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La realtà come un videogioco

La realtà come un videogioco

29 Ottobre 2018 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Ciò che spesso colpisce frequentando Linkedin è la lontananza dalla realtà vissuta. Una realtà che, non a caso, molti definiscono di merda ma che online diventa pulita come lo è l’acqua riciclata e resa trasparente da un eccessivo uso di cloro.

Dentro Linkedin, e ancor più in altri social network, è come se tutti ci si comportasse da hipster, per rimanere cool, per essere visibili e a la page, per seguire e mimetizzarsi con i memi emergenti di turno. Il risultato che si ottiene da questa recita collettiva è come quello generato dalla clorazione e debatterizzazione dell’acqua che difficilmente tornerà a essere potabile.

Alimentare e agire da protagonisti della narrazione che occupa costantemente la home page del professional network è un esercizio utile ma insufficiente a far dimenticare il caos mentale nel quale molti si trovano a vivere la loro vita personale, così come la sofferenza psichica che nasce dalla diffusa incertezza, dall’assenza di solidarietà (altro che collaborazione), e dalla precarietà che molti si trovano a sperimentare. 

La realtà fattuale è dura a morire

Bandita dai social network, la realtà fattuale emerge costantemente e si fa beffe degli algoritmi. Non trova però espressione nei numerosi post e articoli pubblicati online. Soprattutto non sembra costituire elemento di riflessione critica, utile innanzitutto a cambiare il linguaggio e a dare forma a nuovi concetti con i quali interpretare il mondo che sta emergendo e imponendosi come nuova realtà, lavorativa, sociale ed economica. Un approccio diverso da quelli adottati fin qui e che non sembrano essere serviti a ridurre la merda crescente dei lavoretti, del precariato, dei contratti a tempo, dei blogger e dei writer alla ricerca costante di un reddito decente per campare. 

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Molte narrazioni sono estetizzanti, fanno riferimento a copioni e sceneggiature fotocopia, richiamano mondi felicitari inesistenti, favole dal lieto fine e tranquillizzanti, usate per far sognare e addormentare. Ad addormentarsi non sono però bambini e bambine ma la percezione, la consapevolezza, la  coscienza e la volontà di persone normali che abitano Linkedin con i loro profili digitali,  depurati da tutti gli elementi negativi che caratterizzano le loro vite reali. Nulla da meravigliarsi! La narrazione, di sé e di storie, deve aggiornarsi ai tempi presenti. Lo hanno fatto anche le fiabe, nate per raccontare la natura umana per quello che è, e trasformate nel tempo in storie edulcorate per adeguarsi al mood del momento che deve far credere al miracolo e alla felicità.  

Continuiamo a raccontarci storie

A forza di raccontarsi storie però, si è diventati protagonisti del fenomeno noto come Fake News, la menzogna che si trasforma in verità. Non solo in politica e nei media, ma anche nella vita personale e professionale. Non solo perché vittime e destinatari di verità manipolate, post-verità e non-verità, ma anche complici nel farle proprie, nell’alimentarle e diffonderle. Una complicità che genera disinformazione e le cui conseguenze possono essere alla lunga preoccupanti nei loro effetti finali.

Così succede che in Rete sta aumentando il numero di persone che credono che la terra sia piatta o che le lampadine al neon siano usate dai governi per rendere passive e facili da controllare le persone. E su Linkedin è grande la moltitudine di persone che crede ancora di arricchirsi facendo SEO, social media marketing o di trovare un nuovo lavoro in tempo rapido. Semplici esempi che ben descrivono una realtà complessa dominata dal surplus informativo ma anche da tanta impotenza nel valutare razionalmente le cose e ricondurle a una interpretazione misurabile. 

Felici di stare dentro un videogioco

L’impotenza nasce dall’avere introiettato una verità, percepita come tale nella sia brutalità. La verità che tutto sia diventato ormai come un grande videogioco, dal quale è impossibile allontanarsi e nel quale bisogna muoversi come tanti guerrieri alla ricerca della semplice sopravvivenza. Si collabora ma per motivi utilitaristici, non per motivi etici e valoriali come la fiducia, la compassione, e la solidarietà. Ci si muove e ci si racconta online come se la realtà che si abita sia ormai l’unica possibile. Come nei videogiochi, nei quali può cambiare la scenografia e la sceneggiatura ma non il contesto che li ha visti nascere. Il contesto è quello della piattaforma (grande acquario-mondo) che li contiene e li vede in azione, un contesto che suggerisce di praticare la complicità e introiettarne le regole, come unico modo di prevalere sugli altri o anche semplicemente di sopravvivere. 

Il videogioco è anche la metafora usata da Baricco nel suo recente libro The Game per raccontare la rivoluzione digitale ma anche la mancanza di coraggio, soprattutto delle nuove generazioni, nel dotarsi di strumenti utili a comprendere e a governare le nuove realtà parallele nelle quali ormai tutti viviamo. Strumenti che potrebbero, secondo Baricco, farli diventare elite. 

Abitare e frequentare Linkedin o gli altri social network non è più sufficiente, neppure quando se ne trae vantaggi individuali. Conta molto di più saper usare queste realtà come se fossero sfere di cristallo per analizzare e comprendere la realtà. E’ un esercizio a cui sono chiamati i Millennial e i Nativi Digitali ma anche gli immigrati digitali che hanno da tempo sposato la complessità  come teoria del mondo e strumento per adattarsi e contribuire al cambiamento, compreso quello delle rivoluzioni tecnologiche attuali.

Linkedin offre uno spaccato limitato, e neppure significativo, della realtà sociale e del lavoro che caratterizza l’era tecnologica attuale. Chi lo frequenta lo fa per obiettivi delimitati e personali, ma potrebbe anche farlo in modo più intelligente. Ad esempio mettendo in discussione la forma stessa del videogioco al quale partecipa e che racconta una realtà diversa da quella vissuta dalla maggior parte delle persone, comprese alcune di quelle che abitano in pianta stabile il social network alla ricerca di nuove opportunità e maggiore visibilità. 

Riflettere criticamente aiuta

Riflettere criticamente sugli strumenti tecnologici serve oggi a comprendere, a livello cognitivo, la grande trappola che ha imprigionato una moltitudine di persone, anche su Linkedin. La trappola è prima di tutto determinata dal linguaggio e declinata in parole (concetti) come condivisione, collaborazione, sharing economy, globalizzazione, ecc. ecc. Parole che poco hanno a che fare con concetti come solidarietà, diritti (educazione, sanità, privacy, tempo libero, ecc.), comunità, lavoro, informazione, ecc. e che spesso sono usate senza comprenderne i reali significati, attualizzati alla realtà del reale. 

Negli spazi interconnessi e globalizzati di piattaforme come Linkedin si può credere di essere protagonisti del cambiamento e delle trasformazioni in corso, ma anche dimenticarsi della realtà del mercato del lavoro reale e le reali condizioni di lavoro di molti lavoratori, anche cognitivi, che devono fare i conti con situazioni in costante deterioramento. 

Viviamo in realtà parallele 

Riuscire a ricollegare realtà online e realtà attuale vissuta può servire a conquistare l’autonomia di giudizio perduta e la capacità individuale di mettere in discussione l’esistente e le pratiche abitudinarie alle quali ci si è sottomessi. Significa riuscire a scardinare il meccanismo, tutto tecnologico e digitale, di stimolo-risposta introducendo, tra il primo e il secondo elemento, la componente del dubbio. Unico elemento dal quale può nascere una qualche forma di libertà di scelta così come la capacità di decodificare la realtà acquisendone maggiore consapevolezza. 

Nella politica è oggi fondamentale riuscire a rompere la bolla di realtà alternativa (citazione dal libro di Michico Kakutani, La morte della verità) fatta di false e post-verità. Nei mondi virtuali come Linkedin è necessario reagire ai modelli imposti dagli algoritmi (mai neutrali) e dalla logica ad essi associata da chi li ha prodotti,  che suggeriscono passività e compiacente sottomissione. Nel farlo si diventa produttori di nuovi significati, si riprende il controllo di un linguaggio diverso da quello binario e delle emoji, e soprattutto si riporta lo sguardo sulla realtà fattuale che si sta vivendo. Tutti possono fare questo tipo di sforzo ma è probabile che solo pochi lo faranno. Questi ultimi avranno il merito di avere contribuito a delineare i tratti di futuri diversi da quelli che oggi appaiono a molti come già predefiniti e quasi inevitabili.

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