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Non c’è nulla di vero tranne le esagerazioni

Non c’è nulla di vero tranne le esagerazioni

25 Maggio 2015 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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La tecnologia ci sta riprogrammando e noi non comprendiamo pienamente il radicale cambiamento di paradigma in essere. Lo dice Byung-Chul Han, filosofo tedesco-sudcoreano, nel suo ultimo libro “Nello sciame”. Uno dei numerosi testi che invitano a una riflessione critica sugli effetti del medium tecnologico e i suoi prodotti. Una riflessione che guarda al sociale e al privato ma anche alla sfera del discorso pubblico e alla politica. Nella visione tecno-apocalittica dell'autore la rappresentanza politica non esiste più. Tutto è cinguettare e chiacchierare, naturalemente online!

La frase del titolo è tratta da Minima Moralia di Adorno e si riferiva alla psicanalisi. Qui è usata per descrivere alcuni dei punti di vista dell’autore di Nello sciame - Visioni del digitale, un testo che contiene sicuramente alcune esagerazioni sul ruolo della tecnologia e alcune opinioni radicali che meritano comunque di essere conosciute e analizzate.

Secondo l’autore (leggi una sua intervista su la Repubblica) i dispositivi digitali hanno cambiato gli uomini e il loro modo di pensare. Modificano in modo decisivo il nostro comportamento, la nostra percezione, la nostra sensibilità, il nostro pensiero e il nostro vivere insieme. Il cambiamento è in atto e in qualche modo lo stiamo favorendo noi stessi perché siamo inebriati dalla potenza del medium digitale e non siamo in grado di valutare appieno le conseguenze dell’ebbrezza che sperimentiamo. Ne deriva una forma di cecità e di stordimento che raccontano perfettamente il periodo di crisi che stiamo vivendo.

 

La tecnologia ha ridotto le distanze e così facendo, scrive Byung-Chul Han, ha determinato una crescente mancanza di rispetto coincidente con la decadenza della sfera pubblica e il privato che si è fatto pubblico. Se il privato diventa pubblico a prevalere è la sua immagine e non la sua realtà. Il privato diventa oggetto di conversazioni e comunicazioni digitali, si trasforma in un profilo digitale anonimo e non vincolato da un nome (i nome in rete possono essere di fantasia), è fonte di continua eccitazione che si manifesta sui social network nella forma di cambiamenti di stato, condivisione di fatti e immagini e senza alcune discrezione.

La tecnologia non è neppure fattore di cambiamento. Lo hanno dimostrato le primavere arabe, raccontate da tutti come strettamente legate alla rivoluzione dei media digitali e all’uso diffuso di Twitter e Facebook. L’indignazione che si manifesta online è frutto dell’efficacia del media digitale nel mobilitare e calamitare l’attenzione ma non è in grado di strutturarsi in un discorso pubblico capace di affermarsi e durare. Le manifestazioni arabe sono state delle efficaci smart mobs che però non hanno generato stabilità e robustezza e neppure la continuità necessaria per trasformare l’indignazione in atto e prassi politica. La tecnologia digitale con i suoi prodotti e applicazioni favorisce il sensazionalismo ma non il dialogo o il discorso e non danno forma ad alcun Noi stabile. Ciò che ne consegue è una assenza di narrazione e di azione. Senza contare il fatto che gli stessi media digitali possono essere e sono stati usati dal potere contro cui le manifestazioni erano dirette per contribuire a non far nascere alcuna forma di discorso e proposta politica strutturata.

Così come Gustave Le Bon guardava alle folle come elemento di crisi e di trasformazione dell’era moderna, oggi dobbiamo guardare agli sciami digitali della rete come nuove forme sociali che stanno evidenziando la crisi e la nuova grande trasformazione che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Con alcune differenze fondamentali. Lo sciame digitale non è una folla perché non possiede alcuna anima. La folla è assimilabile a quella che in Massa e Potere di Elias Canetti, si concentra e marcia, e così facendo acquisisce potere. Lo sciame digitale continua invece a essere una semplice sommatoria di singoli individui tra loro isolati. Nella folla massa l’individuo si fonde con gli altri per dare forme a un Noi colletivo che si fa carico di obiettivi e finalità. Nello sciame non esiste alcun accordo che possa portare alla stessa unità di intenti e tutti continuano ad esprimersi con la loro voce, anche se attivi online in forma anonima e con profili digitali. La massa cerca il potere e si muove per conquistarlo, lo sciame è l’espressione della atomizzazione sociale attuale nella quale si sono ristretti tutti gli spazi dell’agire comune, tranne quello estemporaneo frutto dell’indignazione, o di proteste improvvise che si manifestano anche grazie agli strumenti digitali usati per organizzarle. Vedi i recenti fatti di Milano e le manifestazioni violente che sembravano essere frutto di pianificazione e organizzazione passate attraverso la rete.

 

Lo sciame è l’espressione della solitudine del cittadino tecnologico, sempre meno solidale e sempre meno sociale e collettiva. La tecnologia fa venire meno qualsiasi discorso di contropotere e la costruzione di una riflessione critica capace di generare un sano conflitto, utile a contrastare le conseguenze negative del conformismo da pensiero unico dominante e da modello economico unico possibile, quello economico e finanziario attuale.

La tecnologia che ha permesso una comunicazione senza intermediari favorisce l’assoluta trasparenza. La possibilità di condividere il proprio contributo e nuove narrazioni permette di essere sempre presenti e di presentare la propria opinione. Ne deriva un appiattimento cosante sul presente, il ricorso a linguaggi e narrazioni sempre più simili e appiattite, alla rinuncia a qualsiasi forma di programmazione lenta e progettuale nel tempo  e, a tendere, un costrizione forte al conformismo. Alla trasparenza si sono subito adattati i politici che hanno trasformato i media digitali in potenti mezzi di comunicazione e di presenzialismo, spesso con l’obiettivo di anticipare con semplici cinguettii le visioni degli sciami digitali per poi provare a rappresentarli.

Il medium tecnologico ha privato la comunicazione della sua tattilità e corporalità. Mentre sparisce il volto reale dell’interlocutore, lo smartphone usato per comunicare con lui, diventa un potente specchio nel quale si ripsecchi al’io narcisistico individuale. Un ritorno all’infanzia quando lo specchio serve a riconoscersi e a rinchiudersi. Lo smartphone, con la sua modalità semplificata di comunicazione (input-output) non aiuta il pensiero complesso e non favorisce l’apprendimento cognitivo. Ma soprattutto è uno strumento di comunicazione povero di sguardo, miope nella sua eccessiva rapidità.

Anche il ricorso alle immagini che caratterizza molta della presenza online è sintomatico del ruolo che la tecnologia assume nello schermarsi dalla realtà. Le immagini così come le fotografie o i selfie, sono semplici riproduzioni, offrono realtà ottimizzate che annullano il loro valore originario e iconico. Nel loro essere rapidamente consumate perdono il loro significato semantico e poetico e finiscono per essere semplicemente addomesticate. Funzionano però alla grande nel permetterci la fuga dalla realtà e il rifugiarsi in un presente continuo e in un futuro immaginario. La realtà imperfetta sparisce, il fatto perde valore, il tempo rimane congelato, perché l’immagine viene vissuta come la fuga dal futuro e dall’invecchiamento. Meglio la rappresentazione di un fiore digitale che un fiore reale. La prima non appassisce, il secondo segna il passaggio del tempo e muore. La realtà digitale e tecnologica dell’immagine si trasforma così in una fuga dal tempo e dalla realtà. Una fuga che però non può continuare per sempre!

 

La tecnologia, grazie ai dispositivi mobili e digitali, ha aumentato lo sfruttamento sull’uomo. Oggi si lavra di più perché si lavora ovunque e in ogni tempo. Ogni luogo è diventato un posto di lavoro e ogni tempo un tempo di lavoro. Così lo smartphone che ci ha promesso grande libertà ora ci costringe fatalmente a comunicare, messaggiare, gestire la posta elettronica e a lavorare. Al tempo stesso l’evoluzione tecnologica che ha portato allo sviluppo di robot e macchine intelligente ci sta deprivando di posti di lavoro e facendo aumentare i senza lavoro.

La tecnologia ci ha sommersi di informazione ma al tempo stesso ci ha privato di significati e di profondità. Si navigano le superfici e ci si dimentica dei fatti. Il mondo digitale finisce così per diventare un mondo di specchi, spettrale e contagioso e sempre più nebuloso. Dopo un po’ la privazione dei fatti impedisce qualsiasi forma di sano shock e reazione, impedisce la facoltà analitica e ciò che determina il pensiero. Il surplus informativo e cognitivo porta all’atrofia del pensiero e impedisce di saper distinguere l’essenziale dall’inessenziale. Disporre di maggiori informazioni non aiuta a prendere decisioni migliori perché il surplus cognitivo atrofizza la capacità di valutazione e giudizio. In molto casi la scelta, la decisione, l’analisi sono rese complicate anche da un affaticamento cognitivo e informativo che determina depressione e patologie narcisistiche che impediscono qualsiasi assunzione di responsabilità.

Infine la tecnologia digitale ha trasformato il mondo in un unico grande panottico (il Panopticon di Bentham) nel quale coloro che lo abitano non si sentono neppure controllati o prigionieri perchè vivono nell’illusione perenne della libertà. Con la produzione di informazioni e narrazioni e con il loro attivismo alimentano il controllo panottico, favoriscono la loro trasparenza (nel Panopticon i prigionieri non sanno quando e se sono osservati e controllati) illuminando sé stessi con azioni, immagini e narrazioni.  La comunicazione digitale diventa così mezzo potentissimo di sorveglianza e controllo ed elimina la distinzione tra grande fratello (la torre centrale del Panopticon) e detenuti. E fra poco i Google Glass trasformeranno nella forma di data-occhiali l’occhio umano di ogni cittadino o consumatore e abitante della rete  in una telecamera di sorveglianza. Così ognuno potrà sentirsi un Grande Fratello! Una destinazione e soluzione perfetta per il compimento digitale del panottico tecnologico.

Fin qui in estrema sintesi alcuni dei punti di vista espressi da Byung-Chul Han nel suo libro sulla tecnologia. L'autore nel suo libro si interroga su ciò che accade quado una società rinuncia al racconto di sè per contare i Mi piace e il numero di cinguettii spedit, quando il privato trasformatosi in pubblico finisce per cannibalizzare ogni forma di intimità e la privacy. Molta parte della riflessione è incentrata sulla informazione e sulla sua perdita di significato e si senso, una informazione reperibile ovunque ma sempre più inaffidabile, superficiale e lontana dai fatti.

Se avete letto fin qui e non volete approfondire il tutto acquistando e leggendo il libro potete fare riferimento al titolo di questo articolo per convincervi che molti dei pensieri espressi possono apparire come esagerazioni. Forse lo sono perchè frutto di una visione tecnofoba o tecnocritica degli effetti della tecnologia, ma come esagerazioni rischiano di apparire come estremamente vere!

Sul tema potete anche leggere i miei e-book sulla tecnologia, in particolare Nei labirinti della tecnologia - Bibliografia ragionata tra vecchie e nuove forme di tecnofilia e tecnofobia

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