiche, il governo delle loro esistenze. Compito del filosofo è pensare questa infosfera, elaborare pensiero, contribuire alla consapevolezza. Ci può raccontare il suo pensiero e riassumere i temi che lei ha sviluppato nel suo affascinante libro?

In Cyborgosofia e nel successivo La mente temporale. Corpo Mondo Artificio ho cercato di evitare sia le posizioni tecnofobe sia quelle tecnofile. Credo infatti che nei confronti delle tecnologie in generale e di quelle informatiche in particolare sia poco utile nutrire sentimenti di paura o di euforia. Il rapporto con  l'Alterità macchinica può aprire la nostra identità a una contaminazione che può certo distruggerla –il rischio c’è- ma può anche renderla consapevole dei limiti che ci formano e della necessità di accettarli, farli nostri, salvaguardarli.

Credo che l’Intelligenza Artificiale si potrà realizzare non contro o senza ma dentro il corpo, non nello svuotarlo ma nell’abitarlo. Un corpo che sia quindi intessuto non soltanto di tecnologia ma sia pervaso dei significati che esso trae dalla propria struttura agente nel mondo. La centralità del corporeo fa sì che nonostante alcune utopie intendano uploadare la mente in corpi migliori di quelli attuali, la finitudine del corpomente che siamo rimane il tratto costitutivo della specie che pensa.

Credo infatti che l’umano sia una macchina naturale che si articola in tre espressioni principali. Siamo macchine del desiderio, macchine semantiche, macchine temporali. Il desiderio ci pervade in ogni momento e nelle forme più diverse. Dalla brama verso gli oggetti alle ambizioni sociali, dalla conquista dei corpi altrui al possesso del loro tempo, dall’aspirazione a continuare a vivere alla volontà di farlo nella pienezza delle nostre soddisfazioni, il desiderio costituisce il motore sempre acceso della vita che pulsa e non si arresta mai. Essere corpo e vivere nel desiderio sono espressione della zoé che ci impregna al di là del bìos delle nostre vite individuali, delle nostre specifiche volontà, della particolare modalità in cui il flusso di aspirazioni che siamo si colloca in un luogo e in un istante particolari.

 

Come testimoniano i suoi due libri Nomadismo e benedizione L'antropologia di Nietzsche, il filosofo tedesco è al centro (insieme ad altri) della sua riflessione filosofica. Nietzsche dava della tecnologia una valutazione essenzialmente positiva per la sua capacità intrinsecamente liberatoria e per la sua utilità. Il riferimento era alle scienze del suo tempo e alla ricerca genealogica e scompositiva da esse esercitata. Cosa direbbe Nietzsche di fronte alla 'volontà di potenza' delle tecnologie dell'informazione attuale? Quali spunti possiamo trarre dalle sue opere per una riflessione più approfondita e diversa sulla tecnologia nella sua fase evolutiva attuale?

È sempre difficile, e forse neppure legittimo, dire 'che cosa penserebbe' un filosofo del passato rispetto alle questioni del nostro presente.

Forse, per ribadire quanto detto nella precedente risposta, Nietzsche vedrebbe nelle tecnologie informatiche una peculiare duplicità: esse possono costituire sia un elemento di superamento della condizione umana attuale sia uno strumento di asservimento agli interessi politici ed economici più volgari. In ogni caso uno studio paziente e sistematico dei testi nietzscheani aiuta a comprendere molti fenomeni dell'umanità contemporanea e dunque anche quelli sociotecnologici.

 

Il filosofo maggiormente 'pop' del momento è lo sloveno Slavoj Zizek, un autore che parla spesso di Nietzsche. Il Dio è morto della Gaia Scienza del filosofo tedesco, riferito anche alla verità, è assimilabile al capitalismo insostenibile di Zizek che lo porta a sostenere la necessità di svegliarsi prima di precipitare in un nightmare. Secondo Zizek viviamo tempi alla fine dei tempi (Vivere alla fine dei tempi). Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio (il capitalismo che st distruggendo se stesso) ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Quello che vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?

Una riflessione non banale sulle tecnologie contemporanee dovrebbe sempre partire - lo ripeto- dall'accettazione dei limiti della nostra specie e della struttura ibridativa che ne scaturisce.

Le forme contemporanee dell’ibridazione pongono al centro, com’è del tutto ovvio, il rapporto uomo-macchina nei termini di una vera e propria cyberantropologia.

I due versanti della relazione vedono da una parte i bioputer, come progetto teso a far superare alle macchine la soglia critica da cui emerge la coscienza; un progetto, questo, caratterizzato però dall’illusione che basti incrementare la potenza dei processori, la loro velocità, il calcolo parallelo, le capacità di memoria, per superare il limite del computazionalismo e dotare anche le macchine di una sorta di libero arbitrio. L’altro versante è costituito dalla possibilità, piuttosto, di innestare dentro i nostri corpi e all’interno del codice genetico degli elementi in grado di potenziare la percezione, la memoria, l’insieme delle risposte immediate e di lungo periodo alla complessità dell’ambiente in cui viviamo. Tali ricerche sulle interfacce tra sistema nervoso, muscoli e servomeccanismi forniscono ogni giorno nuovi risultati volti alla trasformazione biunivoca degli impulsi nervosi in impulsi elettronici. La mente umana, infatti, costruisce se stessa in profonda relazione con processi tecnologici esterni, e questo è accaduto sin dalle origini della specie. Siamo da sempre delle nature ibride e contaminate con l’alterità macchinica e animale. Siamo, secondo l’efficace definizione di Andy Clark, dei Natural-Born Cyborgs.

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Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze. Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

La tecnologia, e le singole tecnologie, non sono mai state 'neutrali'! Esse costituiscono da sempre  una delle forme più efficaci del dominio e del controllo sociale. Internet è la più recente delle strutture alienanti prodotte dal modo di produzione capitalistico e si pone in decisa  continuità con la società dei consumi e con la società dello spettacolo.

Dalla rete militare-accademica Arpanet (1969) alle piattaforme più recenti (Facebook 2004, Google 2005, WhatsApp 2009, Twitter 2006), capitalismo e Rete condividono almeno tre elementi: la struttura gerarchica; l’orizzonte planetario (il metacontinente virtuale fatto di connessioni digitali globali); l’intenzione totalizzante di occupare tutto il territorio del tempo e dell’immaginario.

Le antiche forme di colonizzazione culturale - le Crociate e in generale l’attività di proselitismo della Chiesa papista - e territoriale - l’imperialismo europeo - conquistavano, depredavano e sfruttavano ma non riuscivano a ottenere il loro obiettivo più ambizioso: entrare nei corpimente degli assoggettati e determinarne l’interpretazione del mondo e della vita. È questo, invece, ciò di cui sono capaci le istituzioni e le aziende che hanno dato vita al più invisibile e pervasivo sistema di controllo delle persone, delle loro scelte, delle intenzioni, dei comportamenti. Si tratta di una vera e propria «schiavitù mentale».

L’iperconnessione è una coazione al contatto virtuale che diminuisce drasticamente -e a volte annulla- i legami in presenza. È esperienza comune e diffusa vedere delle persone insieme ma distanti. Distanti perché mentre stanno in compagnia del soggetto A sono in contatto virtuale con il soggetto B -e viceversa- oppure sono immerse nell’utilizzo dei loro reciproci cellulari, dai quali  non vorrebbero mai sollevare lo sguardo. Sembra emergere una progressiva difficoltà ad affrontare relazioni dirette, a comprendere la potenza materica del mondo naturale, a interagire in maniera profonda ed equilibrata con i corpi che siamo. L’avatar, il nome nella Rete, l’alias virtuale, sono forme di disincarnazione, di deterritorializzazione, di annullamento della corporeità, vale a dire dello spaziotempo fisico nel quale ci costituiamo e che siamo.

 

Secondo il teorico francese dell'antifilosofia, Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?

Definire come sarà il futuro è un esercizio il cui risultato di solito è una clamorosa smentita :-)

Quello che posso dire riguarda il futuro-adesso, vale a dire sviluppi che sono già evidenti e impliciti nel presente. E quello che vediamo è che nel mondo virtuale tutto sembra in movimento ma già la metafora stessa del ‘navigare’ rimanendo in realtà immobili davanti a uno schermo mostra che si tratta di un moto apparente.

Le pagine e i format delle più diffuse piattaforme virtuali -come facebook- sono uguali per tutti e rimangono sempre identiche a se stesse, pur se riempite di contenuti effimeri, la cui essenza consiste nel dover al più presto dileguare per lasciare spazio ad altro, destinato anch’esso a una veloce sostituzione. La paradossale staticità di queste immagini consuma e dissolve il dinamismo dell’immaginazione, ingabbiata e immiserita in schemi già dati e stabiliti dai programmatori e dagli ingegneri informatici che costruiscono le gabbie grafiche dei social network. In essi tutto è familiare e miserabile, allo stesso modo del cibo familiare e sempre uguale che viene servito nei McDonald’s di tutto il pianeta.

 

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?

Come ho detto rispondendo a una sua precedente domanda, non appartengo a nessuna delle due schiere e concordo con lei sulla necessità di una consapevolezza socialmente diffusa e culturalmente rigorosa di quanto è implicito, nascosto, potente nelle tecnologie.

È anche questo l'obiettivo del mio lavoro di filosofo e di docente. 

 

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi. Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?

Penso che questo sia un fenomeno tecnologico pericoloso, che ha una delle sue espressioni più inquietanti nel tramonto dell'oblio. Nulla viene dimenticato dai server nei quali si deposita la scrittura e la vita degli umani.

L'accumulo indistruttibile delle memorie nella Rete rischia di paralizzare il nuovo, il suo immaginario, il suo avvento. Per avere un futuro -da decifrare,  immaginare, vivere- bisogna anche dimenticare. Nietzsche afferma che «per ogni agire ci vuole oblio» e invece i software non dimenticano nulla.

Un elemento fondamentale della memoria biologica è il suo costituire non soltanto una forma di conservazione del passato e dell’accaduto ma anche una  condizione del nuovo e dell’inedito. Il declino sia dell'oblio sia della memoria attraverso strumenti che la sostituiscono in ogni occasione e circostanza - gli strumenti offerti dalla Rete - rischia di impoverire l’immaginazione e rendere pallido il futuro.

 

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Facebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boetie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?

Penso che davvero tutto sia politica, che la volontà di dominio e la volontà di resistenza siano delle costanti della vita umana.

Il suo riferimento a La Boétie per comprendere la Rete mi sembra molto corretto. Se ci chiediamo infatti  come si genera il meccanismo di enorme arricchimento di società che offrono servizi in apparente e totale gratuità, se ci chiediamo come fanno Google, Facebook, Twitter a generare i propri astronomici profitti se non fanno pagare nulla agli utilizzatori dei loro servizi, la risposta più plausibile è che si tratta di una raffinata forma di valorizzazione del Capitale, nella quale il lavoro volontario e non retribuito diventa inconsapevole -efficacemente mascherato con la formula della gratuità dei social network- e i soggetti che producono valore e ricchezza sono oggetto di offerte commerciali che essi stessi hanno contribuito a creare.

Tutto questo rappresenta anche e soprattutto una radicale esperienza di controllo collettivo, attuato con la fattiva collaborazione del corpo sociale stesso, il quale costruisce da sé la propria schedatura mediante la miriade di fotografie (‘libro delle facce’), immagini, riferimenti anagrafici, nomi, tag, contrassegni, dei quali i singoli riempiono le proprie pagine e con esse la Rete.

La carota è il ‘mi piace’ da ottenere e moltiplicare, il bastone è l’insignificanza della quale si viene minacciati se non ci si sottopone a tali riti; di più: è l’inesistenza stessa, che dal piano di un’ontologia materica è passata a quello di un’ontologia digitale che sta a fondamento di ciò che Renato Curcio definisce giustamente «impero virtuale». In questo modo vengono tra l'altro confermate le intuizioni heideggeriane sulla natura non neutrale della tecnica, sul suo costituire l’espressione di una struttura ontologica che si incarna certamente in opere e manufatti ma non è a essi riducibile; vengono confermate le tesi sul pericolo che la tecnica rappresenta quando il suo sviluppo è lasciato a se stesso o, per meglio dire, agli interessi politici che lo muovono.

Se la servitù appare così spesso “volontaria” è anche perché essa si radica nella necessità della salvaguardia dei corpi individuali e collettivi. Salvaguardia certo apparente, visto che il potere è per sua natura una macchina stritolatrice. Questo vale anche per Facebook, Google, Apple, Microsoft. La loro potenza e successo si basa anche e forse soprattutto sul bisogno naturale che gli esseri umani hanno di comprendere il mondo, di entrare in contatto con esso, di interagire tra di loro. Sistemi operativi e social network soddisfano tale esigenza e anche per questo la sottomissione alle loro dinamiche è volontaria.

 

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?

Sì, è possibile. Ma è necessario un gesto di solitudine che è possibile attuare soltanto se si percorre prima un itinerario di comprensione della servitù alla Rete.

Di fronte a fenomeni tanto pervasivi si può intanto invitare a un duplice gesto politico dagli effetti dirompenti sul sistema commerciale e digitale che ci domina. Il primo è spegnere il televisore, non riaccenderlo, disfarsene. Il secondo è cancellare l'account a facebook, una piattaforma tanto visionaria quanto liberticida.

Visionaria perché l'intenzione di chi la controlla non sta più soltanto nel moltiplicare dei profitti economici ma consiste nel creare un mondo virtuale dal quale i suoi abitanti non abbiano alcun desiderio di uscire, un mondo che riempia il loro tempo, la memoria, i desideri, le relazioni, il gioco, l'informazione, l'impegno politico; che riempia l'intera vita, tutto.

Liberticida perché se il corpo sociale si trasferisce -come sta accadendo- in questo mondo virtuale, ludico e tranquillizzante, i poteri costituiti non hanno più da temere l'impatto fisico dei movimenti di resistenza e di rivolta.

Non è il Grande Fratello a guardarci, siamo noi che lo guardiamo e tuttavia ne veniamo dominati. Questo vuol dire che il totalitarismo iconico è in sé il nulla perché è la pace del non pensiero, l’assopirsi di qualunque attività, l’ironia di una pseudo-conoscenza. In questo niente, in questo vuoto colorato e costante, tramonta la capacità di pensare e annega con essa l’umano.

Credo che la miseria del dominio virtuale vada individuata e distrutta per liberare i corpi vivi e i loro desideri da ogni surrogato di soddisfazione, che mentre sembra gratificare individui e collettività offrendo loro ogni giorno il pasto dell'immagine, sottrae inesorabilmente il nutrimento della critica, senza la quale non può generarsi ribellione, non può esserci libertà.

Se qualcuno obietta che queste cose le stiamo discutendo e diffondendo sulla Rete, rispondo che è vero, che bisogna anche utilizzare Internet per gli spazi di critica che offre. Aggiungo che personalmente non possiedo un televisore da quasi vent'anni e che non ho mai avuto un account su facebook, proprio per le ragioni che qui ho cercato di sintetizzare.

 

C'è un autore, una tesi, una citazione che secondo lei riassume il significato di quanto ci sta dicendo a proposito delle dinamiche sociali e politiche innescate dalla Rete?

Penso a una densa affermazione enunciata da Martin Heidegger molti anni fa ma che sembra visionaria nel suo cogliere che il prodotto comprato e venduto sui Social Network 'siamo noi'. In un brano dei Quaderni neri 1931-1938 leggiamo infatti: «Ci sono mercati degli schiavi nei quali gli schiavi stessi sono spesso i più grandi mercanti» L'originale dice «Es gibt Sklavenmärkte, bei denen die Sklaven oft die größten Händler sind», la traduzione è di Alessandra Iadicicco (Bompiani, 2015, VI, § 56, pag. 594).

 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Consiglio alcuni libri recenti, diversi ma convergenti nel comprendere le dinamiche delle tecnologie politiche di comunicazione, vale a dire della televisione e dei Social Network: Christoph Türcke, La società eccitata. Filosofia della sensazione, Bollati Boringhieri 2012; Davide Bennato, Il computer come macroscopio. Big data e approccio computazionale per comprendere i cambiamenti sociali e culturali, FrancoAngeli 2015; Renato Curcio, L’impero virtuale. Colonizzazione dell’immaginario e controllo sociale, Sensibili alle foglie 2015; Alessandro Curioni, Come pesci nella Rete. Guida per non essere le sardine di Internet, Mimesis 2016; Renato Curcio (a cura di), L’egemonia digitale. L’impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro, Sensibili alle foglie, 2016; Alessandro Curioni, La privacy vi salverà la vita. Internet, social, chat e altre mortali amenità, Mimesis 2017.

Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo!

Penso che sia un modo intelligente di utilizzare la Rete e non credo che abbiate bisogno dei miei consigli :-)

 

* Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli (India, Zanzibar, Alaska, Isla grande de Chiloè in Cile)

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