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La quarta via è fatta anche di fibra ottica

La quarta via è fatta anche di fibra ottica

13 Giugno 2014 Antonio Fiorella
Antonio Fiorella
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“Nella società tecnologizzata, del post d’ogni cosa a breve scadenza, delle nuove tecnologie della comunicazione e della gestione virtuale di molti processi produttivi, l’interazione dei singoli con l’insieme degli interessi collettivi diventa sempre più complessa e la solidarietà si frantuma”.

Il ceto medio si era illuso di avere una posizione intermedia idonea a garantirgli una certa stabilità nel tempo; contava su professionalità ed esperienza acquisite; era confidente di detenere, in mano, le leve giuste capaci di orientare il proprio futuro e quello dei figli; pensava che, nella società moderna, il livello di benessere raggiunto fosse irreversibile. Invece sono arrivati una serie di tornado che a ondate successive hanno spazzato una dopo l’altra queste e ben altre certezze.

Franz Foti, autore de “I disarmati”, con incisività e precisione chirurgica viviseziona la società d’oggi mettendone a nudo lo sfacelo, retaggio della globalità, del laissez faire ai mercati e di un cumulo di errori. E avverte che per uscirne occorre il rinnovo della cultura civile, della “politica fondata sul pensiero e la persuasione positiva”.

Il dissolvimento del socialismo reale sembrava dischiudere un’era prospera di pace e di maggiore benessere per tutti. Esaurito l’impeto rivoluzionario dei decenni precedenti molti movimenti si sono sciolti, molte persone hanno intrapreso i sentieri individuali della ricerca spirituale, della realizzazione professionale e degli interessi propri e dell’entourage di riferimento. Il rampantismo anni ’80 e ’90 è avvenuto all’insegna della soggettività; ha determinato il fenomeno degli yuppies, una demarcazione di successo nell’ostentazione dell’eleganza, di oggetti cult e di narcisismo. Nella smania del successo fine a se stesso si è verificato un declino dei valori.

Con toni derisori la Milano da bere invitava a uscire di casa, a frequentare i locali alla moda, a vestire griffato e ad imitare chiunque, spumeggiante, apparisse sulla cresta dell’onda del momento. Poi si è scoperto che la cresta veniva fatta agli investimenti pubblici dove spese e prebende lievitavano. E l’andazzo è continuato in forme sempre più sofisticate. Il “disimpegno attivo” del ceto medio ha consentito ogni genere di malaffare portando la società nel suo insieme a un grado di passività, tolleranza e assuefazione su livelli da terzo mondo. Difatti ha demolito ogni valore etico, ha deteriorato vivere civile e comportamenti innescando “dissesti nella vita dei singoli e delle famiglie”. Si è assistito a un declino verso “la mediocrità generale nella maggior parte degli ambiti”. Incapace di mettervi mano e di comprenderne la portata, ognuno ha cercato di barcamenarsi, cercando appoggi nella politica e nel malaffare.

Siamo un popolo che si lascia fuorviare e che ritarda parecchio nella comprensione degli inganni”.

Con il crollo dei mercati, si è frantumato il mito della democrazia. “Ora possiamo dire di avere scoperto la terza natura del capitalismo”, e quella alla base del “governo universale, tossico e invisibile”.

Giulio Tremonti, nel libro Il fantasma della povertà (scritto assieme a Edward N. Luttwak e Carlo Pelanda e pubblicato nel ’95), denunciò una globalizzazione troppo veloce e violenta... Poi quello che si paventava è accaduto. La politica degli Stati, dei governi, è surclassata dalle multinazionali; vediamo che Google, Facebook, Apple vanno a depositare i profitti dove vogliono.

Mentre diventa palpabile la stanchezza di “farsi gestire da Mediobanca, dallo spread, da tecnici compiacenti o meno ... e da politici inadeguati e autoreferenziali”, diventa sempre più evidente il bisogno di riuscire a fa emergere le ragioni del popolo, oltre a quelle del denaro. Purtroppo assistiamo a fenomeni inusuali: il baillame multimediale è arrivato a un crescendo di stimoli dove ormai si parla di “pensiero ‘impigliato’ nella sterminata e intrigante rete a fibre ottiche”. La bulimia, da eccesso di informazione, confonde le menti. Ora più che mai serve capacità di discernimento, occorrono “doti massicce di cultura, democrazia, rappresentanza professionale e sociale, senso diffuso d’iniziativa e responsabilità politica”.

Occorre che il ceto medio esca dalla spocchiosa indifferenza figlia dell’individualismo sfrenato; serve il “radicale mutamento delle forme della politica”, ottenibile soltanto con il risveglio della maggioranza un tempo definita silenziosa - oggi si potrebbe dire, rintronata. Si tratta infine d’incamminarsi lungo la strada della responsabilità e della coesione sociale.

La quarta via è fatta anche di più fibra ottica, ma assieme a “più pensiero e più convergenze”.

Per questo siamo tutti convocati!*

La quarta via, precisa l’autore de “I disarmati”, rappresenta una possibilità di uscita dallo stallo politico, economico e sociale in cui versa non solo l’Italia, ma anche molta parte dell’Europa.

La prima via, quella del capitalismo, così come lo abbiamo conosciuto sino ad ora, è fallita perché, pur operando come “sola forza universale al comando” non è riuscita a dare risposte alle esigenze essenziali delle popolazioni nelle varie partizioni del mondo e ha aggravato le ingiustizie, le distanze sociali, ha alimentato nuove sacche di disoccupazione, ha ferito intere nuove generazioni, ha distrutto ricchezza ambientale, economica e finanziaria, ha alimentato ulteriori forme di egoismo e ha soggiaciuto a nuove forme di sfruttamento attraverso “ la finanza creativa”.

La seconda via, quella del socialismo italiano, ha vissuto  i riflessi negativi del legame con l’ex unione sovietica, dei boiardi  autoritari e conservatori di ogni lembo geopolitico, della maledizione delle divisioni e delle scissioni che lo hanno costretto ad essere protagonista secondario delle nostre fasi della storia, ad  esclusione dell’era antifascista, si è infranta con “l’usato sicuro”, con la carica dei 101 che hanno silurato Prodi nel corso dell’ultima elezione per la presidenza della repubblica.

La terza via, quella di Giddens, realizzata da Tony Blair tra il 1989 e il 2002, cioè quella che ha sconfitto il “tacherismo” e ha aperto la strada alla post socialdemocrazia europea. Linea che ha avuto successo, realizzando la filosofia dello “stato amico”, ma che godeva ancora di condizioni economiche nazionali ed europee in cui vi erano ancora buoni margini di redistribuzione. Oggi quella via, così come si è sviluppata, nei contesti, nelle condizioni interne e con le strategie innovative che ha proposto e realizzato spezzando le vecchie categorie di classe e della politica, troverebbe seri ostacoli a dispiegarsi.

Dunque la quarta via si configura come una “convergenza d’interessi” al di fuori degli steccati ideologici e dalle vecchie categorie sociali  e politiche del ‘900. Servono nuove chiavi di lettura, post ideologiche.

La quarta via si fonda su tre fasi:

1^:  quella della coscienza di base che mette insieme le sensibilità civili, culturali e politiche attorno  al bisogno fondamentale di un profondo cambiamento (la convergenza degli interessi) indipendentemente dalle provenienze e appartenenze ideologiche o di partito, esigenza che risulta dal fallimento della classe dirigente italiana politica, imprenditoriale, istituzionale:

2^: questa seconda fase, dell’intelligenza propositiva, sosterrebbe la prima in termini di articolazione di contenuti tali da poter superare le culture del minimalismo culturale (istruzione, formazione, ricerca), ma,  e soprattutto, che modifichi il modello di consumo e consentano di sviluppare nuove strategie di spinta nei settori delle energie rinnovabili, dell’agricoltura (come nuovo asse della società dei bisogni, della modernità), dei beni  culturali, del turismo, dell’artigianato e della piccola e media impresa, da considerare il luogo del rilancio della creatività e dell’intelligenza progettuale;

3^:  riferita alle forme della “rappresentanza politica” e che presuppone una radicalità inusitata stante i fallimenti della struttura dei partiti-stato, la degenerazione delle istituzioni  che ha favorito corruzione, malaffare e degrado etico in tutte le partizioni sociali, produttive e rappresentative, sindacato compreso.

Il tutto viene concepito in una diversa concezione della democrazia che deve restituire potere alle strutture di sorgente democratica (il Comune cosmopolita), riportare le Regioni alla sola funzione d’indirizzo e non di spesa, eliminare le bardature della burocrazia riducendola a poca cosa, eliminando tutto ciò che non serve (buona parte delle strutture pubbliche), riparametrando il welfare secondo aggiornamenti sociali, demografici, solidaristici, di genere e di generazione, riducendo la devastante divaricazione sociale fra i diversi corpi sociali e rimettendo al centro i valori etici dentro cui darei priorità al lavoro, all’istruzione, al sostegno della famiglia e dell’impresa.

Penso a una democrazia orizzontale che ponga al primo posto “lo stato superiore del cittadino” . In quest’ottica i ceti medi sono indispensabili. I loro saperi sono decisivi. E con loro o si diventa forti insieme o si ritorna alla debolezza frustrante e solitaria”.

Le differenze

“La quarta via si fonda su quattro principi etici: il rispetto della dignità della persona per allontanare le nuove schiavitù, la libertà di espressione, la giustizia sociale per salvaguardare le differenze in una visione di bene comune, lotta spietata alla corruzione e alla criminalità.

E’ decisivo considerare questi principi come il legante ordinato e finalizzato di una società in cui non si uniscono interessi corporativi, privilegi, sopraffazioni, arroganze, individualismi e progetti d’inganno. Le società devono riportarsi dentro questo respiro di pensiero e di azione individuale e collettiva per allontanare la barbarie politica che ha pervaso gli ultimi 30 anni di questa finta democrazia. Diversi corpi sociali potranno stare insieme (ripeto: convergenza positiva d’interessi) se ciascuno tende a un progetto generale di società e non punti a ripercorrere la disastrosa vocazione allo scambio politico degenerativo e dentro il quale i ceti medi hanno vissuto sino alla brutalità della crisi che attraversiamo. Ci si chiederà se tutto ciò avrà esiti di sinistra, di centro o di destra e se i corpi sociali che si vogliono aggregare reggono a politiche fiscali di giustizia, a politiche sanzionatorie di evasione ed elusione fiscale, se i privilegi accumulati sono ancora un fardello da spianare per dare attuazione al principio del merito come presupposto di professionalità, valore aggiunto creativo, produttivo e dunque strumento di appagamento personale e collettivo.

Non nutro molti dubbi che le differenze si possano riposizionare alla luce di questi indirizzi e che si manifesteranno con chiarezza . Pasolini diceva che la destra vuole lo sviluppo e che la sinistra cerca il progresso.  Ora lo sviluppo diventa un concetto universale. Ma quale sviluppo? Le differenze entrano in campo quando si dovrà delineare la sua qualità e sulla direzione che gli verrà impressa e che nulla dovrà avere a che fare con la speculazione finanziaria e parassitaria.

Quando si dovranno tagliare gli artigli rapaci della corruzione e si riporteranno “le aureole dei politici” a dimensione ordinaria. Le differenze faranno saltare il conservatorismo di destra e di sinistra (sindacato, professioni, ordini professionali, partiti e concezione della militanza, posizionamento e funzione degli apparati, ecc.) e rimetteranno al centro, si auspica, la centralità delle nuove generazioni contro gli egoismi delle vecchie e dentro le quali il ceto medio sarà decisivo nel ridisegnare le strutture istituzionali, le visioni del solidarismo, lo snellimento delle bardature costruite dai boiardi di potere in ogni interstizio della società.

Ci saranno differenze fra la multiculturalità e il razzismo, fra accoglienza e respingimento, fra dignità della prestazione lavorativa e schiavitù del lavoro, fra politiche di generazione e conservazione di privilegi, fra democrazia partecipata e democrazia millantata, fra solidarietà ed egoismo, fra conoscere e ignorare, avere e non avere, piacere e dispiacere, fra localismo corporativo, chiuso e gretto e localismo cosmopolita.

Avrei però sempre una raccomandazione da sollecitare: va ricostruita la coscienza popolare perché come avvertivano Machiavelli, Manzoni, Pasolini (e molti altri), il popolo non sempre è quella gran cosa che si vuol far credere. La chimera del sogno è l’esca fondamentale per gli allocchi e noi ci siamo abbandonati all’ebbrezza del sogno della ricchezza inarrestabile e del successo da conseguire ad ogni costo e spesso solamente “con le mani in tasca”. L’era dell’inganno della visibilità, intesa come centro vitale della modernità, deve essere ricondotta drasticamente nel recinto dei narcisismi e della speculazione mercantile, di audience politica, sociale e comportamentale. Ricascarci è molto semplice. Mussolini ce lo ha insegnato. Dunque trasparenza, democrazia, solidarietà, impegno individuale e collettivo e una buona dose di generosità per ricostruire il nostro Paese”.

 

Ipse dixit.

I disarmati, di Franz Foti, Editori Internazionali Riuniti

 

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