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2016: un anno ancora di corsa o votato alla lentezza?

2016: un anno ancora di corsa o votato alla lentezza?

18 Dicembre 2015 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Sulla lentezza ci sono numerosi testi e libri, tutti scritti per elogiarne e metterne in risalto i benefici. La realtà continua a essere dominata dalla velocità, anche quando non ci serve. A rendere veloce il mondo e ad accorciare il tempo sono i nostri comportamenti, ma anche la percezione che il presente sia ormai l’unico tempo rimastoci. Un presente da vivere intensamente, senza perderne alcun attimo, sempre tecnologicamente connessi e in tempo reale. Senza lentezza e immersi nel presente tecnologico perdiamo di vista il futuro, la sua importanza nel dare corpo alla speranza e a una visione positiva di ciò che verrà. Senza contare che il nostro cervello è un motore lento…

Nel suo libro Elogia della lentezza, Lamberto Maffei ha analizzato i meccanismi cerebrali che guidano le reazioni rapide dell'organismo umano, di origine sia genetica sia culturale, con un invito a scoprire i vantaggi di una civiltà dedita alla riflessività e al pensiero lento. Il suo libro è stato sicuramente acquistato da un numero elevato di persone ma l’autore ha probabilmente scarsa possibilità di vedere i suoi suggerimenti messi in pratica. A pesare e a condizionare i comportamenti, i modi e i tempi di azione/reazione delle persone non sono tanto gli innumerevoli strumenti tecnologici e la loro forza attrattiva ma il fatto che essi hanno modificato l’ambiente in cui si vive dando forma a percezioni del tempo che non si prestano alla lentezza, così come non si prestano all’utopia (irrealizzabile in velocità) o al recupero del passato (diventato ormai semplice museo da visitare con un click su Wikipedia o con Google).

L’andare di fretta, il cinguettare rapido e veloce, il messaggiare prima ancora di avere completato la lettura, il rispondere a email che potrebbero riposare nella mailbox per settimane intere, il fotografare tutto con il timore che al ritorno sia già scomparso, l’autoscatto sempre attivo praticato per allontanare i danni del tempo, sono tutti comportamenti che ben illustrano quanto moli filosofi stanno sottolineando da tempo, la sparizione del futuro e del passato, liquefatti in un eterno presente. Peccato che per rincorrere in tempo reale l’attimo fuggente del presente abbiamo trasformato il passato in museo, della memoria ma da visitare raramente, e liquefatto il futuro.

L’eterno presente con il suo richiamo al bisogno di andare veloci è ben espresso dall’opera artistica di Gino De Dominicis intitolata Il tempo, lo sbaglio, lo spazio, un’opera del 1969 nella quale la scena vede in campo uno scheletro umano spiaccicato per terra con il suo cagnolino e con i pattini ai piedi (nell’opera c’è anche una barra dorata che collega un dito della mano allo spazio interstellare). E’ un’opera che fa riflettere sull’inutilità degli sforzi finalizzati a sconfiggere la morte, metafora del futuro che sempre arriva ma anche espressione della schizofrenia del presente. Da scheletri, benchè dotati di pattini, non si raggiunge alcun futuro. Ci si può muovere rapidamente nello spazio (i pattini) e nel tempo (le nuove tecnologie del tempo reale) ma non si può allontanare il futuro che prima o poi accadrà. Lo sbaglio del titolo dell’opera sta proprio nel cercare di correre per sfuggire a qualcosa che non si può sfuggire, nell’opera identificato nella morte (il “quanta fretta, ma dove corri, dove vai? Se ti fermi un momento capirai….”, della canzone del Gatto e la Volpe di Edoardo Bennato). Si brucia il presente in assenza di una prospettiva futura o per paura che la destinazione finale abbia già un nome.

Lo smartphone, il tablet, Facebook, Twitter, WhatsApp e Instagram sono tutti validi strumenti di velocità potenziali sostituti di pattini a rotelle ma anch’essi destinati a creare lo stesso sbaglio e la stessa illusione. Se il presente è usato solo come spazio della corsa il rischio è di non riuscire ad andare da nessuna parte. Se ci si libera invece dall’incanto che il presente tecnologico esercita, allora può diventare possibile tornare a prevedere futuri diversi, non virtuali e neppure paralleli ma di cambiamento, trasformativi e anche un pò utopici. La prima trasformazione da realizzare è quella cognitiva e della propria mente.

Il 2016, anno bisestile, può essere l’anno giusto per recuperare l’orientamento e la direzione. Il problema è che nessuno sembra potersi concedere il lusso della velocità lenta. Se tutti corrono come si fa a essere lenti? La lentezza non è percepita come un dono o una destinazione ma come una perdita di tempo e un elemento di inadeguatezza. Se il ritmo è dettato dall’emulazione delle macchine e non dalla macchina lenta del cervello umano, il rischio è il cortocircuito, la scelta sbagliata, la frustrazione mentale e il disagio fisiologico.

Per il 2016 meglio allora riprendere in considerazione l’invito di Maffei al recupero di un quieto andare, di una lentezza capace di curare lo stress tecnologico e digitale rinunciando a cinguettare e messaggiare, almeno per un attimo di tempo. Il fisico ha bisogno di almeno cinquemila passi giornalieri ma la mente al contrario ha bisogno di riposare perché il cervello che la alimenta è un motore che soffre il surriscaldamento e lo stress da competizione veloce.

Andare lenti permetterebbe tra l’altro di alimentare il cervello con informazioni diverse che nascono ad esempio da relazioni umane, di avere maggiori opportunità per l’esercizio della creatività e forse anche di proporre alternative possibili ad un modo di vivere che, così com’è, non sembra più avere la capacità di trasformare il mondo. E invece oggi tutti abbiamo bisogno di grandi cambiamenti e di trasformazioni reali, non solamente raccontate e cinguettate.

Buon Natale a tutti coloro che trovano il tempo di leggermi!

 

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