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Intrusione delle neuroscienze nella sfera della moralità

Intrusione delle neuroscienze nella sfera della moralità

12 Giugno 2013 Antonio Fiorella
Antonio Fiorella
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La contrapposizione tra scienza e religione, dopo i traguardi raggiunti dall’astronomia nell’esplorazione dell’immensamente grande (l’universo), vede aprirsi il fronte opposto dell’infinitamente piccolo: il cervello umano rappresenta un microcosmo ancora ammantato di mistero, ma già si affacciano osservazioni che fanno vacillare verità considerate assolute.

Lo studio delle funzioni cerebrali porta a interpretazioni innovative che toccano la sfera della moralità. Ovviamente gli scienziati non sono concordi su tutto, né tutti si professano atei o agnostici. E naturalmente molti distinguo hanno motivazioni, di superficie, poco attendibili. Ad esempio, l’erogazione dei finanziamenti per la ricerca può condizionare non poco talune prese di posizione.

L’idea di fondo che funge da spartiacque fra opposte fazioni sarebbe che la scienza si occupa di studiare le leggi sul funzionamento dell’universo fisico, mentre la religione rappresenta l’autorità indiscutibile per quanto riguarda il significato dell’esistenza e dei valori morali.

Secondo Sam Harris, autore de Il paesaggio morale, questo punto di vista è totalmente privo di senso. “Significati, valori, moralità e vita buona e bella devono collegarsi a fatti che riguardano il benessere degli esseri senzienti.” Dipendono da eventi terreni e dallo stato del cervello umano.

I credenti di tutte le fedi si mostrano divisi in tutto, ma all’unisono concordano sul fatto che la fede in Dio sia l’unica fonte da cui derivano la conoscenza, il senso della vita e una guida spirituale. “Così, tradizioni religiose mutualmente incompatibili trovano rifugio dietro la stessa mancanza di logica,” mentre passa in secondo ordine il fatto che non esista una prova provata dell’esistenza di un Essere superiore.

Harris ritiene che la moralità debba essere studiata, analizzata e soppesata come qualsiasi altro fenomeno naturale. Essendo il cervello umano il ricettore degli avvenimenti terreni, essendo la mente correlata alle funzioni del cervello stesso, ne consegue che il nostro benessere dipende dalle condizioni dell’uno e dell’altra, nonché dalle sollecitazioni ambientali. In sostanza alla base dei nostri comportamenti possono esistere verità scientifiche che vale la pena di scoprire. La sfera dei valori morali dovrebbe essere considerata alla stregua di un ramo della scienza da sviluppare.

L’autore non arriva ad affermare che qualsivoglia controversia di ordine morale possa essere risolvibile col metodo scientifico. Ma, obietta, se “l’incapacità di rispondere a una domanda non ci dice nulla sulla possibilità che la domanda abbia o meno una risposta,” perché non dovremmo neanche indagare?

Poiché “non esiste una fisica cristiana o un’algebra islamica,” non è ammissibile neppure una morale cristiana o islamica.

Invece in nome della tolleranza persone di cultura, studiosi ben intenzionati, esitano nel prendere posizione di aperta condanna di fronte a  pratiche assurde come l’infibulazione, l’obbligo di indossare il velo, i matrimoni combinati e “altri simpatici prodotti della moralità alternativa.” Perché questi temi non dovrebbero essere affrontati dalla scienza? Perché dovrebbero risultare accettabili le punizioni corporali praticate nelle scuole di 21 stati degli USA?

Prendiamo il caso di due persone che, come Adamo ed Eva, abbiano nelle loro mani la possibilità di realizzare il proprio benessere e quello delle generazioni future. Le prospettive non sono “come giochi a somma zero.” I due potranno in armonia predisporre le basi per produrre tecnologia, arte e medicina. Oppure combattersi per far prevalere gli interessi contrapposti dell’uno e dell’altra. Ad ogni passaggio si confronteranno trovando vie giuste e vie sbagliate. “Perché la differenza tra risposte giuste e sbagliate dovrebbe... sparire se aggiungiamo 6,7 miliardi di persone a questo esperimento?”

Quando un’azione è in grado di peggiorare la condizione di tutta una comunità, è plausibile che possa essere definita moralmente cattiva?

Nella comunità scientifica il relativismo tende ad affermare che, in fatto di morale, nessuna verità può dirsi superiore alle altre. Eppure ci sono culture che non sembrano affatto impostate al conseguimento del benessere collettivo. Ciò nonostante non appare perseguibile la richiesta “ai detentori di un’antica cultura di conformarsi alla nostra idea di uguaglianza dei generi.” Il semplice invito a farlo sarebbe giudicato un atteggiamento “culturalmente imperialistico e filosoficamente ingenuo.” Pensiero questo condiviso soprattutto tra gli antropologi.

Tutto quanto viene compiuto in nome della moralità rientra nel campionario dei prodotti e dei “processi inconsci modellati dalla selezione naturale.” Pertanto si delinea la necessità di approfondire tre progetti, ossia: 1) spiegare perché la gente tende a seguire modelli assurdi di pensiero e di comportamento, 2) determinare quali modelli dovremmo seguire, 3) convincere le persone, che sono portate a seguire percorsi pericolosi, a cambiare idea e vivere una vita migliore.

Ancora oggi, scrive l’autore, un antico software gira nel cervello di centinaia di milioni di ragazzi spingendoli a commettere delitti d’onore, a sfidare a duello l’avversario per gelosia, a continuare faide sanguinarie della cui origine si è persa la memoria.

La teoria dell’evoluzione ha dato risalto all’egoismo come imperativo biologico. E’ un’idea alquanto “diffusa ma sbagliata” rivelatasi dannosa per la convivenza e la scienza stessa. La cooperazione tra esseri umani dovrebbe assumere una posizione preminente, e diventare l’essenza di una vita ricca di significato.  Le società vitali sanno che non vi è nulla di più importante della cooperazione. 

Gli scienziati sondano le attività cerebrali utilizzando tecniche denominate neuroimaging*. Prendiamo il caso di richieste di favori rivolte a funzionari pubblici o comunque a persone che possono esercitare delle preferenze a discapito di altri. Si è accertato che le scelte fatte con equità stimolano l’attività cerebrale legata alla ricompensa, mentre l’accettazione di proposte ingiuste ha ripercussioni sul controllo di emozioni negative. Ed è per questo che  la generosità verso i bisognosi, la visione degli interessi dell’intera collettività, le decisioni imparziali contribuiscono al nostro benessere psicologico e sociale. L’ingiustizia invece mina la fiducia reciproca rendendo più difficile le possibilità di attivare la cooperazione.

Ci sono poi scoperte che appaiono illogiche, pertanto diventano ancora più sorprendenti da identificare e studiare. L’incremento delle donazioni è proporzionale a come viene recepito il messaggio di aiuto. Un viso sofferente stimola le persone a immedesimarsi nella cruda realtà. Però talvolta la ridondanza delle informazioni fornite, sull’estensione di un problema, si rivela dannosa e perfino controproducente. Slovic ha classificato tale fenomeno come “effetto della vittima identificabile.”

Deve rientrare tra gli obiettivi della nostra civiltà quello di promuovere meccanismi culturali idonei a non commettere errori di valutazione. Tradizioni secolari possono essere portatrici di riti propiziatori e iniziazioni che sfociano in atrocità.

Nel campo dell’economia comportamentale si è scoperto che i risparmiatori tendono a sovrastimare le perdite e sottostimare i guadagni, anche a parità di risultato netto.

Un sondaggio ha rivelato che oltre un terzo degli statunitensi sospetta che il governo federale “abbia dato una mano nell’attacco terroristico dell’11 settembre o non abbia agito per fermarlo.” (Scripps Survey RC, Ohio)

Molti studi convergono nell’affermare quanto sia illusoria la nostra sensazione di ragionare in modo obiettivo. Ciò non toglie che bisogna imparare a mettersi in discussione, e riflettere come dare ai nostri pensieri uno snodo più efficace.

Uno dei tabù presenti nel terreno della moralità è il concetto di libero arbitrio. Minare l’esistenza del libero arbitrio sembra togliere legittimità alla custodia carceraria e alla punizione di quanti hanno infranto la legge. Quindi ogni ridimensionamento di tale concetto viene recepito come un attentato all’ordinamento giudiziario. Le persone che affollano le carceri, condannate per i reati commessi, “hanno una qualche combinazione di geni cattivi, genitori cattivi, idee cattive e sfortuna, ma quali di questi fattori sono direttamente responsabili?” E’ opportuno lasciare libero un omicida, sapendo che il tumore al cervello è stato la causa della sua azione violenta? Bisogna assicurargli un intervento chirurgico o metterlo nel braccio della morte? E come comportarsi se vengono riscontrati altri fattori che hanno scatenato la violenza omicida?

Il riconoscimento del cervello come organo fisico ha contribuito a ridurre non pochi pregiudizi. Dei test hanno rivelato che quando a qualcuno viene chiesto di ricordare un numero es. le ultime quattro cifre della propria tessera sanitaria e dopo gli viene domandato di fornire una stima di quanti medici operano in una data città, i numeri statisticamente appaiono simili con una “frequenza significativa.” Questo effetto scompare se l’ordine delle domande è invertito. Ciò spiega gli errori sistematici che si ripetono, poiché vengono associati a contesti e compiti svolti precedentemente.

Lo studio dell’architettura mentale, benché molto complesso, ci rivela che nostro malgrado siamo inclini a distorsioni della realtà. E’ stato riscontrato che nella colonscopia, se il medico prolunga di una manciata di secondi il procedimento, non estraendo subito la sonda, gli ultimi istanti dell’esame vengono registrati dalla memoria del paziente come meno fastidiosi. Successivamente “il sé che ricorda” (remembering self) indurrà il soggetto a considerare l’intero procedimento più tollerabile. Insomma il nostro io spesso si trova in disaccordo con una parte di sé (riferito non solo alla parte meno nobile del nostro essere). Siamo in balia di un dualismo: il sé che vive l’esperienza (experiencing self) e il sé che ricorda (remembering self) hanno percezioni diverse dei medesimi avvenimenti.

Lo spirito di lealtà a un’idea o a un gruppo di persone può indurci all’autoconvincimento (o autoinganno), che rappresenta un allontanamento dal terreno della razionalità. La condivisione di una ideologia riduce la libertà di pensiero dei seguaci che l’hanno abbracciata. Come nella costruzione di un terrapieno, per accumuli successivi di materiali, il più delle volte le credenze attecchiscono sulle radici di altre credenze.

Ci sono sostanze che alterano le funzioni cerebrali. La somministrazione di Levodopa a delle persone agnostiche determina una maggiore propensione verso l’accettazione dei fenomeni paranormali. I geni dei recettori della dopamina esercitano un ruolo anche nello sviluppo di credenze religiose. Naturalmente le persone credono in qualcosa anche perché questo potrebbe farli sentire meglio. E magari non ne sono neppure del tutto consapevoli. “L’autoinganno, i pregiudizi emotivi e il ragionamento confuso sono intrinseci alla natura umana.”

Nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, della Ame-rican Psychiatric Association, la delution viene definita “falsa cre-denza basata sull’errata inferenza riguardo alla realtà esterna.” Gli autori, nell’intento di escludere le dottrine religiose, precisano che non va definita credenza ciò che viene ordinariamente accettato da altri membri della comunità a cui si appartiene.

“Forse uno psicotico solitario può diventare sano semplicemente attirando una folla di devoti?”

Difficile separare il limite di demarcazione tra malattia mentale e credenze religiose. Le attuali conoscenze scientifiche della mente rendono sempre più superate le dottrine professate dalle principali religioni. Ancora non è stata accertata la relazione tra coscienza e materia, tuttavia “qualsiasi ingenua concezione di anima può oggi essere respinta sulla base dell’evidente dipendenza della mente dal cervello.”

Il benessere dell’individuo, correlato ad eventi che si verificano nell’ambiente, dipende da come questi interagiscono dentro ognuno di noi. Gli effetti di tali eventi vanno ad incidere sull’equilibrio fisico e mentale sia della collettività sia dei singoli. Se si accetta la dicotomia salute e malattia, diventa altrettanto valida la distinzione tra moralità sana o moralità patologica.

La visione di una società illuminata deve porsi l’obiettivo di giungere a un approccio scientifico nel configurare le vette e gli abissi del paesaggio morale.

 

Antonio Fiorella

 

Il paesaggio morale, Sam Harris, Einaudi

 

(*)

Le colorate immagini del cervello possono indurre i ricercatori a formulare asserzioni che vanno oltre i solidi dati scientifici. Il pubblico di non addetti ai lavori può credere a queste suggestioni. In particolare, nonostante abbiano fornito solide evidenze di alterazioni nelle strutture e nelle funzioni del cervello associate a diversi disturbi psichiatrici, le tecniche di neuroimmagine (o neuroimaging in inglese) non possono essere utilizzate né per diagnosticare questi disturbi, né per determinare esattamente come i trattamenti agiscano, almeno per ora...

 

 

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