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Nostalgia della blogosfera

Nostalgia della blogosfera

15 Novembre 2016 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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I tempi andati sono sempre i migliori, si stemperano nel ricordo che li rende preferibili al presente. E' così anche per chi ha vissuto l'epoca solare della blogosfera e ha abitato quella parte di Rete fatta di migliaia di persone convinte che Internet fosse lo spazio ideale per costruire e proporre nuove idee e nuove utopie. Oggi che la blogosfera è diventata un'Atlantide della Rete, l'impressione è che Internet stia morendo e che nessuno sia in grado di far qualcosa per fermarne l'agonia.

In pochi anni la vita online è completamente cambiata.

Lo tsunami dei social network e delle APP e la pervasività dei dispositivi mobili ha alterato radicalmente il modo di scrivere online ma soprattutto quello di leggere.

Finita l'era dei blog è emersa quella dei social network sradicando dalla Rete una moltitudine di persone che con i loro contributi quotidiani e impegno avevano reso Internet uno spazio ricco e bello da abitare. Oggi a quella moltitudine si sono sostituite le folle di Facebook e di Instagram, alla interazione diretta e partecipata del blog legata alla reputazione e autorevolezza del suo autore è sopravvenuta la tirannia del Like e dell'aggiornamento di stato.

A determinare il traffico del blog era la qualità del contenuto e il piacere di interagire con chi lo aveva prodotto, oggi a Facebook più della qualità preme il traffico dei Like e la possibilità, anche attraverso essi, di raccogliere dati e informazioni sugli utenti da poter usare commercialmente.

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Il cambio d'era ha significato anche il passaggio da una lettura attenta di ciò che viene scritto e dall'interazione appassionata fatta di commenti, feedback e reazioni intellettualmente stimolanti che ne deriva, a una fatta di sguardi rapidi e superficiali su semplici porzioni di contenuti che hanno trasformato la lettura in uno scatto fotografico, principalmente mirato alle componenti visuali del contenuto.

I blog si basavano sugli hyperlik, usati per dare forma a ipertesti capaci di favorire la diversità, la decentralizzazione e la libertà del Web attraverso la costruzione di reti distribuite senza alcuna gerarchia predeterminata o gestita da pochi. Un disordine caotico generatore di creatività costante, di nuove idee e di ponti gettati nel vuoto alla ricerca di sponde a cui aggrapparsi con la certezza di trovare quelle più affini. Ponti capaci di creare connessioni e relazioni, di far comunicare persone tra loro diverse, capaci di vivificare l'esistenza e soprattutto di cambiare la vita delle persone.

L'avvento dei social network ha cambiato tutto.

Ha illuso molti che hanno pensato di poter usare la loro pagina Facebook come un blog senza riflettere sullo spazio all'interno del quale erano approdati e  sulle regole che lo vincolavano a destinazioni d'uso e obiettivi di chi lo aveva creato. In quello spazio digitale tutto, compreso l'utente o il suo avatar, non è altro che un semplice oggetto, un produttore o portatore di informazioni il cui valore non sta nella ricchezza che è in grado di generare ma nella sua trasparenza e nel suo agitarsi in continuazione al suo interno. Non è un caso che l'invito pressante è a postare in continuazione, a cambiare lo stato della pagina frequentemente e a rimanere sempre connessi. E' possibile usare hyperlink ma nella realtà ciò che conta è quanti Like essi sono in grado di generare più che la loro capacità di suscitare interesse e animare un dibattito.

Il processo di partecipazione ai social network è diverso da quello che anima la blogosfera.

Appare molto democratico ma in realtà non lo è perchè non lo sono gli algoritmi che governano l'applicazione e le logiche da essi implementate. L'obiettivo di questi algoritmi è di alimentare la pubblicazione di nuovi contenti e la frequentazione online catturando l'attenzione e rubando il tempo a persone che, ingabbiati dentro spazi sociali dai confini definiti, stanno praticamente perdendo la percezione di essere su Internet. Pensano di esserlo ma in realtà quella Internet alla quale loro si riferiscono non è la Internet libera, aperta, distribuita e senza gerarchie della blogosfera ma sta tutta dentro il perimetro (il muro) di ogni applicazione usata. Chi ha costruito questo muro ha poco interesse a facilitarne il superamento e fa di tutto per gratificare chi vi è rinchiuso in modo che non abbia alcuna voglia di scappare altrove.

Senza la possibilità di guardare oltre e di conoscere le molteplici realtà al di fuori dell'acquario di Facebook o di altri social network, si perde la nozione dello scheletro reticolare della Rete e la sua acentralità e si finisce per accettare come realtà l'ordine imposto da una ragione sovrana che ne ha definito le caratteristiche, le gerarchie e le finalità. Senza hyperlink come quelli usati nella blogosfera gli utenti di Facebook e altri social network simili è come se fossero diventati ciechi. Percepiscono la gioia che deriva dall'avere molti contatti e altrettanti Like ma hanno perso la possibilità di sperimentare la felicità che deriva dai sussulti dell'anima che vive la sorpresa del nuovo e dello sconosciuto o vive la sfida della libertà e della democrazia della Rete.

Social network e caverne

Nella blogosfera ogni nuovo blog o nodo che si manifestava nella rete era il frutto di attività volontaristiche capaci di far esistere nuove realtà con un semplice hyperlink. Da quelle scelte si determinavano fenomeni dinamici a catena, ricchi di valore e di conseguenze, soprattutto se capaci di attirare lo sguardo, l'attenzione e l'interesse di molti. Una situazione da non confondere con quella dei social network che attirano sguardi multipli e attenzione ma sempre all'interno del loro muro perimetrale che impedisce il trasferimento al suo esterno di valore e conoscenza e contribuisce in questo modo a desertificare il mondo al suo esterno. E' la realtà descritta da Jose Saramago nel suo bellissimo libro A Caverna (A proposito di caverne e centri commerciali...da Platone alla Cina.) nel quale racconta l'impossibilità di vivere al di fuori del centro commerciale che ha assorbito tutto, compresi gli abitanti ai quali ha offerto delle residenze sopra i punti vendita (una realtà distopica oggi diventata reale in Cina con centri commerciali monstre che vedono vivere al loro interno decine di migliaia di persone).

A fare la differenza e ad alimentare la nostalgia della blogosfera è la filosofia che domina l'era dei social network. E' una filosofia legata al concetto del flusso informativo. Le informazioni non si cercano ma fluiscono attraverso canali predefiniti o preselezionati. La scelta dei canali è libera ma l'assuefazione ai flussi informativi selezionati limita il controllo delle fonti che alimentano quelle informazioni e rende più faticoso guardare oltre e altrove, alla ricerca di nuovi canali o fonti alternative.

Il viaggio nella blogosfera e i pacchetti viaggio dei social network

Nella blogosfera si andava alla costante ricerca di pagine web, blog o siti, spinti dalla curiosità e animati dalla voglia di viaggiare attraverso hyperlink alla scoperta della rete dei nodi che la costituivano. Una rete in continua trasformazione che permetteva viaggi mai fatti prima e di incontrare persone, idee, culture e spazi sconosciuti ma capaci di arricchire mente, cuore e vita. Nei social network e nel mondo delle APP attuali i viaggi sono assimilabili a quelli venduti come pacchetti preconfigurati dalle agenzie di viaggio. Sono viaggi impacchettati da algoritmi segreti che decidono itinerari, viaggiatori, destinazioni e vettori. Tutta l'esperienza di viaggio finisce per essere racchiusa dentro uno spazio chiuso. Un'esperienza assimilabile a quella che molte persone fanno acquistando un pacchetto da 500 euro per una settimana nel Mar Rosso ma che si svolge all'interno degli spazi dorati e rinfrescati degli hotel.

Grazie alle APP come Facebook chi ha più bisogno di un browser? Perchè andare alla montagna se la montagna viene  portata quotidianamente sul display dello smartphone o del tablet? Gli algoritmi sanno anche quale montagna proporre o se devono optare per mete diverse. Dei viaggiatori conoscono praticamente tutto. Conoscono le loro preferenze, le loro amicizie e reti di contatto, le loro esperienze precedenti e i loro desideri da realizzare e sono in grado di prevedere cosa piacerebbe loro fare.

Nella blogosfera le montagne, i mari, le piste ciclabili o le città erano argomenti di racconti fatti da persone che condividevano le loro esperienze. Oggi questi racconti sono condivisi anche sui social network ma più che le narrazioni e esperienze in essi contenute contano i Like, le stelline di gradimento, le votazioni e i cuoricini espressi. Questi elementi sono determinanti nel favorire la visibilità di un racconto rispetto a un altro ma soprattutto nell'aiutare gli algoritmi e i servizi a essi associati ad analizzare il comportamento delle persone e a proporre loro proposte commerciali (un Like su un racconto sul Tibet si porta appresso una proposta di viaggio, ecc.) o ad arredare le pagine dell'utente con foto, immagini, contenuti e video che vengono ritenute conformi ai desideri espressi.

Like e faccine governano le dinamiche legate alla popolarità nei social network ma le logiche applicate non favoriscono la diversità così come facevano quelle della blogosfera. Il web dell'era dei social network è diventato più conformista e  meno ricco. Non è un caso che nel frattempo si sia andata ampliando la parte della Rete oggi nota come Deep Web e/o Dark Web e la sua conoscenza.

La resa ai social network e T.A.Z.

Chi frequentava la blogiosfera e si è arreso al social network ha probabilmente visto la sua rete di contatti decuplicarsi ma ha ceduto la proprietà dei suoi contenuti a entità che, per ragioni spesso sconosciute, possono decidere di chiudere una pagina o un gruppo o di cancellare un account. Chi aveva un blog disponeva di una banca dati di backup dei suoi scritti, su Facebook narrazioni di anni possono finire nel cetino della spazzatura per la semplice pubblicazione di una fotografia di donna che gli algoritmi di Facebook possono ritenere troppo svestita.

La centralizzazione dell'informazione e la residenza spostata da molti all'interno della caverna dei social network, cambia l'accesso alla informazione ma anche la relazione con il potente di turno, sia esso governo o istituzione. Grazie a Facebook la sorveglianza è praticamente garantita. E' vero che si può evitarla ma per farlo bisognerebbe ormai spegnere tutto e rintanarsi in una grotta nel deserto o in una  capanna di montagna.

Chi ha vissuto con entusiasmo e passione l'epoca della blogosfera oggi può interrogarsi sui cambiamenti intervenuti nell'uso di Internet e sulla nuova cultura emergente. Può decidere di non parteciparvi e di continuare a sopravvivere dentro le TAZ (zone temporaneamente autonome) nelle quali si è ritirato ma deve essere consapevole che la sua è una scelta fuori dal tempo. La blogosfera e l'Internet che l'aveva resa possibile non ci sono più. Oggi prevale la cultura dei Like, dei Periscope e dei Selfie, una realtà costruita per essere percepita come meno complessa e più facilmente vivibile. Una realtà programmata e plasmata dalla tecnologia con la complicità di chi la utilizza e che assomiglia sempre più al mondo descritto nel film di Terry Gilliam, Brasil. Un mondo che vive all'interno di un sogno e nel quale i protagonisti sono persi in una perenne fuga da qualcosa la cui esperienza non cambia neppure da svegli.

Facebook non è Brazil ma il sogno caratterizza entrambi. Seguire il flusso costante dei post, le nuove immagini che scorrono sulla pagina, il numero dei Like che aumenta, le richieste di nuovi contatti sono tutti elementi che rafforzano la motivazione a rimanere all'interno del social network e a continuare a sognare.

Quando ci si sveglia si può diventare consapevoli che questo non è il web che si era sognato o frequentato. Ci si può far catturare dalla nostalgia dei tempi andati della blogosfera o usare i momenti di veglia (non sogno) per rendersi conto della differenza tra quel che intendiamo fare e quello che invece le macchine e la tecnologia vorrebbero farci fare.

 

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