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Media digitali e ingordigia dei signori del silicio

Media digitali e ingordigia dei signori del silicio

20 Novembre 2017 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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La Rete è piena di testate giornalistiche online ma quante sono realmente redditizie? Quante hanno soddisfatto le speranze di coloro che le avevano create? Quante sono sparite senza lasciare traccia? Chi sono i responsabili di una realtà emergente che sembra portare a ulteriore centralizzazione e predominio dei pochi? Inserzionisti e/o lettori? Quanto contano i comportamenti sociali dei consumatori di notizie e informazione?

Crisi dei media digitali? Parliamone!

La crisi dei media digitali non è al momento argomento popolare, anzi è un tema poco trattato dai media e anche dai media digitali (in Italia ne parla da tempo Datamediahub, recentemente ha catturato l'attenzione di molti un articolo di Josh Marshall sul tema). Un modo forse per esorcizzare le difficoltà presenti e spostare in là nel tempo la fatica di una riflessione critica che obbligherà a nuove scelte e decisioni.

La crisi è percepita dalle testate più popolari così come dai molti che in questi anni hanno pensato, con progetti individuali (SoloTablet è tra questi) o redazionalmente strutturati, di trarre vantaggio e guadagni dalla pervasività del mezzo tecnologico e dal maggiore tempo passato online da parte di chi lo utilizza.

Oggi  tutti devono fare i conti con una realtà contraddittoria, così ricca di sfaccettature da risultare difficile da valutare e comprendere, soprattutto da parte di chi non vuole cogliere i segnali emergenti di una crisi che interessa tutti, grandi e piccoli editori, produttori di contenuti online e consumatori.  Una realtà certamente non favorevole a chi ha scommesso sui media digitali creando testate giornalistiche, blog o progetti di informazione online. Ma neppure ai media tradizonali che dalla carta si sono spostati sul digitale.

Fatti che parlano e fanno parlare!

A richiamare l'attenzione su quella che alcuni definiscono una crisi emergente è la notizia che una testata famosa come Mashable (ma le testate in vendita negli USA potrebbero essere molte di più, senza contare il calo dei guadagni di realtà come Vince e Buzzfeed e ciò che si muove dentro colossi come Fox News, CNN, Disney ecc.) potrebbe essere ceduta dal suo fondatore per una cifra (50 milioni) che è un quinto di quanto fosse il valore (250 milioni) della testata di soli due anni fa.

Una scelta di vendita che sarebbe motivata dal calo continuo di ricavi che obbliga a riduzioni di organico e a strategie diverse per sopravvivere, ad esempio entrare a far parte di gruppi più grandi e con maggiori risorse finanziarie. Sempre che anch'essi non stiano affrontando la stessa crisi a causa di modelli di business che non reggono più.

Le ragioni di una crisi

Secondo Datamediahub le cause di questa crisi sono molteplici:

  • troppe testate in circolazione (basta seguire la rassegna stampa di Rai News per farsene un'idea - interessante notare anche che molti personaggi invitati a commentare sono presentati con nome e cognome affiancato dal termine giornalista ma senza alcuna testata associata) che impediscono una raccolta pubblicitaria adeguata;
  • il prevalere di tpoche estate globali che hanno il monopolio delle piattaforme tecnologiche come Facebook, Google, Amazon e Microsoft (con Linkedin);
  • il timore crescente degli investitori di non riuscire a capitalizzare gli investimenti fatti e di vedere volatilizzarsi la possibilità di una loro monetizzazione.

A queste andrebbero probabilmente aggiunte cause più profonde, da ricercare nel sottosuolo di una realtà mutata dalla tecnologia e dai suoi effetti sui comportamenti, le scelte e le esperienze di acquisto degli individui, nella loro veste di consumatori, lettori, elettori (il calo delle vendite dei  giornali in Italia è certamente legato anche a come trattano la politica e il loro essere schierati per una parte o per un'altra) e cittadini.

L'eterno presente delle nuove tecnologie dell'informazione impongono una velocità di lettura e di consumo dell'informazione che consuma tutto senza alcuna lentezza, compresi i contenuti di qualità che un tempo garantivano il successo di testate giornalistiche e progetti editoriali online. Abitare in massa le piattaforme dei social network determina un'assuefazione ai loro spazi sociali e una minore attenzione a tutto ciò che sta al loro esterno.

I nuovi comportamenti di consumo emergenti evidenziano nuive necessità, molto rivolte a un consumo semplice, rapido e individuale piuttosto che all'informazione e alla comunicazione. In una realtà dominata dal consumo finiscono per consumarsi anche i produttori di informazione e notizie, fatti a pezzi da chi ha contribuito in modo fondamentale all'affermarsi dei nuovi comportamenti e all'emergere di nuove tipologie di consumatori.

Modelli pubblicitari e comportamento dei consumatori

In crisi non ci sono solo le testate digitali online. La crisi tocca l'intero comparto dell'informazione (in Italia solo ad aprile 2017 le grandi testate hanno visto un calo nelle vendite alle edicole di quasi il 9%), e dei media (è di questi giorni la nuova iniziativa di Repubblica che porterà in edicola un nuovo giornale nel tentativo di rilanciare le vendite del cartaceo, crollate in edicola a poco meno di 180.000 al giorno mentre erano 387.632 nel 2010) a causa, ma non solo, di un mercato della raccolta pubblicitaria completamente cambiato.

Giornali cartacei, canali televisivi e testate web hanno da tempo difficoltà a raccogliere maggiore pubblicità dagli inserzionisti nuovi e tradizionali. Content marketing, storytelling, influencer marketing, social media, ecc., hanno fatto emergere nuovi modelli di comunicazione più adeguati a soddisfare i bisogni dei consumatori attraverso approcci personalizzati e contestualizzati ma anche più consoni ai comportamenti di consumo dei media da parte dei consumatori.

In questo tipo di contesto tutti gli editori, le startup e gli individui che si occupano di informazione online devono poi fare i conti con la continua concentrazione degli investimenti pubblicitari sulle piattaforme possedute dai Signori del silicio (citazione da Eugeny Morozov), in particolare Google e Facebook ma anche Apple, Microsoft e Amazon (GAFAM). Tutte società che con il loro potere stanno imponendo i loro modelli di business anche in altri ambiti creando effetti collaterali importanti in ambito politico, economico e sociale.

Modelli che stanno favorendo l'evoluzione di un tecno-capitalismo finanziario sempre più fluido e globale, costruito sulla retorica autocelebrativa della sharing economy, della generosità, della collaborazione e della solidarietà ma che in relatà sta concentrando il potere in poche avide mani e creando grandi monopoli e disuguaglianze. Nel suo piccolo anche nel mercato dei media.

Monopolio pubblicitario

I piccoli si spengono, pochi grandi diventano bulimici e obesi

In una realtà globalizzata come quella attuale un modo per comprendere fenomeni locali è quello di fare attenzione a fenomeni lontani e periferici. Nel caso dei media bisogna guardare ai fenomeni emergenti che interessano le realtà editoriali digitali degli Stati Uniti.

La realtà dei media americani sta oggi facendo i conti con il Trumpismo e la comunicazione / informazione diventata cinguettante ma anche con situazioni di crisi che toccano le testate digitali con licenziamenti di giornalisti e riorganizzazioni, fusioni o chiusure. 

I fattori della crisi sono molteplici:

  • comportamenti mutati di consumo delle notizie, prevalenza della comunicazione visuale e video (difficile competere con video promozionali e sponsorizzati postati dentro le piattaforme di Facebook e YouTube) su quella testuale;
  • numero elevato di testate che si contendono l'attenzione e il tempo dei lettori/consumatori, la fuga degli investitori che temono di non potere trarre vantaggi (ROI) dagli investimenti effettuati;
  • calo e concentrazione della pubblicità sulle piattaforme tecnologiche di pochi attori che con esse hanno di fatto monopolizzato l'intera raccolta pubblicitaria ma anche l'attenzione del consumatore (se trovo tutto con Google Search o nei post di Facebook perché mai dovrei acquistare un quotidiano o visitarne la versione online?)
  • ruolo monopolistico e iperattivo delle piattaforme tecnologiche finalizzato alla conquista del mondo (basti considerare come la guerra fredda sia diventata oggi una guerra digitale combattutta all'interno di Facebook)

 

La conseguenza di ciò è:

  • la chiusura di un numero crescente di testate, soprattutto quelle con minori capacità di attrarre investimenti e pubblicità;
  • il calo delle opportunità di guadagno e la conseguente impossibilità ad investire e innovare
  • la concentrazione di testate che passa da fusioni o acquisizioni;
  • la necessità di sperimentare nuovi modelli di business
  • e soprattutto la fuga degli investitori verso le piattaforme monopoliste che hanno conquistato il mercato, anche grazie ai comportamenti di consumo passivo ed eterodiretto (qualcuno non condivie questa tesi...) dei consumatori che hanno favorito il loro successo e la loro conquita del potere.

La crisi esiste ma si fa finta che interessi solo gli altri

Ciò che sta succedendo non è ancora una crisi percepita nella sua profondità (non parlandone si cerca di scongiurarla) ma è un fenomeno emergente destinato a far parlare e commentare e soprattutto a determinare scelte dolorose da parte dei molti che in questi ultimi cinque anni hanno investito nell'informazione digitale nella speranza di un guadagno stabile e sicuro.

La crisi dei media va al di là della componente digitale. In una situazione di massimo consumo di media e informazione, tutti i maggiori protagonsti del mercato editoriale sembrano in ansia e in affanno. Devono affrontare una realtà completamente mutata come effetto della rivoluzione tecnologica e digitale. Per sopravvivere devono consolidarsi, fondersi e concentrarsi diventando più grandi o cambiare modello di business. Devono sempre fare i conti con una raccolta pubblcitaria calante ma soprattutto con i mutati comportamenti dei consumatori.

La crisi tocca anche l'Italia, i grandi come i piccoli ma soprattutto questi ultimi. Per farsene un'idea sarebbe sufficiente comparare il numero delle testate di informazione, nate dopo l'entusiasmo suscitato dall'arrivo dell'iPad, il boom del Mobile e delle APP, con il numero di testate simili oggi ancora attive.

Tra queste testate c'è anche SoloTablet, ancora felicemente attivo, forse perchè semplice progetto editoriale in forma di Blog collaborativo. Un progetto focalizzato sull'approfondimento e sulla riflessione critica che per favorire la lettura ha praticamente eliminato la pubblicità e la sua invadenza. Una scelta dagli scarsi o nulli risultati economici ma rivolta a consumatori, di notizie e informazione digitali, nomadi e curiosi. Consumatori che non siano semplici edonisti (Facebook e Instagram) o idioti che si lasciano condizionare da Google e dalle esperienze di acquisto di Amazon e degli shopping center, ma siano alla ricerca di nuove forme di linguaggio e comunicazione e vogliano essere protagonisti, autori e attori delle loro stesse pratiche ed eseprienze di consumo.

Alcune considerazioni finali

La crisi dei media attuale viene associata spesso al calo della raccolta pubblicitaria e alla concentrazione degli investimenti degli inserzionisti su poche testate. In realtà sarebbe forse più importante riflettere sulla mutazione, quasi genetica, del consumatore nelle sue pratiche di consumo, e interrogarsi su quanto un consumo vissuto come irrinunciabile e necessario dalla maggior parte dei consumatori non stia estendendo le sue ombre anche ai media, sia cartacei sia digitali e online.

La riflessione, di editori/produttori di contenuti e informazione, deve certamente focalizzarsi sulla crisi dei modelli di business applicati e su cosa fare per contrastare le tendenze monopolistiche emergenti. Forse sarebbe necessario porre maggiore attenzione a nuovi comportamenti che portano i consumatori ad un uso crescente delle funzionalità per il blocco delle pubblicità web o all'abbandono di pagine web e APP che promuovono al loro interno prodotti o servizi con banner e spazi promozionali.

Grande attenzione dovrebbe anche essere posta  all'affermarsi di una nuova tipologia di individuo che poco ha a che fare con il lettore e il consumatore di informazione dell'era Moderna. E' un consumatore post-moderno molto centrato su sè stesso e sulla sua libertà individuale, che poco si interessa della cosa pubblica o del bene comune ma neppure di valori universali e sistemi sociali. A determinare la sua soggettività, il modo di pensare e i comportamenti sono le esperienze di acquisto e la sua necessità di consumare. Ne deriva che questo consumatore è poco interessato alle dinamiche di mercato e ai suoi modelli ma solo alla pratica del consumo.  Non percepire questo cambiamento radicale significa non capire cosa andrebbe fatto concretamente per rilanciare  i media, compresi quelli digitali.

Non basta cioè innovare o adottare modelli di business diversi non più legati alla pubblicità, non basta riflettere sulle nuove comptenze che servono per rispondere alle nuove sfide, non è sufficiente diversificare l'offerta aggiungendo alla proposizione marketing nuove iniziative, soluzioni ed eventi.

Non basta adegurae e rinnovare le tecnologie da usare, cambiare le regole di mercato per difendersi dai nuovi monopolisti e neppure aumentare la qualità dell'offerta e dei contenuti.

Ciò che serve realmente è una nuova capacità di sentire e percepire le nuove tendenza e i comportamenti emergenti dei consumatori per poi elaborare una strategia in grado di soddisfare audience di lettori che non possono più essere uniformati o percepiti in modo massificato ma come insieme  di tante individualità mosse dallo stesso desiderio di consumo.

 Monopolio pubblicitario


* Immagine della testata tratta da una presentazione di LUMAscape

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