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Il display del mio smartphone è la mia finestra sul mondo

Il display del mio smartphone è la mia finestra sul mondo

02 Agosto 2016 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Siamo circondati da schermi, grandi e grandissimi, piatti e curvi, piccoli e miniaturizzati, nella vita professionale così come in quella privata. Sono in costante evoluzione, sembrano essere con noi da sempre, giocano un ruolo culturale importante e occupano una parte crescente del nostro tempo vitale e mentale. Essendo diventati anche mobili e indossabili (vere e proprie protesi bioniche), ci seguono ovunque, lasciano con noi il nostro spazio privato e varcano, sempre insieme a noi, spazi pubblici come bar, uffici e mezzi di trasporto ma soprattutto sono in grado di sviluppare con chi li usa una relazione in tempo reale, intuitiva e molto emotiva. Sono diventati grandi finestre sul mondo...

[Un testo pubblicato nell'ebook E guardo il mondo da un display]


 

Ogni epoca si è caratterizzata per come gli esseri umani hanno usato il dispositivo ottico imposto come strumento per guardare/vedere il mondo. La nostra era della modernità lo ha fatto a partire dallo schermo come superficie e finestra (lo schermo assume comunque significati molteplici e non tutti riconducibili alla finestra).

Grazie alla piattaforma di personal computing Windows, lo schermo del personal computer si è abitato di finestre contribuendo ad arricchire di significati un termine archetipo, da sempre oggetto di metafore, analogie e simbologie, chiave di lettura e strumento interpretativo delle nuove realtà identitarie del sé alla ricerca costante di una loro nuova unitarietà. La finestra come metafora racchiude suggestioni e rimandi continui al dentro e al fuori, all’altrove e all’altro, il tutto strettamente legato al ruolo dell’occhio (come finestra dell’anima) e alla percezione visiva (modello di una certa visione del mondo e del modo di vedere). La finestra come display è destinata a una visione frontale, va oltre la sua planimetria rettangolare o quadrangolare, delimita uno spazio della rappresentazione definito, supera la sua soglia (quanto appare sullo schermo non è solo ciò che appare e ha una scala dimensionale diversa da quella reale). Riempie il vuoto dei suoi spazi con immagini, narrazioni e suoni, attivando una relazione costante tra l’io e le molteplici realtà virtuali in essa rappresentate e nelle quali si fondono interiorità individuali nascoste e rappresentazioni del sé pubbliche, relazioni e bisogni di conoscenza e socializzazione.

Quella dell’era moderna (postmoderna) è una finestra che ha assunto dimensioni spaziali diverse, dal finestrino degli schermi mignon degli smartwatch agli oblò rettangolari rappresentati dai prismi dei Google Glass, dalle vetrine colorate degli smartphone alle portefinestre dei tablet fino alle vetrate panoramiche dei televisori ad alta definizione e degli schermi cinematografici di tipo cinerama. È una finestra che divide lo spazio in due parti, il di qua e il di là da essa, ed è metafora di un passaggio tra le due, ma deve essere aperta o trasparente. È un punto di osservazione privilegiato, è apribile e chiudibile, trasparente e opaca, trasformabile in vetrata o vetrina, componibile o sovrapponibile (una finestra dentro la finestra), capace di separare e unire ma soprattutto metafora potente di ogni opera d’arte (pittura, cinema e fotografia) e oggi delle numerose interfacce uomo-macchina e dei numerosi mondi virtuali e immaginari da esse rese possibili. Nella sua manifestazione attraverso il display di uno schermo che determina il nostro modo di vedere, condiziona anche il nostro modo di pensare e di sperimentare le cose del mondo.

Nell’era dalle mille finestre ([1]) aperte, sui dispositivi mobili, sulle pagine degli amici di Facebook e di WhatsApp, la finestra è sempre più metafora dello sguardo vitale con cui esploriamo e percepiamo il mondo esterno e per riflesso, il mondo dentro di noi. È metafora della frammentazione dell’esistenza che porta a frequentare spazi virtuali diversi e a ricercare la connessione (non importa se superficiale e dipendente da semplici click) ma mai in profondità e sempre con una velocità che impedisce relazioni intime e importanti. Lo è anche di finestra come spazio per un attraversamento rovesciato, dall’interno verso l’esterno, dal mondo digitale del Web a quello reale dell’individuo che lo naviga e lo esplora. Le finestre che si aprono sullo schermo attraverso il browser sono le nostre finestre sul mondo ma anche gli spazi attraverso i quali il mondo si rovescia nella sua diversità, complessità e molteplicità dentro di noi favorendo il riconoscersi del singolo dentro una comunità di persone che condividono le motivazioni, i gesti, e le finestre del mondo digitale che frequentano.

La ricchezza polisemica della parola finestra e la sua flessibilità ne hanno permesso un utilizzo in contesti tra loro molto diversi, a partire dalla pittura, dalla letteratura e dalla fotografia (lo schermo che diventa occhio) fino alle interfacce interattive e tattili dei dispositivi mobili e dei grandi schermi televisivi attuali. Leon Battista Alberti (nel 1435 pubblica il ‘De Pictura’)  nel Rinascimento introduceva la prospettiva e parlava della pittura come di “una finestra sulla realtà dove [...] si evidenzia la verosimiglianza nei rapporti tra le cose raffigurate”). La finestra di Alberti serviva a definire le linee di proiezione della prospettiva e in questo modo a delimitare uno spazio su cui attirare l’attenzione, oggi la stessa finestra è usata come metafora esemplare delle interfacce uomo-macchina e delle sue mille forme possibili (sempre come finestre), capaci di generare frammentazione e separazione così come nuove opportunità di superamento delle barriere tra il dentro (l’Io rifesso) e il fuori (la realtà percepita). La finestra di Alberti nella forma di schermo plastico si trasforma nel pensiero psicanalitico di Freud in finestra velata, una finestra chiusa da una tenda che, come lo schermo, mostra da un lato la rappresentazione della realtà (l’immagine sul display) e dall’altro la nasconde allo sguardo. La verità rimane inaccessibile così come il soddisfacimento del desiderio, collegato allo sguardo, rimane illusorio. Per giungere alla verità non rimane che squarciare il velo dello schermo, obiettivo oggi reso urgente dalla proliferazione dei nuovi dispositivi ottici tecnologici e dei nuovi media.

Mentre la finestra di Alberti indicava l’intenzione di rappresentare il mondo nella sua veridicità, oggi le mille finestre producono un’infinita varietà di verità possibili e di interpretazioni, tutte collocate all’interno di cornici che svolgono il ruolo di racchiudere lo sguardo all’interno di un luogo chiuso, protetto e lontano dalla critica ma non per questo più veritiero o meno alterato. Lo sguardo imprigionato dalle immagini che scorrono sui display di uno smartphone o di un tablet sono così accattivanti e magiche da indurre alla contemplazione, contribuendo alla separazione tra mondo dentro la finestra e mondo fuori e impedendo una vera e proficua comunicazione tra i due mondi. La contemplazione è spesso legata all’inquadratura, all’ampiezza della cornice e alla capacità di ciò che vi appare di sembrare reale così come reali sono i molti paesaggi descritti da letterati e artisti nelle loro opere e narrazioni nate attraverso il ricorso alla metafora potente della finestra e che hanno contribuito alla diffusione della cultura visuale e dell’immagine odierna.

La capacità della finestra di essere aperta o chiusa (schermo), di permettere di vedere e, al tempo stesso, di essere visti, di nascondere e mostrare, di separare nella distanza e di unire nello sguardo, è stata oggetto da sempre di riflessioni letterarie, psicanalitiche e filosofiche, producendo molti significati utili oggi ad affrontare lo stress moderno da troppi schermi tecnologici, che coglie un numero crescente di persone, nelle loro vesti di utenti e di consumatori. È uno stress che si manifesta nella forma di traumi legati alla frammentazione dell’Io, alla difficoltà a sentirsi a proprio agio con la propria identità (non quella frammentata, senza corpo e digitale ma quella interiore, fisica e radicata nella realtà attuale) e alla necessità di mettersi costantemente in discussione.

La finestra tecnologica, potenzialmente un caleidoscopio di nuove opportunità per la contemplazione fantastica del reale, è diventata il simbolo della solitudine del cittadino postmoderno alla ricerca di comunità e di socialità (La solitudine del cittadino globale di Zygmunt Bauman) e della frammentazione della realtà. Le molteplici finestre schermo con cui siamo abituati a interagire con il mondo, agiscono come potenti strumenti che fanno da schermo (paradosso e parodia teatrale di un termine) alla realtà rendendola inconoscibile e aumentando la percezione di fallibilità che solitamente associamo al nostro sguardo incerto sul mondo.

L’ambiguità del display come finestra nasce dalla sua geometria e forma. La sua cornice separa i contenuti e le immagini in essa contenute dal reale, il mondo del gioco e dell’arte da quello dei fenomeni, la rappresentazione sul video dallo spazio dello spettatore ([2]). Così come lo sguardo del pittore o del fotografo finiscono per costruire lo spazio e la cornice all’interno della quale trattenere lo sguardo dello spettatore, le moderne tecnologie, le loro APP e relative icone grafiche e tattili danno forma a realtà virtuali e simboliche dentro le quali lo sguardo dello spettatore si perde, ma sempre in spazi-tempi delimitati (la prima dimensione della finestra è innanzitutto quella del display del dispositivo usato) e finiti. È in questi spazi che oggi i numerosi possessori di smartphone recitano e rappresentano le loro vite, sempre alla finestra e visibili dalle molte finestre aperte su di loro attraverso la Rete, i videogiochi, i MUD (Multi User Dungeon) e i social network. Sono spazi eccitanti, finestre con orizzonti sempre diversi, seppure lontani e irraggiungibili, esperienze che rendono la vita reale noiosa e insopportabile perché priva della novità e dell’eccitazione che solo possono regalare le finestre di WhatsApp e di Twitter, i muri delle facce o di Instagram e Pinterest, con la loro capacità di intrattenimento e di divertimento che facilita lo scorrere del tempo e fa sentire meno soli.

Lo schermo finestra continua a generare una duplice dimensione del reale, una determinata dallo sguardo sulla realtà apparente e virtuale del display, la seconda, anche se non necessariamente cosciente, determinata dalla percezione del sé e dalla costante ricerca introspettiva che porta a vedere in ogni rappresentazione sullo schermo un’immagine interiore. Chi interagisce con il display del suo telefonino conosce la forza dello sguardo ma percepisce anche la sua bipolarità. È uno sguardo che penetra lo schermo e va lontano ma al tempo stesso che cerca di cogliere i contorni e le immagini che, dietro le spalle di chi guarda, si riflettono nello schermo.

Le molte finestre sullo schermo diventano tanti occhi aggiuntivi con cui esplorare mondi immaginari, virtuali e paralleli alla ricerca dell’essenza del reale e di ponti tra di essi. Lo scopo è trasformare la finestra in strumento di conoscenza, ritrovare la propria identità frammentata e rompere la stessa dipendenza dallo schermo finestra che impedisce l’esperienza dello stare insieme socialmente e fisicamente nella realtà.

Con l’avvento dell’era Mobile e la proliferazione di dispositivi di ogni tipo e forma, lo schermo finestra ha assunto un significato importante di comunicazione e contatto. È attraverso lo schermo che i due mondi apparentemente distinti, quello reale e digitale e quello fattuale e fisico, si incontrano. L’incontro avviene nella forma di conversazioni e dialoghi online, si perde nel tempo e nella memoria, si arricchisce ogni giorno di nuove esperienze capaci di dare serenità e di alleviare il senso di frustrazione e sofferenza che sempre accompagna ogni esperienza esistenziale. Il display è una finestra che aiuta ad andare lontano e a farlo in compagnia di altri.

La finestra schermo sempre aperta mantiene la sua ambiguità anche come strumento di video-display-sorveglianza e controllo. Deve rimanere aperta per favorire sempre nuove esperienze e soddisfare le aspettative visionarie dello sguardo ma l’essere aperta la trasforma, non solo metaforicamente, in uno spazio osservabile anche da occhi indiscreti e invisibili che possono limitare la libertà dell’individuo, violare la sua privacy e minacciare la sua vita personale e sociale online e offline. In quest’ottica, il display tecnologico diventa come Internet, il muro delle facce di Facebook e il motore di ricerca di Google, uno strumento che contribuisce a condizionare la realtà e la sua narrazione (solitamente interattiva volta a formare un’ipernarrazione) e a dare forma a mondi virtuali nei quali l’individuo post-moderno continuerà a ricercare la sua identità e a cercare di soddisfare la sua voglia di comunità ma sempre nell’angoscia che qualcuno lo osservi, lo veda e lo controlli. 

La proliferazione degli schermi dell’era digitale non ha determinato solo nuove esperienze individuali e plurali nelle loro caratteristiche di finestra ma anche nel loro essere diventati superfici tattili e sensoriali, montate su dispositivi mobili e sempre connessi e capaci di generare esperienze utente immersive e emotivamente coinvolgenti. Il mondo che verrà è destinato a vedere la proliferazione di nuove finestre, probabilmente trasparenti e ologrammatiche come quelle immaginate nel film Minority report tratto dal romanzo di Philip Dick, indossabili e miniaturizzate o trasformate in display di binocoli da realtà aumentata e virtuale e Google Glass.

Le nuove generazioni di Nativi Digitali e Millennial non avranno probabilmente nessuna difficoltà a interagire con le molteplici finestre tecnologiche che faranno parte del loro stesso essere e della loro cultura ma avranno bisogno anche loro di staccare lo sguardo dal display per guardare negli occhi i loro simili e provare a costruire con loro relazioni profonde capaci di dare forma a rapporti fiduciari, empatia e sentimenti di amore e amicizia.

Per farlo dovranno essere capaci di elaborare una riflessione critica sull’uso da essi fatto dei display degli schermi dei loro dispositivi ma soprattutto di vincere l’ansia che questi display, con le loro finestre, sono capaci di generare.



[1] Per un approfondimento sul tema dello schermo come finestra suggerisco la lettura del libro di Pasquale Romeo, L’uomo windows. L’autore vi analizza la nascita dell’uomo windows inteso come il risultato adattativo ed evolutivo di una società traumatizzata dagli effetti e dalla pervasività della tecnologia.

 

[2] Matilde Battistini: “Sin dalle sue origini, la cornice sembra svolgere un ruolo determinante all’interno dei meccanismi di produzione e ricezione delle immagini, attivando quella funzionalità, normativa e selettiva, indispensabile per separare il dominio dell’arte dal mondo reale. La posizione liminare e la funzione di cesura tra due diverse forme di realtà, il mondo fenomenico e la rappresentazione pittorica, fanno della cornice un oggetto estremamente ambiguo, in quanto “luogo, o non-luogo, di un’articolazione mai semplice, mai data una volta per tutte, tra lo spazio dell’opera [il di dentro della rappresentazione] e lo spazio dello spettatore 

 

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