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La tecnologia in sé non è né positiva né negativa, è semplicemente possibilità

La tecnologia in sé non è né positiva né negativa, è semplicemente possibilità

17 Marzo 2017 Interviste filosofiche
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Comunicare sui social network, proprio perché comunicazione disincarnata, consente di esporsi maggiormente, tanto in positivo quanto in negativo. Si è però sempre di fronte a una possibilità che si declina nel momento in cui viene utilizzata: usare WhatsApp per flirtare con la ragazza che mi piace perché dal vivo sono timido è ben diverso da usarlo per insultare il mio compagno di classe perché dal vivo non ho la faccia tosta per farlo. Internet ha il potere di generare forme eccessive di aggressività e forme intense di intimità allo stesso tempo.

Carlo Mazzucchelli intervista Bianca Cavallini Psicologa del lavoro - Work & Organization Psychologist - HR Training and Consulting


Sei filosofo, sociologo, piscologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e amante della tecnologia? Vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero?.

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.


Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?

Buongiorno, mi chiamo Biancamaria Cavallini e sono una Psicologa del lavoro. Mi occupo principalmente di formazione, aziendale e non, e lo faccio sempre più orientata a temi che trattano il rapporto delle nuove tecnologie con i diversi domini di vita, personali e professionali.

Sono una nativa digitale, sia per la mia età anagrafica sia per l’uso che faccio del web, dei social media e della tecnologia più in generale.

Sono adulta per potermi rapportare alle tecnologie da adulta (e da psicologa) ma parallelamente sento di comprenderle in modo molto più simile a un/una quindicenne medio/a piuttosto che un/una quarantenne medio/a. Non tanto perché Youtube e Snapchat siano il mio intrattenimento, quanto piuttosto perché sono in grado di parlare quel linguaggio e di padroneggiare quei medium.

 

Secondo il filosofo Slavoj Zizek viviamo tempi alla fine dei tempi (Vivere alla fine dei tempi). Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Quello che vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?

Ciclicamente, si è sempre arrivati a un momento nella storia in cui si riteneva di essere alla “fine dei tempi”. Oggi, valutando la situazione attuale, sono molti a credere che la tecnologia ci stia conducendo verso un punto di non ritorno.

Parallelamente, però, credo ci sia il rischio di prendere tutti un enorme abbaglio: se tra cinquant’anni ci fosse un consistente ritorno alla terra? È una domanda che mi pongo spesso, sebbene non abbia un’idea precisa in merito. E questo non tanto perché non la possiedo, quanto perché credo che nel dipingere uno scenario ci si muova nel regno delle possibilità, nemmeno in quello delle probabilità.

Detto questo, ritengo però che sia fondamentale comprendere a fondo il qui ed ora. Le nuove tecnologie stanno impattando profondamente sulla nostra vita, sul nostro modo di rapportarci con gli altri e sulla percezione che abbiamo di noi stessi. Arrivare a conoscere i meccanismi psicologici che stanno alla loro base credo sia non solo necessario ma doveroso. E troppo poco si sta facendo in questa direzione.

La velocità delle trasformazioni di certo non agevola: nel momento in cui ci si dedica allo studio di un aspetto delle nuove tecnologie quell’aspetto è già mutato, si è già “aggiornato”.

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

La tecnologia non è mai stata neutrale. E con “tecnologia” non intendo solo quella digitale ma amplio il discorso e, rifacendomi all’etimologia della parola, considero tecnologico qualsiasi comportamento agito per mezzo di strumenti. Questi sono infatti utilizzati per potenziare le proprie capacità, ampliare la varietà di azioni che si è in grado di fare e modificare il proprio compito o ambiente, permettendo quindi di supplire a limitazioni fisiche e morfologiche e creando nuovi modi di interagire con il mondo. Chiarito questo, appare evidente che non possa esserci strumento neutrale.

L’essere umano è comunque andato oltre: utilizza strumenti per risolvere problemi anche in contesti in cui non risultano strettamente necessari e produce artefatti complessi che assumo semplice natura cognitiva e ideale.

Declinare ciò alla luce delle nuove tecnologie, fa immediatamente girare la testa. Per cui no, la tecnologia non è mai stata neutrale e non lo è mai stata così poco come oggi.

 

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?

In parte l’ho già anticipato: ritengo che una previsione sia molto difficile soprattutto a causa dell’altissima probabilità di venire smentiti.

Da amante della fantascienza potrei dirle che non mi sorprenderebbe uno scenario alla Matrix, ma sono un’amante della fantascienza molto critica, per cui nonostante ami quel mondo ne sono anche piuttosto intimorita. Non so cosa avverrà, quello che spero ardentemente è che le nuove tecnologie non polverizzino le relazioni umane e non rendano l’uomo assimilabile a una macchina. O una macchina assimilabile all’uomo?

 

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?

Come avrà compreso dalla mia risposta precedente, tendo ad avere una visione orientata più verso l’asse pessimista, nonostante per mia natura sia una persona tendenzialmente ottimista. A questo proposito consiglio la lettura di “Piano Meccanico” di Kurt Vonnegut, un libro che dipinge un futuro nemmeno così lontano (è stato scritto negli anni ’50) in cui le macchine hanno sostituito la maggior parte dell’attività umana e il mondo si divide tra tecnici e manager e cittadini medi relegati in un ghetto.

Consigli letterari a parte, ritengo che una maggiore consapevolezza circa l’utilizzo della tecnologia sia a prescindere necessaria. Ad esempio, troverei molto utile inserire un’educazione civica 2.0 nelle scuole. Parallelamente, credo che l’urgenza attuale sia anche quella di far comprendere a chi ha un ruolo educativo e/o genitoriale (e non è nativo digitale), le dinamiche che sottostanno ai nuovi media. A questo proposito, in un’ottica di promozione del benessere aziendale, sto attualmente promuovendo un progetto di formazione e “consapevolezza social” per “genitori digitali”.

In ogni caso, come in qualsiasi discorso su argomenti così complessi e sfaccettati, credo che non possa sussistere una risposta univoca: la tecnologia ha permesso importantissimi traguardi, ma come ogni strumento dotato di grandi poteri, rischia di essere utilizzato nel modo sbagliato.

La tecnologia in sé non è né positiva né negativa, è semplicemente possibilità: è l’uso che se ne fa ad essere più o meno corretto. Per quanto il concetto di “corretto” sia assolutamente aleatorio.   

 

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi.  Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?

Penso che anche qui, correndo il rischio di apparire ripetitiva, vada fatta una distinzione tra nativi digitali e non.

Mi spiego: i nativi digitali questa rivoluzione non la vedono in quanto ci sono nati e ci stanno crescendo dentro. La vedono solo nel momento in cui stona, in cui qualcosa non va, nei casi in cui il mondo con cui si relazionano non è all’altezza delle loro aspettative.

Anche in questo caso, tuttavia, non vedono la rivoluzione, ma l’incapacità del “vecchio mondo” di adeguarsi al loro. Si pensi ad esempio al momento in cui entrano in un’azienda e si rendono conto che ci si affida ancora in modo così viscerale alla carta e a procedure per loro vecchio stampo.

La rivoluzione la vedono invece coloro che nativi digitali non lo sono. Magari non in maniera consapevole e particolareggiata (molti non hanno ad esempio ancora capito cosa sia il Cloud), ma la colgono. E ne rimangono atterriti.

La maggior parte di loro non la comprendono e spesso non vogliono nemmeno farlo. Si limitano ad adeguarsi a ciò a cui necessariamente si devono adeguare e vanno poco oltre. E li comprendo perfettamente, in realtà: credo che abbracciare la portata del cambiamento che sta avvenendo sia difficilissimo per chi di questo cambiamento non conosce il linguaggio. È come imparare a parlare una nuova lingua da adulti. Una lingua che ha un alfabeto e regole grammaticali e logiche totalmente differenti da quelle a cui si è abituati.

 

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boetie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontariaIl Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?

Mi viene in mente una frase che cito spesso, letta per caso su un muro di una stazione: “Siamo liberi di fare tutto quello che vogliono”. Rende l’idea e chiarisce il fatto che spesso la libertà sia condizionata e ritagliata.

Credo che il tema della libertà e della democrazia in relazione al web sia centrale e sia quello su cui più si dibatte: internet è un bene o un male? Dà libertà o ne fa annusare solo l’illusione? E cosa dà in cambio della libertà di espressione? Facebook vende i tuoi dati, ad esempio. E lavora per sviluppare soluzioni che permettano di catturarne e ricavarne sempre di più, anche da una semplice foto.

Oltre tutto, si può davvero parlare di libertà di espressione?

Come spesso accade le domande sono ben più delle risposte.

 

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo  guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

Siamo in presenza di dialoghi disincarnati, ma non per questo non reali. A questo proposito ci si interroga sul ruolo dei neuroni specchio e dell’intelligenza emotiva, ad esempio. Ci sono alcuni lavori interessanti a tal proposito.

Non è la prima volta che un medium triangola la relazione. Si pensi alle lettere prima e al telefono poi. È tuttavia la prima volta che un medium triangola una relazione in maniera così pervasiva.

Comunicare sui social network, proprio perché comunicazione disincarnata, consente di esporsi maggiormente, tanto in positivo quanto in negativo. Siamo però sempre di fronte a una possibilità che si declina nel momento in cui viene utilizzata: usare WhatsApp per flirtare con la ragazza che mi piace perché dal vivo sono timido è ben diverso da usarlo per insultare il mio compagno di classe perché dal vivo non ho la faccia tosta per farlo.

Per dirlo con parole non mie: internet ha il potere di generare forme eccessive di aggressività e forme intense di intimità allo stesso tempo.

 

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?

C’è davvero questa necessità di difendersi?

Nel momento in cui ho scelto di iscrivermi a Facebook, ho scelto di perderla una parte della mia libertà. E continuo a essere iscritta perché mi va bene così. Perché il mio calcolo costi-benefici non è poi così svantaggioso: un po’ di dopamina in cambio di informazioni per propinarmi pubblicità mirata (e su questo punto dovrebbero migliorarsi perché non è nemmeno così mirata).

Se non avessi voluto rinunciare alla mia libertà, non mi sarei iscritta, o mi sarei dis-iscritta. Rinunciamo alla nostra liberà costantemente. Ogni volta che compiamo una scelta. Scegliere la tecnologia limita la nostra libertà, si, ma lo fa come scegliere di fumare, di mangiare dolci, di fare shopping, di amare una persona. E come tutti questi comportamenti, nonostante limiti la nostra libertà chiudendoci delle porte, ce ne apre altre da cui entrano altre possibilità. Facebook, ad esempio, è oggi per me un fondamentale mezzo di informazione e collaborazione.

Libertà in cambio di altra libertà (con una certa dose di dipendenza al seguito). Non è forse la vita?

 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Un paio di suggerimenti di lettura li ho già disseminati. Aggiungo un titolo: “Spreadable media”, un libro che tratta il web e i social media dal punto di vista della condivisione e della partecipazione.

Per quanto riguarda l’intervista, voglio dirle che ho trovato le domande davvero molto dense e stimolanti e per questo la ringrazio. Mi sono dovuta più volte “auto-censurare”: ogni punto affrontato può potenzialmente costituire una lunga, lunghissima, dissertazione a sé!

 

Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo!

Trovo il Portale davvero di ampio respiro e molto interessante. Gli argomenti trattati sono diversi e sfaccettati e proprio per questo sarebbe di impatto inserire una rubrica gestita da un gruppo di nativi digitali adolescenti che parlino di tecnologia. Sentire la loro voce. Ascoltare cosa hanno da dire. Butto lì l’idea!

Grazie ancora per l’intervista.

 

* Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli (Cornovaglia e Patco di Yellostown USA)

 

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