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I pesci che siamo diventati!

I pesci che siamo diventati!

19 Settembre 2018 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Condivido l'introduzione del mio ebook del 2016, I pesci siamo noi. L’idea dell'e-book è nata dalle frequenti analogie e metafore che, nella mia attività professionale, sono spesso servite a collegare azioni marketing-commerciali alle tecniche e alle pratiche del pescare, ma anche dall’ascolto di una vecchia canzone (Up Patriots to Arms) di Battiato del 1980, dal ricordo di un libro stimolante e divertentissimo come Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams (Grazie per tutto il pesce – quarto volume della trilogia), dalla lettura recente de Il Cerchio, il testo distopico di Dave Eggers, dall’ennesima visione del film culto The meaning of life dei Monty Python e soprattutto dalla lettura di numerosi testi che negli ultimi tempi, sempre più mediati tecnologicamente, stanno suggerendo di guardare in modo critico alla tecnologia[i].

“Il panottico è dentro di noi, la servitù è volontaria, siamo intenti a sorvegliare e premiare fino a quando non si manifesta un’anomalia da integrare, o punire se si dimostra riottosa.” -  Ippolita – Anime Elettriche 

“Per un verso il compito … oggi consiste nel cogliere l’inconscio che è sotto i nostri occhi, seppure ammantato e protetto da effetti speciali confusivi, per l’altro non lasciarsi ingabbiare da strategie compromissorie di sopravvivenza ma battersi per una vera emancipazione.” – Agnes Heller e Riccardo Mazzeo – Il vento e il vortice


In particolare mi riferisco a quei libri che suggeriscono un approccio attivo e critico dei modelli sottostanti alle rivoluzioni e alle piattaforme tecnologiche. Un approccio consapevole e non conformista, politico e finalizzato a difendere gli spazi di libertà individuali, il privato ormai diventato un'estensione del pubblico, le informazioni personali e la privacy dei profili digitali, a difendersi dalla colonizzazione cognitiva e dalla assuefazione che crea dipendenza, dalla mercificazione commerciale e consumistica della Rete.

Il mio e-book non offre soluzioni definitive ma semplici spunti di riflessione utili a identificare, ed eventualmente praticare, alcune tecniche di resistenza alla invadenza tecnologica ma soprattutto a quella dei suoi sacerdoti ed officianti. Sarà un resistenza limitata dal nostro essere diventati complici della tecnologia e dal non possedere che le semplici armi dei deboli con le quali provare a difendere la nostra privacy, il nostro diritto alla riservatezza e all’oblio e la nostra dignità umana che va oltre il nostro essere semplici consumatori o target di messaggi promozionali. Nel delineare quali possano essere queste armi mi farò aiutare da alcune letture e da numerose metafore legate al mondo della pesca.

Prima di dotarsi delle armi necessarie bisogna essere disponibili ad un coinvolgimento diverso come quello che, con obiettivi diversi, suggeriva Battiato in una delle sue canzoni più famose. Con i suoi testi che si fissano indelebili nella mente, sia per la melodia della musica e la facilità con cui possono essere ricordati, sia per le molte metafore in essa contenuti, la canzone Up Patriots to Arms di Battiato chiama alla riscossa (Engagez-Vous) mentre i fiumi sono in piena ed è possibile, anche per gli stupidi (le comunità d'imbecilli di Umberto Eco?), stare a galla perché “la fantasia dei popoli che è giunta fino a noi, non viene dalle stelle” e per citare una canzone di Alessandro Mannarino, neppure dalle lampare.

Dalle stelle sembrano giungere oggi fino a noi le nuove tecnologie, con la loro capacità di soddisfare la nostra immaginazione e fantasia, di riempire le nostre vite di strumenti digitali che fungono da interpreti e generatori di realtà, sono in grado di dare forma a nuovi comportamenti, credenze e mitologie di progresso e di felicità. Difficile non farsi trascinare e conquistare ma il sentimento che lega alle nuove realtà tecnologiche rischia di nascondere e alimentare nuove forme di sottomissione e dipendenza, determinate dall’eccessiva credulità (una specie di rito consolatorio della società dell’informazione), dall’ignoranza e scarsa conoscenza, dalla superficialità (ci si beve tutto quello che fluidifica i canali informativi della Rete) e noncuranza (attivare il proprio processore per una riflessione critica è faticoso). Atteggiamenti che possono limitare o impedire l’acquisizione della consapevolezza necessaria a dare valore agli oggetti dell’esperienza e alla loro organizzazione compiendo scelte e prendendo decisioni  libere e autonome, senza farsi troppo condizionare dai falsi miti di progresso della tecnologia, dalle sue icone di Marche e marchi e dai suoi guru officianti e molto mediatici.

 

I fumi e i raggi laser tecnologici confondono la mente, trasformando tutti in spettatori ingenui e poco attenti alle nuove realtà del mondo. I mondi sfavillanti e magici delle molteplici realtà online occupano cervello ed emozioni, rubano tempo e attenzione, allontano ed estraniano dal reale. Le pedane piene di scemi che si muovono delle discoteche degli anni 80 sono oggi le agorà digitali degli spazi sociali di Facebook, Instagram o WhatsApp. Spazi che hanno annullato il privato e sono abitati da tante lucciole che stanno nelle tenebre e le cui luci sono insufficienti a modificare la parvenza di paesaggi che vivono immersi nell’oscurità.

La canzone di Battiato chiamava alla responsabilità individuale, a recuperare la fiducia in se stessi, alla maggiore conoscenza e alla consapevolezza per vivere la socialità e la società in maniera attenta, senza distrazioni o false speranze. La Rete tecnologica, i suoi spazi sociali e i suoi riti consumistici creano promesse illusorie e apatie cognitive[iii] che influenzano e condizionano il modo di pensare di chi li usa e li abita.

Per evitare di essere un pesce catturato nella rete, ogni persona dovrebbe armarsi di pensiero critico e consapevole, di cultura e intelligenza e in primo luogo di tanta voglia di reagire (agire attivamente) a una società tecnologica che sta trasformando tutti in semplici algoritmi, burattini senza fili ma altrettanto manovrabili e condizionabili di quelli del teatro delle marionette. La stessa verità, ricercabile soggettivamente dentro di noi (conosci te stesso, la tua anima e la tua psiche – riconosci che sei un uomo - γνῶθι σαυτόν), è diventata sempre più un’esperienza digitale da delegare a Google e alle sue risposte convalidanti e verificatrici o alla numerosità dei MiPiace espressi dalle moltitudini vocianti e rumorose che percorrono incessantemente i muri delle facce. Una realtà non molto dissimile da quella proposta dai numerosi populismi/ti emergenti che tendono a ridurre la complessità del vivere democratico al rapporto diretto tra il leader e il suo popolo (masse di potere).

Il primo passo da compiere inizia dal rendersi conto di quanto la realtà virtuale della Rete sia un oceano che non esiste, tanto è frammentata in stagni paludosi e acquari dai confini trasparenti ma rigidi, di quanto sia facile abboccare all’amo tecnologico e alla sua esca chewing gum (gomma da masticare) per gli occhi, di quante siano numerose le esche predisposte nei suoi spazi digitali, di quanto i carnefici attuali siano diventati invisibili e trasparenti e di quante siano le persone (“le panchine sono piene di gente che sta male” come dimostrano i casi di suicidio online, anche recenti) che soffrono per gli effetti dell’uso che fanno della tecnologia.

La presa di coscienza non è facile e il suo percorso non è facilmente individuabile. È resa difficile dall’essere tutti coinvolti e intrappolati, cognitivamente, emotivamente, socialmente e operativamente, all’interno di spazi tecnologici che si sono evoluti nella forma di una Rete delle reti e della quale abbiamo perso ogni nozione e percezione temporale e geo-spaziale. È una rete rizomatica[v] dalla forma di labirinto nella quale, se non si sa bene dove guardare, dove andare, cosa fare, o ci si distrae, è molto facile perdersi e ritrovarsi da soli, isolati, confusi e impossibilitati a recuperare il filo di Arianna necessario per ritrovare la via d’uscita della salvezza.  Chi conosce le vie di uscita possibili è il costruttore del labirinto (sul tema ho scritto un e-book: Nei labirinti della tecnologia pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital) che, per la grande mole di informazioni di cui è in possesso e per essere l’unico a godere di uno sguardo complessivo, ha la possibilità di decidere quali varchi tenere aperti o chiudere e quali fili di Arianna stendere o offrire ad alcuni fortunati novelli Teseo.

Non tutti però sono il Teseo della mitologia che riuscì a uscire dal suo labirinto personale grazie al favore degli dèi. Il labirinto socio-psico-tecnologico odierno è alimentato da dèi voraci (dodici – δώδεκα erano quelli più importanti della mitologia greca, pochi sono anche quelli attuali: Google, Apple, Amazon, Facebook, Microsoft, Uber, Tesla), nuove divinità che hanno eletto la Silicon Valley californiana come il loro nuovo Olimpo e che sono costantemente impegnate a combattersi tra di loro coinvolgendo nelle loro battaglie le masse dei nuovi credenti, utenti della Rete e utilizzatori di gadget tecnologici dai marchi riconoscibili come lo erano gli stendardi, gli scudi e le armature dei guerrieri di un tempo. Questi dèi hanno sviluppato una loro ideologia che si è fatta scelta politica e religione, tradendo la neutralità del mezzo tecnologico per trasformarlo in uno strumento partigiano usato per scopi commerciali ma soprattutto per celebrare la loro filosofia fatta di abbondanza, innovazione e consumismo.

La religione tecnologica è così forte da aver fatto dimenticare come la rivoluzione tecnologica, in atto da anni, non abbia per nulla risolto i numerosi problemi politici ed economici che condizionano la vita reale di milioni di abitanti della terra e di molti cittadini del mondo. Questa rivoluzione ha rubato la scena, ha un ruolo decisivo nelle involuzioni politiche ed economiche in atto (pervasività dell’automazione e disoccupazione come conseguenza della diffusione di robot e macchine intelligenti) e svolge un ruolo che il filosofo ottocentesco Karl Marx definirebbe di oppio per le masse. Ad esempio nel distrarre l’attenzione delle persone dai fatti della realtà e dai suoi conflitti per trattenerla (intrattenerla) sui messaggi e le narrazioni digitali online (meglio giocare con Pokèmon Go che soffermarsi a riflettere sulle stragi di Nizza o sul colpo di stato in Turchia).

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Mentre i primi fanno riferimento alla crescente disoccupazione giovanile, al fenomeno dirompente e inarrestabile delle migrazioni in atto, alla stagnazione dei redditi e all’aumento della disuguaglianza, le seconde narrano e celebrano la sharing economy, la connettività, la gratuità degli spazi sociali della Rete e la vastità delle risorse del Cloud. In questo modo, come ha scritto Eugeny Morozov nel suo libro Silicon Valley: i signori del silicio, “i ricchi continueranno ad avere e a godersi i propri yacht, le loro limousine e i jet privati”, tutti gli altri continueranno [ndr] “a usare sensori, smartphone e APP come tappi per le loro orecchie” e a indossare visori e occhiali intelligenti resi opachi dai loro display per non vedere la realtà e non ascoltare se stessi e il mondo reale e fisico che sta loro intorno.

Rinunciare a esprimere il proprio sguardo soggettivo, a guardarsi dentro invece di esprimersi solo attraverso avatar digitali, a elaborare pensiero critico e a costruire relazioni sociali reali, significa essere ciechi e sordi. Significa non essere più in grado di leggere e capire la propria realtà, oggi composta da mondi paralleli e comunicanti, spesso fatta di tanta solitudine e bisogno di comunità. Significa ingannare se stessi e gli altri, giocare con le parole e i mezzi di comunicazione, che usiamo per le narrazioni condivise in Rete, per nuove forme di  inganno che possono essere esercitate da altri anche su noi stessi.

Chi rinuncia a mettere in discussione la sua realtà tecnologica, sta rinunciando a una parte di se stesso e alla sua libertà. Una scelta comprensibile in un’era dominata dalla scomparsa delle ideologie novecentesche e delle grandi utopie (“Siamo realisti, esigiamo l’impossibile”) e dall’emergere di una ricerca tutta individualistica e un po’ narcisistica di benessere e salvezza personali. Una scelta che in realtà non è una scelta perché indotta in modo irrazionale dalle molteplici realtà virtuali frequentate e suggerita in modo manipolatorio, subdolo e coercitivo da parte dei nuovi poteri che, attraverso le loro piattaforme tecnologiche, governano il mondo e l’economia.

Chi sa di avere già rinunciato a percorrere la difficile strada dell’auto-coscienza può trovare numerose auto-giustificazioni dalla lettura del libro Il Cerchio di Dave Eggers[  . Un libro letterariamente non perfetto, ma ricchissimo di spunti per persone interessate agli effetti della tecnologia sulla realtà e alle potenziali trasformazioni distopiche da essi generabili. La protagonista del romanzo è Mae che accetta di buon grado di essere inghiottita dal meccanismo della interconnessione e visibilità perenne offerta dalle tecnologie di accesso (TruYou), di socializzazione (Zing), di ricerca (SoulSearch) e di visibilità estrema (SeeChange) del Cerchio. Pur di mantenere il livello sociale e la reputazione raggiunti all’interno del Cerchio e, tramite le sue tecnologie, al suo esterno, Mae non avrà alcuno scrupolo a rinunciare al fidanzato, che per scappare alle telecamere e ai droni del Cerchio deciderà liberamente di suicidarsi, ai genitori che rifiuteranno di barattare le cure di cui hanno bisogno per la sclerosi multipla con la loro costante esibizione pubblica lautamente ripagata dal Cerchio, alla collega e amica Annie che manifesta alcuni dubbi sulla eticità delle regole del Cerchio e per questo motivo verrà denunciata da Mae e anche a uno dei suoi amanti e socio fondatore del Cerchio che, alla fine del romanzo, manifesta la sua resistenza a portare a termine l’opera intrapresa con il progetto del Cerchio.

Non tutti sono come Mae, così convinta di stare scalando l’Everest del successo e della felicità derivanti dalla visibilità, dal successo e dalla numerosità dei contatti da non comprendere l’abisso verso il quale si sta dirigendo. Esiste anche lo sguardo e la voce fuori dal coro di Mercer, il fidanzato che la invita a ritrovare le forme di intimità e sincerità perdute e suggerisce di lasciar perdere l’edulcorante felicità degli strumenti tecnologici che non porta a nessun miglioramento e a non alimentarsi con le loro merendine, attentamente studiate e graduate per farsi continuare a mangiare, perché in realtà non sono affatto nutrienti........


...chi fosse interessato a completare la lettura e a leggermi potrebbe scaricare dalla Rete il mio ebook del 2016  I pesci siamo noi

 

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