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Come la ricerca bellica fabbrica nemici

Come la ricerca bellica fabbrica nemici

07 Gennaio 2014 Antonio Fiorella
Antonio Fiorella
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Ritornando a percorrere il sentiero di lettura o tentativo di approfondimento sulle tecnologie iniziato conversando con Carlo Mazzucchelli ho recensito alcuni libri che si occupano di servizi segreti e guerre e nei quali vengono descritte alcune ricerche tecnologiche recenti (per quanto ci è dato conoscere), che prefigurano disegni apocalittici, che preventivano disastri intelligenti - con effetti collaterali minimi o quantomeno imprevedibili... Anche in questi ambiti, da un punto di vista tecnologico, è in moto un complesso meccanismo che si autoalimenta, e che sembra inarrestabile. Insomma, come dicono in terra di Francia: c’est la vie! "

L’industria bellica, specie in tempi di pace, ha fame di nemici. Per produrre nuovi ordigni, ha bisogno periodicamente di costruire nuovi scenari, disegnare tutti gli ipotetici sviluppi geopolitici, fare previsioni plausibili, e mettere in moto meccanismi che possano far fronte a qualsiasi evenienza. Se poi alcune delle variabili ipotizzate si annullano a vicenda la questione (per chi punta al profitto) passa in secondo piano.

L’importante è far arrivare chiaro e inequivocabile l’ennesimo grido d’allarme (che alimenta la paura) sufficiente a stanziare fondi per rinnovare gli stock degli armamenti e costruirne di nuovi.

In tutto questo svolgono un ruolo attivo le lobby, l’intelligence, i think tank, circoli accademici e politici, tutti schierati per far passare il messaggio all’opinione pubblica.

L’analista esperto di intelligence, mentre al bar sorseggia il caffè accanto a noi e sbircia il giornale che stiamo sfogliando, con quale ghigno accompagnerebbe la lettura delle notizie che abbiamo davanti? La domanda ce la pone Aldo Giannuli, nel libro ‘Come funzionano i servizi segreti’. L’informazione è equiparata a una guerra non convenzionale; ed è arcinoto che in tempi di guerra la prima vittima a soccombere è la verità. Assieme alla sua gemella, l’innocenza, aggiunge Fabio Mini.

I servizi segreti oltre che analizzare e interpretare ogni notizia, concorrono nell’attività di anticipare, contrastare e diffondere note informative provenienti dalle lobby e dai poteri di riferimento. Non sarebbe azzardato stimare, secondo Giannuli, che un terzo delle notizie di rilievo politico, economico e militare hanno nell’intelligence la loro fonte d’origine o almeno d’ispirazione.

Essendo il terreno di scontro ormai globalizzato, e poiché dello scontro l’inganno è il motore, è determinante il controllo dei canali di diffusione dell’informazione che rappresenta “il sistema nervoso centrale di una società”.

Dalla competizione scientifica e tecnologica allo scontro sui diritti delle minoranze, al mantenimento di una posizione egemone della propria cultura, tutto rientra in uno scenario di sopraffazione che mira soltanto al predominio.

Gli stati nazionali e le organizzazioni internazionali, secondo  Fabio Mini autore di  ‘La guerra spiegata a...’ sono ridotti al ruolo di meri esecutori materiali di politiche e strategie dettate da interessi economici privati. Gruppi multinazionali (qualificati più propriamente: bande), puntano allo sfruttamento delle risorse pubbliche con qualsiasi mezzo. L’idea della guerra preventiva, alimentata dall’incertezza e dalla paura, porta a incrementare lo sviluppo tecnologico in campo bellico che a sua volta conduce alla guerra permanente.

In tale contesto vengono fabbricate sofisticate menzogne che tendono a camuffare la realtà e ad attenuare la percezione degli effetti collaterali che la guerra provoca sul campo. Così si assiste a un fiorire di ipocrisie, di terminologie fuorvianti, come la definizione di “guerra tra la gente” che di per sé già presuppone un inevitabile sacrificio di vittime civili. Secondo la propaganda di casa, la guerra condotta assieme agli alleati è rivolta solo contro terroristi e criminali; qualora involontariamente causasse delle vittime tra civili, subito darebbe l’avvio all’apertura di un’inchiesta. Mentre le azioni militari dei siriani, degli afgani o dei palestinesi producono immancabilmente massacri di bambini e civili innocenti. Anzi tali azioni sono stigmatizzate con l’aggravante dell’utilizzo di armi di portata superiore alle reali necessità, in un quadro generale dove si prospetta il possesso di armi chimiche e l’esistenza di armi di distruzione di massa

Da un punto di vista puramente accademico l’idea di guerra esclude le considerazioni d’ordine morale. Ad esempio il concetto di giustizia non è applicabile nelle relazioni internazionali. Il realismo detta “soltanto le questioni di potere, sicurezza e interesse economico”. Negli ultimi 40 anni “il diritto internazionale bellico si è mimetizzato nel diritto umanitario (international humanitarian law)”. In realtà non viene perseguita nessuna azione umanitaria; la guerra cosiddetta umanitaria è definita tale perché rimane la sola ad essere ammessa dal diritto. Questa è l’unica ragione per l’utilizzo del termine ‘umanitario’ che, affiancato alla  parola ‘peace’, negli scenari di guerra diventa perlomeno di dubbio gusto.

Le operazioni condotte sotto il vessillo ‘umanitario’ quindi o con l’alibi della pace sono “surrogati delle vecchie guerre e, di fatto, perseguono gli stessi scopi e usano gli stessi metodi delle guerre d’invasione, di religione, dinastiche” e quelle di sempre.

Il concetto della guerra quale “strumento della politica” ha dato adito a confusione, ravvisando in essa una continuazione della politica con altri mezzi.

In realtà dalle guerre napoleoniche in poi “nessuna guerra ha consentito il ripristino di una situazione anteriore”. Da ciò ne consegue più chiara la sua vera essenza: ‘una drammatica interruzione dell’azione politica’. “La guerra impone sempre le proprie regole: gestisce, governa e, quando finisce, diventa creatrice di una nuova politica”.

Oggi a supporto delle decisioni interventiste vengono adoperati tutti i mezzi audiovisivi. La lingua utilizzata è l’americano popolare. Difatti i telefilm che godono di maggior successo sono quelli militari e di polizia militare. Il messaggio di fondo è inequivocabile: siamo in guerra contro dei criminali che attentano al nostro benessere e alla sicurezza interna. La guerra, che attraverso lo schermo tv entra in casa, rende la minaccia più vicina. Quasi la si tocca con mano; non ci sono sistemi di sicurezza abbastanza sicuri per poterla esorcizzare. Un episodio qualsiasi di una serie, recente, di telefilm americani ci dice chi è il nemico di turno. E accade che la televisione talvolta anticipi quello che poi riporteranno le fonti ufficiali. Sembra che in uno studio di Hollywood si stia girando il film sulla caduta di Bashar al-Assad in Siria, scrive l’autore che avverte: “I ribelli e il regime siriano devono stare attenti a non cambiare copione”.

Per quanto tecnologizzata e pervasiva possa essere l’informazione, e con essa la manipolazione della stessa, di fronte a una ‘narrativa locale’ si registrato il suo fallimento. Il racconto dell’avversario che corre di bocca in bocca, tradotto in migliaia di dialetti arabi, africani e persiani, narra storie più credibili, “perché a ogni affermazione sulla crudeltà occidentale fa riscontro un esempio concreto”.

Poco male. In ogni situazione il potere è comunque in grado di tamponare le falle, fino a “trasformare i crimini in benemerenze, i sistemi illeciti in leciti e quelli illegali in legali”. Le élite, facendo leva sulla paura e la corruzione, arrivano a manipolare il consenso, a delegittimare le istituzioni, e a “degradare il sistema [...] assorbendone le risorse”.

“Il potere delle bande è favorito dall’obsolescenza programmata di un concetto che una volta era ritenuto un valore fondamentale dello stato: il bene pubblico”.

La liberalizzazione ha condotto al ridimensionamento del “controllo pubblico, quasi che questo fosse uno strumento di schiavitù”. L’assenza di regole ha facilitato il compito a chi si prefiggeva di sfruttare il bene comune.

A cavallo tra fine secolo XX e inizio del XXI due colonnelli cinesi, avendo analizzato il comportamento occidentale nelle relazioni tra stati sovrani, hanno identificato in esso la tendenza a una “guerra senza limiti”, individuando nel terrorismo (Bin Laden) e nel capitalismo privato (G.Soros) delle specificità del conflitto mondiale in atto. Alcuni circoli occidentali hanno capovolto lo studio dei cinesi ravvisandovi le premesse per una rincorsa da parte della Cina tendente ad eliminare il gap tecnologico in campo bellico con gli USA. Il dispiegamento di maggiori forze militari statunitensi nel Pacifico prende l’avvio da queste considerazioni. Il controllo preventivo, attraverso la competizione e la disparità nel riarmo, rischia di anticipare “il tempo d’inizio dei conflitti fino al punto di provocarli ancora prima che esista un avversario”.

I Cinesi in Africa si sono accaparrati lo sfruttamento di miniere e di estese zone terriere concedendo prestiti a tasso zero, forniture di medicinali, e la costruzione di strade e ferrovie, senza colpo ferire. Invece le mire dell’industria bellica sono che le guerre non devono finire; e sono per la proliferazione di nuove armi. Negli USA esiste “una classe intellettuale e accademica orientata all’evoluzione della guerra” che ha spinto le tecniche di combattimento a  “livelli parossistici”.

“La guerra si fa ‘con razòn o sin ella’, e la verità diventa quella del vincitore”. La percezione, o meglio la manipolazione che se ne fa, è il fulcro intorno al quale ruotano le mille attività d’intelligence, attraverso la gestione e il condizionamento dei servizi d’informazione, le tecniche di persuasione, la deformazione della realtà per finalità politiche ed economiche.

La tecnologia per uso militare e quella per uso civile è interconnessa. La ricerca spasmodica di nuovi sbocchi porta a ipotizzare sempre “nuove forme di lotta e nuove armi da usare in contesti multidimensionali” i più disparati: urbani e non urbani, terrestri e marini, informatici, ambientali.... Pertanto non sorprende lo sviluppo di nuove armi potenti e fantasiose (armi termobariche, ibride, a energia diretta, laser, nucleari di nuova generazione, a radiazione controllata, all’uranio impoverito, a metalli inerti, spaziali, scudi stellari...). Meraviglia invece la scoperta che “non esiste ancora una strategia per sconfiggere il terrorismo, né sul piano ideologico né su quello politico”. L’approccio esclusivamente militare non è perseguibile a tempo indeterminato senza essere integrato da misure complementari. Si dovrebbe puntare allo sviluppo economico, a rassicurare la controparte. “Ma questo significherebbe mettere ‘fuori mercato’ tutti coloro che vivono di guerra”.

L’ammiraglio statunitense Eugene J Carroll ha ammesso: “Nei 45anni di Guerra fredda abbiamo fatto la corsa agli armamenti contro l’Unione Sovietica. Ora facciamo la corsa agli armamenti contro noi stessi”.

Il sistema è collaudato. La ricetta prevede alcuni accademici pagati “profumatamente”, affiancati da ‘yes men’ militari; si mettono insieme una serie di dati “rigorosamente dispari (i numeri pari sono meno credibili, e quelli tondi addirittura falsi), e si lavora di fantasia”; si elabora e si ricava ciò che sembra possibile. L’esercizio condotto periodicamente prefigura sempre nuovi scenari, tutti “catastrofici”, che necessitano ingenti risorse per le forze armate di terra, della marina e dell’aeronautica.

La  minaccia più tangibile tuttavia è quella demografica, interna, già presente nei paesi occidentali, aggravata dall’incapacità dei politici e della società di saper integrare gli immigrati, di riuscire a dare nuove prospettive ai giovani. Alla luce del fatto che la globalizzazione non ha prodotto un mondo più giusto; poiché da quello che appare, globalmente, si sono affermati solo il terrorismo, il crimine, e i mercati finanziari, sconquassando “bolle di ricchezza” assieme ai vecchi equilibri conquistati dopo anni di lotte sociali.

“Secoli di speranze e di progresso sono stati vanificati in pochi decenni da un pugno di astuti profittatori che il sistema degli stati nazione non è in grado di controllare”.

Ai nostri giorni, per le gerarchie militari e i dirigenti d’azienda, i riti nazionali sono stati rimpiazzati da quelli dei rispettivi corpi militari o delle società multinazionali di appartenenza.

Ritroviamo i nostri soldati nei campi di battaglia, in missione, “perché non abbiamo voglia e fantasia di pensare in modo diverso ... perché siamo conniventi con chi impone la guerra per il profitto” con potere pressoché incontrastato.

I progetti futuri prevedono “sistemi globali robotizzati, sciami di droni” che condurranno a nuove guerre gestite da una console e un pugno di operatori. Tali operatori decideranno, da lontano, della vita e della morte di persone che non sembrano più reali delle immagini di un qualsiasi videogioco.

Magari, per manovrare questi congegni, verrà loro installato un microchip nel cervello affinché ne aumenti la capacità e lo stimolo a decidere. In fretta.

Pressati dall’emotività, mossi dall’urgenza di fare qualcosa, come automi risponderemo all’ “imperativo al quale tutti obbediscono”: do something, and fast, strike, well done!

 

(continua.4)

 

Come funzionano i servizi segreti, Aldo Giannuli, Ponte alle Grazie - Adriano Salani Editore

La guerra spiegata a..., Fabio Mini, Einaudi

 

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