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Media sociali e loro uso come strumento di comunicazione, lotta e manipolazione politica

Media sociali e loro uso come strumento di comunicazione, lotta e manipolazione politica

28 Gennaio 2016 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Tutti i movimenti politici degli ultimi anni sono stati caratterizzati e influenzati dall’uso di media sociali. Dai paesi arabi all’Ucraina i media sociali sono stati usati in modo creativo da attivisti e politici per mobilitare l’opinione pubblica, per organizzare iniziative e forme di resistenza di piazza, per comunicare e informare e come strumento operativo per superare le barriere imposte dal potere di turno. I risultati hanno evidenziato l’ambiguità del mezzo tecnologico e la sua conseguente scarsa efficacia.

C'erano una volta le rivoluzioni arabe

Al tempo delle rivoluzioni arabe i media si sono riempiti di narrazioni sul ruolo che strumenti tecnologici come Facebook e Twitter avevano giocato nel favorire mobilitazioni di massa e la rapida diffusione delle idee e delle ragioni della protesta. A distanza di pochi anni, l’analisi dell’esito di molte di quelle rivoluzioni ha permesso una analisi più attenta dei media sociali usati e del ruolo da essi giocato (La Nuova Era Digitale). Non tutti gli studiosi del fenomeno concordano oggi nel valutare positivamente la loro efficacia nel favorire azioni collettive e di movimento.

L’analisi attenta e tecnocritica ha permesso di evidenziare come i media tecnologici, percepiti come strumenti di libertà e democrazia, sono in realtà, per la loro natura intrinseca, potenti mezzi di censura e di controllo sociale. Usati dal potere di turno o da regimi dispotici per obiettivi e scopi ben lontani dalle aspirazioni democratiche e la ricerca di libertà, possono servire a bloccare ogni forma di rivendicazione, a impedire la crescita dei movimenti e la formazione di leadership così come a sconfiggere avversari politici e nuove formazioni politiche emergenti che trovano il sostegno delle masse.

Il fatto che chi sta al potere abbia compreso il ruolo ambiguo e potente del mezzo tecnologico è evidenziato dal ricorso crescente di politici e loro collaboratori ai media sociali (un esempio su tutti Twitter) per motivi di comunicazione e propaganda politica. Il potenziale e possibile controllo sociale (Non c’è nulla di vero tranne le esagerazioni) da parte del potere così come la comunicazione programmata e pianificata in termini marketing dei politici non sono altro che gli effetti della grande innovazione introdotta dai nuovi media tecnologici. Effetti che suggeriscono una riflessione critica finalizzata a comprenderne meglio i meccanismi e la facilità con cui riescono ad affermarsi.

Le rivoluzioni arabe hanno sorpreso tutti per la loro partecipazione ma anche per l’uso dei media sociali che le hanno caratterizzate. Media e stampa hanno riferito e raccontato il fenomeno ma forse hanno peccato di mancanza di approfondimento o di analisi. A prevalere sono stati gli aspetti di novità, i contenuti trasmessi con la loro carica emotiva e politica e la pervasività di utilizzo.

Dopo il clamore mediatico la necessità di una riflessione diversa

Finito il clamore mediatico e la novità dei fatti e terminate o bloccate le primavere con l’imposizione di nuovi inverni di lunga durata, accademici, analisti politici e attivisti di tutto il mondo si sono dedicati ad analisi più attente e approfondite per rispondere ad un interrogativo principale, il ruolo e l’uso che dei media sociali viene fatto in situazioni di lotta o crisi politica sia dagli attivisti dei movimenti sia da parte del potere istituito.

Il fenomeno non è nuovo e sicuramente è nato con l’arrivo dei social network come Facebook. Già nel 2009 durante le elezioni presidenziali in Iran moltissimi attivisti usarono i nuovi media per propagandare il loro messaggio di cambiamento. L’entusiasmo iniziale dovette fare subito i conti con il controllo governativo della Rete e la manipolazione che ne derivava.

Una situazione simile  si è verificata con le primavere arabe, con il movimento Occupy Wal Sreet, con gli Indignados in Spagna, con la protesta delle tende in Israele, o quella in Ucraina, in Siria, in Turchia e in molte altre situazioni di crisi in giro per il mondo. La comunicazione nata attraverso questi media ha cambiato le forme di impegno civile permettendo di personalizzare i messaggi, di creare in tempi rapidi azioni collettive e nuove iniziative pubbliche e di favorire approfondimenti e acquisizione di informazioni e conoscenze utili all’attività politica.

Per comprendere il ruolo dei media sociali è importante condividerne la definizione e descrizione. La loro caratteristica, secondo alcuni studiosi è di unire insieme la loro [1] infrastruttura di rete, piattaforma applicativa e strumenti per la creazione, pubblicazione e condivisione di contenuti, [2] i contenuti stessi in formato digitale e nella forma di messaggi e testi ma soprattutto di informazioni, conoscenze, idee, concetti e prodotti culturali e infine [3] le persone che li utilizzano e le aziende che li producono e li mantengono. Un insieme di piattaforme hardware e software, di contenuti e di persone, tutte collegate a favorire interazione e condivisione e a favorire passaparola e viralità ma anche contatti sociali e relazioni.

Le caratteristiche dei media sociali sembrano essere state pensate appositamente per la battaglia politica. Si prestano per la comunicazione, la mobilitazione, l’organizzazione ma anche per la manipolazione e la disinformazione. Secondo Eugeny Morozov possono anche fungere da potenti strumenti di controllo

Probabilmente le due visioni opposte, simili a quelle che contraddistinguono tecnofili e tecnofobi, sono vere solo in parte e vanno ogni volta contestualizzate. Come tutti i media anche quelli sociali e tecnologici attuali mantengono la loro ambiguità di fondo, possono servire a distrarre e comunicare così come a distrarre e manipolare. Gli strumenti tecnologici non sono neutrali ma non possono neppure essere accusati di avere il potere di produrre cambiamenti sociali in forma quasi deterministica.

Le rivoluzioni le fanno i bisogni non i media sociali

Per comprendere il fenomeno dei media sociali in politica il punto di partenza non può essere l’analisi del media ma delle reali motivazioni al cambiamento che caratterizzano molti movimenti recenti politici recenti. Inoltre bisogna notare come il potere costituito si sia rapidamente reso consapevole della potenzialità dirompente dei nuovi strumenti e sia corso rapidamente al riparo. Ad esempio con investimenti e iniziative finalizzate alla implementazione di algoritmi (BOT) di rete, capaci di sniffare, individuare e registrare azioni, conversazioni e attività degli attivisti dei movimenti civili o di semplici cittadini nella fase di acquisizione di una loro coscienza politica che li potrebbe portare all’impegno.

Coloro che, come lo studioso Malcolm Gladwell, hanno sottovalutato il ruolo avuto dai media sociali nelle rivoluzioni politiche recenti, sostengono che anche oggi la forza di un movimento o rivoluzione è determinata dalla contiguità fisica e da rapporti faccia a faccia dei protagonisti. Contano le motivazioni, le cause sociali (povertà, precarietà del lavoro, marginalità sociale, disuguaglianza, ecc.) e le ragioni di una protesta. Contano meno gli strumenti usati, soprattutto se tecnologici e come tali posseduti e manipolabili facilmente da chi controlla la Rete, dispone di innumerevoli dati grazie ai Big Data e di risorse per intervenire sulla comunicazione mediatica e sull’informazione e, se necessario, per discriminare, delegittimare e opprimere un avversario politico.

Tra coloro che al contrario sostengono, come Clay Shirky, il ruolo cruciale dei novi media nel favorire nuovi movimenti politici prevale l’idea che la loro forza consista nella rapidità di mobilitazione e nella capacità di raggiungere in tempi brevi grandi numeri di individui. Poca attenzione è posta da questi estimatori sull’altrettanta rapidità con la quale molti movimenti recenti spariscono nel nulla, dopo avere tenuto le prime pagine dei giornali per settimane. La facilità con la quale i membri dei movimenti hanno potuto condividere immagini, video, fotografie e documenti è stata alla base del successo rapido di molte ‘rivoluzioni’.

Rimane l’interrogativo sull’altrettanto rapido rientro nella normalità. Un rientro assimilabile a quello che succede in Rete con molti fenomeni virali. Dopo una fiammata iniziale più o meno lunga e partecipata, l’attenzione vira bruscamente verso qualcosa di diverso e alla ricerca delle fiammate prossime venture. E’ come se l’interesse fosse più sul presente e sull’uso del media che sulle motivazioni politiche di un movimento o di una azione politica.

Tra i vari media sociali una riflessione a parte merita il Blog, uno strumento potente per la forza che individui indipendenti, attivisti, giornalisti possono acquisire con il racconto dei fatti al di fuori del coro e rompendo il silenzio o la foschia sollevata dai media e dalla stampa di sistema. Il blog serve a raccontare fenomeni di corruzione e malaffare, a svelare i fallimenti e le malefatte della classe politica, le ingiustizie e le scelte politiche che le favoriscono. Attraverso il blog passano molte informazioni utili a condividere consocenze e a produrre conoscenza oltre che consapevolezza politica e capacità di elaborare pensiero critico. Il blog spiega sicuramente, molto più di Facebook o Twitter, l’evoluzione politica di movimenti come quello di Occupy Wal Sreet e degli Indignados. Se i movimenti delle primavere arabe non hanno avuto esiti simili lo si deve forse anche alla criminalizzazione e chiusura di moltissimi blog. Basti pensare che in Arabia Saudita ci sono Blogger che rischiano la  pena di morte e che in Siria e Iraq alcuni di loro sono stati uccisi dai militanti di Daesh.

L’ambiguità dei media sociali e di Internet (Programmiamo per non essere programmati nel Grande Presente (The Big Now) sta tutta nella facilità con cui i vari poteri, più o meno totalitari e anti-democratici ma anche democratici, se ne sono impossessati per usarli come strumenti di controllo e di cooptazione del consenso, o nel caso di regimi democratici, principalmente a scopi di comunicazione e informazione. Obiettivo finale lo stesso, silenziare le proteste, renderle innocue e controllarle. Operazione riuscita con Occupy Wal Sreet e altri movimenti simili con la saturazione dell’attenzione attraverso la produzione di un sovraccarico di informazione che ha creato sovraccarico cognitivo e conseguente apatia.

Alcuni governi, come Turchia e Cina, scelgono di disattivare i media sociali di Internet con motivazioni legate alla sicurezza nazionale e alla protezione della morale sociale o della cultura. Altri intervengono con azioni di censura o nel favorire la nascita di iniziative o Blog capaci di inserirsi nei movimenti per cambiarne le ragioni e le sorti. Il loro ruolo è di creare un rumore tale da disorientare attivisti e semplici cittadini rendendo difficile e complicata la partecipazione, l’informazione e l’impegno civico o politico. Obiettivo finale è il ritorno a casa delle persone e lo svuotamento del movimento per abbandono, apatia, disinteresse o venire meno della disponibilità a impegnarsi

Nonostante la maggior parte dei movimenti, nati e sviluppatisi anche grazie agli strumenti tecnologici utilizzati, si siano ormai sgonfiati, governi e poteri costituiti si sono attrezzati in modo da poter anticipare e prevenire la nascita di altri movimenti simili. La loro azione è resa possibile dalla evoluzione di molte tecnologie come i motori di ricerca di Google o le piattaforme di social networking di Facebook e dei loro produttori, interessati per motivi commerciali alla creazione di immense banche dati usate per archiviare non soltanto profili individuali ma una miriade di altre informazioni. Nei Big Data dei protagonisti della scena tecnologica ci sono oggi tracce delle nostre azioni, dei comportamenti, delle frequentazioni, delle passioni o ideali politici, di attività e percorsi politici, oltre alle preferenze di prodotti e agli stili di vita. Queste tracce portano con se i nostri messaggi, le comunicazioni, gli scritti e le conversazioni, il tutto a formare profili individuali che si prestano ad essere vivisezionati e studiati, dalle aziende tecnologiche ma anche dai loro clienti, grandi Marche, grande distribuzione e istituzioni politiche e governative.

I governi non hanno bisogno di accedere ai Big Data di Google o Facebook. Lo fanno sicuramente ma preferiscono probabilmente agire in modo autonomo con iniziative e progetti tecnologici che nascono proprio dai media sociali più diffusi e usati e da Internet. Sono progetti dalle conseguenze politiche significative che nascono dalla innovazione di media sociali, dalle tecnologie e dalle logiche algoritmiche che li fanno funzionare. Ne derivano azioni sempre più sofisticate di intrusione in ambiti di pratica sociale online e di propaganda.

Botnet (Bot+Network) e algoritmi governativi

Queste azioni sono implementate attraverso sistemi e algoritmi di rete robotizzati (Bot+Network) e automatici che si muovono in modo subdolo e trasparente nei luoghi sociali abitati della Rete producendo contenuti e traffico di rete. Alcuni studiosi sulla sicurezza della Rete valutano queste azioni in percentuali del 10% (contenuti) e del 62% (traffico Internet). Questi algoritmi o Bot agiscono su dispositivi diversi con iniziative che possono essere molto semplici come la generazione di spam o più aggressive e studiate per portare veri e propria attacchi politici.

 

Non tutti i Bot sono maligni. Alcuni vengono semplicemente usati a scopo informativo anche se nel farlo fanno opera di manipolazione o generazione del consenso. Un esempio i numerosi cinguettii spediti per sostenere #labuonascuola di Renzi. Questi Bot sono diventati risorse importanti per molti governi che hanno compreso il ruolo politico della rivoluzione digitale e per molti partiti e politici che li usano sia per azioni difensive che aggressive e in genere per condizionare il consenso e delegittimare l’avversario o impedire la formazione di nuove istanze e di nuovi movimenti politici. Nulla di nuovo sotto il sole con la differenza che gli strumenti mediatici tecnologici odierni permetto livelli di intervento e di controllo mai visti nella storia umana.

I Bot più diffusi sono quelli che usano la piattaforma di Twitter, spesso riconoscibili nella forma di falsi account, senza un profilo dettagliata e con immagini di profilo tra loro simili. Sono Bot capaci di generare e diffondere automaticamente, in autonomia e in tempo reale migliaia di cinguettii grazie alla loro abilità di connettersi a livello di codice con la piattaforma Twitter sfruttando le sue API (Application Programming Interface).

La produzione di questi Bot è poco costosa e relativamente facile, i risultati ripagano ampiamente l’investimento. Pensate ad esempio al loro uso durante delle elezioni, scandali politici e giudiziari, eventi di crisi, per delegittimare un Movimento 5 stelle, ecc. L’uso può però anche essere finalizzato alla semplice creazione automatica di MiPiace sui profili di Twitter o di Facebook di molti attori politici alla ricerca di visibilità.

Tra gli utilizzi fatti e diventati noti grazie all’azione di media-attivisti della Rete o movimenti politici di opposizione ci sono Bot usati in Australia per promuovere i profili e le idee di candidati della politici della maggioranza, in Azerbaijan nel 2012 per manipolare la pubblica opinione sul coinvolgimento di politici in affari pubblici, in Canada per acquisire follower nei social media, in Cina per attaccare e demolire i movimenti sociali di protesta, in Iran nel 2012 per manipolare l’opinione pubblica prima delle elezioni politiche, in Messico, Turchia e Marocco per ragioni simili, in Tailandi nel 2014 a supporto di un colpo di stato, in Inghilterra per evidenziare la popolarità di candidati alle elezioni, dagli USA per manipolare la pubblica opinione mondiale.

L’esistenza di Bot usati a fini politici e polizieschi è conosciuta. Meno nota è la loro diffusione e l’uso che ne viene fatto. La conoscenza nasce dalle azioni di media-attivisti nell’intercettarne l’azione e svelarne le finalità ma anche da esperti di sicurezza impegnati a evitare intrusioni facili nei sistemi informatici delle aziende o nelle piattaforme Web (ad esempio Twitter o Facebook). La scarsa conoscenza è legata anche al fatto che l’uso di Bot per finalità politiche è abbastanza recente, in comparazione all’uso di Bot per finalità di tipo criminale

La crescita costante di Bot in Rete è certificata da numerose ricerche così come lo è l’elevata e crescente attenzione della politica nei confronti dei media sociali per la loro pervasività e il loro uso sociale, specialmente da parte delle nuove generazioni, forse le meno preparate a difendersi in Rete dagli effetti collaterali della tecnologia.

Alcune considerazioni finali

Molta parte de dibattito sul ruolo dei media sociali è centrato sulla loro diversità rispetto ai media tradizionali nell’influenzare una azione politica. Il dibattito dovrebbe però concentrarsi di più e dare maggiore enfasi alle cause che sottendono movimenti e rivoluzioni (spesso solo tentate) politiche. Le motivazioni oggi sono numerose e molto forti perché legate alla povertà crescente, alla disuguaglianza insopportabile, alla scalabilità sociale ormai bloccata, alla precarietà dei posti di lavoro e all’assenza di un reddito di cittadinanza, alla impossibilità di cambiare con movimenti politici democratici la realtà e alla infelicità diffusa.

I media sociali servono sicuramente a percepire di non essere da soli a condividere una certa situazione di malessere e a discuterne socialmente in reti sociali e comunità politiche più o meno omogenee e alternative. Servono meno per portare a termine un progetto politico e tantomeno una rivoluzione. Soprattutto ora che i governi hanno compreso la potenza di cambiamento insita negli strumenti tecnologici e hanno deciso di colonizzarli, abitarli con Bot e persone e, in alcuni casi, di militarizzarli.

Le analisi del fenomeno social media in ambito politico sono finora insufficienti. Il lavoro più interessante è sicuramete quello prodotto da Eugeny Morozov nel suo libro Internet non salverà il mondo (Perché non dobbiamo credere a chi pensa che la Rete risolverà ogni problema). Un altro testo di riferimento importante, anche se focalizzato su temi più strettamente politici legati alla economia digitale e alla sua attuale disuguaglianza, è La dignità ai tempi di Internet di Jaron Lanier.

Le analisi di singoli studiosi non sono però sufficienti. Servono tecniche e approcci innovativi utili allo studio di come le forse politiche e i loro attori fanno oggi uso dei media sociali e delle tecnologie della Rete. La soluzione potrebbe essere simile a quella del potere di turno, sviluppare Bot e algoritmi capaci di dimostrare le iniziative manipolatorie e la propaganda politica.

Ne potrebbe derivare una guerra di Bot inutile e dannosa ma forse potrebbe servire a formare in modo diverso le opinioni pubbliche o a impedire che vengano formate in una sola direzione. Da evitare è ogni forma di determinismo tecnologico che tendesse a dimostrare una netta relazione causale tra il media sociale tecnologico e il risultato politico. Più utile al contrario ragionare sul ruolo che l’individuo, le comunità di persone e le reti sociali hanno nel determinare gli eventi, pur in situazioni politicamente mediate grazie a strumenti tecnologici, spazi della Rete e Bot. L’analisi di questi comportamenti può oggi essere svolta con soluzioni e applicazioni di analisi delle reti sociali. Strumenti disponibili da vent’anni ma che oggi hanno raggiunto livelli di sofisticazione, di intelligenza analitica e utilità impensabili.

Oggi è impossibile prevedere il ruolo che Bot ‘governativi’ o politici possono avare nel condizionare mente, cuore e comportamento del cittadino, soprattutto in situazioni di movimentismo, contestazione o crisi politica. Disporre di strumenti di analisi delle reti sociali potrebbe permettere in futuro di codificare comportamenti e azioni per definire azioni e iniziative che possono essere utili per contrastare l’azione di Bot e altri meccanismi di controllo o condizionamento della Rete. Il numero di Bot è in continua crescita così come aumenta la loro sofisticatezza, la capacità e il raggio d’azione ma soprattutto il loro utilizzo programmato in occasioni elettorali (sistemi democratici) o per sedare e anticipare rivolte (sistemi autoritari)

Mentre è già abbastanza chiara la destinazione dei Bot governativi, rimane da scoprire l’uso alternativo che potrebbe essee fatto dai movimenti per il cambiamento che sicuramente caratterizzeranno gli anni a venire. Anni pieni di incertezza economica, sociale e politica e che ben si prestano a battaglie all’ultimo Bot, per difendere o acquisire nuovi diritti da una parte, per proteggere e impedire il cambiamento e la redistribuzione della ricchezza dall’altra.

 

Bibliografia

Eugeny Morozov. Internet non salverà il mondo - Edizione Mondadori

Jaron Lanier, La dignità ai tempi di Internet, Il Saggiatore

Political Bots Bots - Digital Politics - Cyber Culture

Baker, Stephanie Alice. 2011. “The Mediated Crowd: New Social Media and New Forms of Rioting.” Sociological Research Online 16 (4): 21.

Caren, Neal, and Sarah Gaby. 2011. “Occupy Online: Facebook and the Spread of Occupy Wall Street".

Dubbin, Rob. 2013. “The Rise of Twitter Bots.” 

Gladwell, Malcolm. 2010. “Small Change: Why the Revolution Won’t Be Tweeted.” The New Yorker 4.

Krebs, Brian. 2011. “Twitter Bots Drown Out Anti-Kremlin Tweets.” Krebs on Security.

Morozov, Evgeny. 2009. “The Brave New World of Slacktivism.” Foreign Policy 19 (05).

Staples, William G. 2013. Everyday Surveillance: Vigilance and Visibility in Postmodern Life. Second Edition edition. Lanham: Rowman & Littlefield Publishers.

Per approfondimenti potete prendere visione della Biblioteca Tecnologica di SoloTablet

 

 

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