Alcune riflessioni anarchiche sulla tecnologia /

Non siate timidi nè esibizionisti, ma fatevi vedere!

Non siate timidi nè esibizionisti, ma fatevi vedere!

17 Aprile 2014 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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La visibilità è diventata parola corrente e rendersi visibili una pratica diffusa. In ogni ambito e situazione la tendenza è a rendersi visibili per attirare l'attenzione, per evidenziare l'azione in cui si è impegnati e uscire dalla insignificanza dell'invisibile. Il problema non è più scegliere tra essere e avere ma tra esistere visibilmente e non esistere perchè invisibili! Non è un caso che ciò avvenga nell'era delle nuove tecnologie mobii e dei nuovi media sociali. Un effetto della pervasività tecnologica tutta da studiare e valutare.

Sono visibile, mi vedono, dunque esisto!

Il tema della visibilità e del farsi vedere nella società moderna è oggetto di indagine e riflessione in un libro pubblicato da Giunti, dal titolo "Farsi vedere" e scritto a quattro mani da Nicole Aubert e Claudine Haroche, la prima professore dell'Ecole Superieure de Commerce de Paris e la seconda direttore di ricerca al CNRS (Centro Edgar Morin).

Punto di partenza della riflessione è la constatazione di quanto sia diffusa la ricerca di visibilità e impossibile sottrarsi allo sguardo altrui. Non siamo solo inseguiti da videocamere, scatti più o meno rubati o in formato selfie ma costretti a offrire senza sosta immagini di noi stessi, di cui non conosciamo a volte l'uso finale.

La visibilità è un fenomeno che suscita reazioni contraddittorie. Può essere visto come un valore perchè permette una valutazione migliore della qualità di un lavoro o dell'efficacia di una azione, del suo valore sociale e collettivo, e dei suoi costi in termini di giustificazione e valutazione dell'investimento fatto. La visibilità facilmente raggiungibile attraverso i nuovi media può essere valutata al tempo stesso come una forma esagerata di esibizionismo e narcisismo che punta all'apparire piuttosto che all'essere ed è fortemente collegata alla ostentazione di prodotti e beni di consumo.

La visibilità interessa tutte le sfere private e pubbliche. Il suo valore simbolico, la sua potenza comunicativa e la sua capacità manipolatoria è ben nota alla politica, al potere così come alla singola persona dotata di gadget tecnologici, iperconnessa e sempre visibilmente online. La visibilità è diventato un valore così ricercato da agire anche quando manca. Il timore dell'invisibilità condiziona oggi il nostro modo di vivere i rapporti imtimi e interpersonali così come la nostra vita sociale e professionale.

La visibilità legata al potere simbolico dell'immagine di sè sta cambiando la percezione che abbiamo di noi stessi, del nostro corpo e del tempo. Le nuove tecnologie ci offrono la possibilità di rendere pubblici i nostri spazi interiori e di interiorizzare quelli diventati visibili degli altri ma al tempo stesso ci spingono alla ricerca spasmodica dell'esserci. Internet. blog, network sociali, applicazioni come WhatsApp e Twitter, impongono il primato del visibile ma anche la supremazia dell'apparenza e l'obbligo di offrirci allo sgaurdo altrui. Senza rederci conto la visibilità si sta trasformando in una nuova forma di tirannia. Una forma inquietante perchè fortemente tecnologicizzata e dipendente dall'uso che delle nuove tecnologie oggi facciamo, spesso in modo acritico e senza porci domande di tipo etico e comportamentale.

Una imposizione a cui è difficile resistere

Non tutti sentono la necessità di farsi vedere, molti forse credono di riuscire ad essere invisibili, solo alcuni forse ci riescono, ad esempio coloro che si vantano di non usare Facebook o Internet, di non possedere uno smarthone o tablet, ma neppure un televisore o un computer. La ricerca  della visibilità finisce per trasformare comportamenti e modi di vivere individuali, pensiero e cognizione, attività lavorative e professionali, modalità di interazione sociale e interpersonale e l'uso dei prodotti tecnologici di cui molti sono dotati. Strumenti usati per produrre immagini e testi,  lasciare tracce di sè e segni di 'esistenza' distribuiti ovunque per essere trovati e per continuare a farlo, nel caso in cui si percepisse che non sono stati sufficienti a garantire la visibilità ricercata.

L'imposizione nasce dalla percezione che essere invisibili nella società tecnologica contemporaea non conviene.  E' un atteggiamento che comunica il rifiuto di sottomettersi alla pratica comune della trasparenza e del mettere in comune spazi interiori, sentimenti ed emozioni e che finisce per far percepire agli altri un comportamento di difesa e di paura. E' come se, chi insiste nel difendere la sua esperienza interiore, vissuta come spazio di libertà dell'individuo, si fosse arroccato in un castello senza finestre nè porte ma assediato e reso indifendibile da vecchie visioni del mondo e soprattutto da forme di esistenza ritenute, ai più,  antiquate e superate.

L'imposizione alla visibilità nasce dall'avvento della società dell'immagine, prima veicolata da televisione e Internet e oggi soprattutto da schermi e dispaly di smartphone e tablet. Il display diventa simbolo, mezzo e scopo della società della visibilità, lo schermo diventa il mondo, lo specchio, e la realtà. "La nostra è una società dell'esibizione dove il sapere è diventato vedere in un mondo in cui la realtà è uguale all'immaginario - scrivono Nicole Aubert e Claudine Haroche - [...] è una società nella quale il soggetto sembra essere in contatto solo con le apparenze, egli stesso sembra essere un simulacro, una parvenza di essere, inghiottita da un sogno....".

A manifestare una maggiore tendenza alla visibilità è sempre più chi vive quotidianamente in contatto con le nuove tecnologie e ne fa un uso perseverante durante la giornata. E' su queste persone, scrivono le due autrici del libro, che si manifestano maggiormente gli effetti di una evoluzione tecnologica che "opprime l'individuo fino a impedirgli di capire ciò che fa e il mondo nel quale vive e tutto questo per l'onnipotenza di schermi e immagini, supporti di un flusso sensoriale e di informazione continua".

Per resistere alla visibilità non è necessario diventare invisibili ("per vivere felici, viviamo nascosti"), anche perchè l'invisibilità è pratcamente impossibile (neppure Robisnson Crusoe è rimasto invisibile a lungo). L'invisbilità potrebbe comportare un ripiegamenteo su sè stessi e una fuga dalla socialità che potrebbe finire per avere effetti negativi. Si può però vivere una visibilità moderata e praticare una invisibilità temperata. Quest'ultima è fatta dalla capacità di vita interiore molto forte, dalla negazione del valore del giudizio degli altri, da amore per sè stessi (non necessariamente narcisistico) e dalla capacità di riflettere sulle nuove condizioni umane dettate dalla tecnologia e dai suoi imperativi visivi/visuali. 

Senza abitare i social network si rischia di essere invisibili!

Chi parla più di blogosfera? Nessuno! Eppure è stato, agli inizi degli anni 2000, lo spazio per eccellenza nel quale si sono costruiti visibilità, autorevolezza e opportunità migliaia di giovani e meno giovani. Oggi al blog si è sostituito il social network. Al tempo della blogosfera pochi ma numerosi frequentatori della rete scrivevano sui loro blog e all'interno di una rete fatta di altri blogger e visitatori interessati e consapevoli. Oggi molti, quasi tutti, continuano a scrivere ma all'interno di reti sociali di vario tipo, tra le quali spiccano per numero di membri e partecipanti quella di facebook e in ambito professionale quella di Linkedin.

Le nuove reti sociali, a differenza dei blog dei primi anni duemila, si caratterizzano per essere accessibili e consultabili in mille modi diversi. Ne derivano nuove opportunità e aspettative che alimentano nuovi desideri, soddisfano bisogni reali e permettono nuove forme di relazione sociale e interpersonale.

Le reti sociali sono perfette per tutti coloro che amano farsi vedere e mettersi in mostra. Atteggiamenti non necessariamente negativi o esibizionistici ma spesso spiegabili con il desiderio di cercare e trovare la convalida di altri su alcuni aspetti della loro vita interiore e personale. ll mettersi in mostra non è un comportamento specifico solo di coloro che amano farsi vedere. Dopo essersi costruita la propria stima di sé, tutti sono alla ricerca di una qualche forma di conferma esterna e i social network tecnologici sono perfetti per garantirne una e nel contribuire alla cresciuta dell'autostima personale e alla crescita del sè dei suoi membri.

Nelle nuove reti sociali online l'individuo esiste quanto più è visibile e circondato da altri che come lui sono alla ricerca di nuovi contatti  e legami per essere certi che in ogni momento qualcuno li stia pensando o 'visualizzando'. La quantità sostituisce la qualità della relazione ma la condivisione sociale su un social network diventa un modo per comunicare una esperienza e renderla visibile ma anche per diventarne maggiormente consapevoli. La visibilità ricercata non è intima e vincolata a relazioni uniche o selezionate. E' una ricerca di visibilità fatta di messaggi testuali e visuali indirizzata a più persone e a chi avrà voglia di ascoltare. Lo scopo invece è sempre lo stesso, trasformare una visibilità virtuale in un legame reale e trovare un interlocutore attento capace di comprendere e recepire i nostri messaggi e le nostre comunicazioni.

Ne deriva il bisogno costante di occupare online nuovi spazi e riempirli di contenuti in modo da farsi trovare, dai motori di ricerca prima (anche loro ammaestrati alla visibilità e predisposti a premiarla) e poi farsi notare da chi i motori li usano, dentro e fuori dei social network. L'occupazione degli spazi passa ormai attraverso forme suggerite e consolidate, note come profili, che si portano appresso numerose informazioni comprese fotografie e immagini, video e molto altro. Il bisogno di presenziare gli spazi della rete è dettato dal diffondersi di dispositivi mobili che garantiscono l'immediatezza dell'accesso ma anche quella della visibilità (cambio foto perchè è cambiato lo stato d'animo e spero che qualcuno lo veda subito...).

Se non posso essere invisibile, posso almeno andare oltre l'apparire?

In pochi anni è diventato impossibile non essere su Internet. Il fatto che ci siamo quasi tutti offre a chi usa la Rete per scopi marketing, commerciali ma anche fraudolenti, un’opportunità unica. I nostri profili e i racconti che facciamo di noi stessi appaiono in rete e sono disponibili a tutti. D'altra parte come si fa a non essere in Rete e a non interagire con altri così come si fa con un apparecchio telefonico? Se diventare invisibili è una missione impossibile, cosa possiamo fare per non farci trovare, per scomparire e per diventare più scaltri nel rendere la vita più complicata a chi ci vuole trovare o usare solo come destinatari di messaggi promozionali o commerciali o come bersaglio di azioni fraudolente? Ma soprattutto come andare oltre il puro apparire?

L'apparire si accompagna al desiderio forte di essere riconosciuti, porta a privilegiare la celebrità e la notorietà e denota sempre una qualche forma di narcisismo individualista. Il desiderio di apparire e la ricerca degli strumenti che lo permettono può evidenziare anche la volontà strumentale e utilitaristica del mezzo usato, Internet, social network, o blog. In questo approccio utilitaristico spariscono spesso altruismo, scambio e collaborazione ed emergono bisogni concreti e finalizzati a benefici e vantaggi personali. In Rete si può apparire anche in modi diversi, con profili multipli differenti e con forme di rappresentazione del sè che permettono di sperimentare ruoli, personalità e esperienze diverse. Queste identità differenti non sono mai puramente immaginarie ma espressione delle numerose vite che ognuno di noi vive nella sua esperienza esistenziale. Con la differenza che, essendo online e digitale, hanno vita propria e servono molto meglio allo scopo di apparire ed essere visti.

Andare oltre l'apparire si può e comporta la capacità di creare autenticità facendola percepire nella sua reale essenza. Strumento ideale per farlo è la scrittura, non quella immediata, abbreviata e spesso superficiale del social network, ma quella più strutturata e organizzata, complessa e pertinente con la personalità di chi scrive in termini di interessi, passioni, idee vere e pensieri. Anche chi agisce come blogger cerca notorietà e visibilità come forma di riconoscimento. Chi li segue e li legge, mai in grande quantità, riconosce in essi qualcosa di più del semplice apparire o farsi vedere e una forte autenticità, difficilmente riscontrabile in altre parti sociali e abitate della Rete. La spiegazione sta nella capacità del blog di mostrare la personalità e o tratti identitari di chi lo pratica, di far percepire il legame tra interiorità e esteriorità (visibilità) e la vitalità di chi scrive. Ciò che interessa a un blogger non è la semplice visibilità ma essere visti per quello che si è creato ed essere letti per quello che si è scritto e si scrive. Non è un caso che i frequentatori di blog sono relativamente pochi ma spesso molto fedeli.

Superando la banalità e la superficialità dell'apparire per esserci, si scopre l'importanza dell'essere mostrandosi. La differenza si manifesta nella nascita e nello sviluppo di legami che, da deboli e laschi nello spazio-tempo digitale, si irrobustiscono uscendo dalla virtualità della Rete e dei social network per diventare amicizia e conoscenza relazionale nella vita reale. I legami deboli di Facebook favoriscono, grazie alla loro numerosità, la visibilità territoriale, quelli della blogosfera facilitano al contrario lo scambio di soggettività, di sensibilità e di realizzazioni personali.

Su Facebook parlare di sentimenti ed emozioni è spesso un gioco dello specchio e del rimando (immagini riflesse numerose come i LIKE), sul Blog "da una intuizione individuale si passa ad una idea discussa e da una semplice osservazione personale si passa a un argomento pubblicamente dibattuto" (Francis Jaurèguiberry). Ciò che conta non è apparire online ma aver provocato interesse, reso possibile lo scambio e il commento, facilitato l'ascolto e reso possibile il riconoscimento, del blogger ma anche del suo lettore.

La cosa più interessante, a differenza dell'apparire dei social network, tutti legati al profilo e alle sue molteplici esibizioni online, è che nella blogosfera tutto può avvenire nel più completo anonimato. Una forma di invisibilità o se si vuole un modo per andare veramente oltre il desiderio del semplice apparire. 

La voglia di apparire e la volgarità dell'esposizione di emozioni, sentimenti e corpi

Il proliferare dei 'selfie' (autoscatti) è l'ennesima manifestazione di comportamenti sempre più diffusi e finalizzati, da parte di uomini e donne, giovani e adolescenti, professionisti e nullafacenti, a esporre intimità e sentimenti in forme nuove che superano il confine tra privato e pubblico imponendo nuovi stili di vita e nuovi modi di vivere la sentimentalità e l'affettività. E' una manifestazione dei tempi che non sembra passeggera ma indice di una trasformazione in corso che cambia la percezione dell'autenticità dei sentimenti e rende possibile una crescente spudoratezza e volgarità ma anche tanta visibilità.

Pur di apparire si abbandona la riservatezza, il senso di pudore dell'intimità e si espongono le emozioni allo sguardo pubblico, fino a renderle visibili in forma di immagini (fotografie e autoscatti) che possono diventare volgari e sfidare la spudoratezza e il buon gusto. Il tutto ad una velocità e immediatezza mai sperimentata prima e reso possibile dalla facilità con cui è possibile trasformare in entità estetiche e oggetti reali emozioni, sentimenti e desideri.

Per chi studia il fenomeno si tratta dell'emergere di nuove forme di codificazione delle emozioni e di nuovi modi di viverle, esprimendone i sentimenti e i desideri (pulsioni) associati. Si affermano nuove forme di libertà che esprimono un allentamento, sempre negativo, del controllo e della repressione, e la maggiore capacità di esprimere se stessi.

Il fenomeno si caratterizza però anche in numerose forme di volgarità e in espressioni molto kitsch di emozioni, sensibilità, sentimenti e soprattutto corpi. La volgarità odierna è molto tecnologica perché ha trovato canali e strumenti perfetti di espressione nella televisione, nei nuovi dispositivi mobili e nei nuovi media sociali. Ne deriva un’infinita serie di spazi online che mettono in mostra sentimenti ed emozioni che scaturiscono da persone reali e 'io' autentici ma che vengono teatralizzate, incapsulate, decontestualizzate e tradotte in semplici immagini e visioni diaframmatiche che non diventano mai un racconto o una narrazione. La cosa più interessante, intrigante e incredibile è che queste immagini spezzate, questi sentimenti o emozioni spezzettati, sono creati di volta in volta da persone reali, uomini e donne che svolgono un ruolo chiave dietro una cinepresa, una videocamera o un dispositivo mobile.

Di fronte a queste manifestazioni visive dell'apparire è inutile versare lacrime, reprimere o indignarsi. Meglio sottoporre tutto al vaglio della nostra migliore capacità di critica, sviluppare nuove riflessioni e verificare se e quanto siamo ancora capaci di emozionarci veramente...versando magari un'unica lacrima al posto di quelle eccessive che molti versano guardando uno spettacolo della De Filippi.

Essere visibili è utile, ma essere invisibili è un diritto

Chiarito che la ricerca di visibilità e la voglia di farsi vedere non ha nulla di negativo ed è anzi un modo intelligente di usare le nuove tecnologie per essere riconosciuti e per vivere nuove relazioni sociali, bisogna anche sottolineare come nell'odierna società dello spettacolo tecnologico la visibilità sia spesso imposta e quasi vissuta come un obbligo. In questa forma di manifestazione essa va considerata come priva di autenticità e creatività di senso. Non è un caso quindi che molti si mettano alla ricerca di nuove forme di invisibilità e che alcuni lo reclamino come un diritto opponendosi anche ad altre forme indotte e rubate di visibilità come quelle della sempre più diffusa video-sorveglianza, satellitare, spaziale ma anche virtuale (vedi caso NSA e datagate).

Chi ricerca l'invisibilità non è un anti-modernista o un conservatore, non è neppure un essere antisociale che cerca l'anonimato prima ancora dell'invisibilità ( cosa riuscita in questi giorni a 100 ALQaedisti che si sono ritrovati nello Yemen all'insaputa di CIA e enti anti-terrorismo vari, come documentato da uno scoop della CNN). Spesso chi ha cercato o cerca la invisibilità è catalogato tra i maledetti, i dissidenti, i devianti, ecc. Ma tutti costoro sono i primi a sapere che diventare invisibili è praticamente impossibile e che il loro stesso desiderio di invisibilità non è assoluto. Senza qualche forma di visibilità la loro vita sarebbe impossibile, solitaria e infelice.

L'invisibilità è comunque un diritto e, nell'epoca dei selfie, degli schermi e delle immagini, può essere anche una forma di protesta per affermare il diritto democratico a fare qualcosa di diverso dalla moltitudine ( chi si ricorda il film di Benigni nel quale con la frase "in culo alla maggioranza" lascia l'assemblea condominiale che non ha voluto ascoltare la sua opinione?) e di farlo anche in assoluta segretezza e invisibilità.

Le donne del passato si nascondevano dietro veli e velette, quelle dei paesi arabi lo fanno ancora oggi dietro chador e burka vari, perchè non dovrebbe essere possibile farlo anche in rete e sui social network? E perchè farlo dovrebbe essere giudicato antisociale e 'anormale' (fuori dalla norma praticata dai più)? La risposta è che non solo lo si può fare ma è ciò che sta succedendo, a chi vuole guardare con maggiore attenzione e in profondità.

Come speigare diversamente la fuga degli adolescenti nativi digitali da Facebook per evitare gli sguardi dei loro genitori e parenti? Come spiegare il successo di WhatsApp per la sua funzione utile alla creazione di piccoli gruppi di amici? Cosa dire della voglia di creare reti sociali personali e private?

L'eccessiva visibilità esperita come forma di grande libertà sta generando gli anticorpi della segretezza e conseguente invisibilità. Cosa possibile nelle nostre democrazie occidentali, meno in quelle di regimi come quello turco o cinese che vietano l'uso di Twittare e/o intervengono per controllare le comunicazioni dei social network (Facebook) o di Internet (Google).

A volere rimanere invisibili sono i terroristi di Al Qaeda ma anche i pedofili. Gli uni e gli altri falliscono comunque il loro obiettivo perchè la loro voglia di apparire e la loro necessità di comunicare li obbliga comunque a qualche forma di visibilità. Chi non vive esperienze di questo tipo punta invece alla piena visibilità che, essendo spesso basata su immagini evanescenti e falsamente trasparenti, genera il desiderio di autenticità e suggerisce qualche momento sereno di invisibilità.

Una conclusione impossibile

In conclusione, la visibilità è tema complicato e contradditorio, ricco di sfaccettature che non si prestano a semplificazioni o facili letture e rinvia a problematiche varie ed eterogenee. Una riflessione non è obbligatoria ma utile, soprattutto se si vuole comprendere quanto la visibilità sia diventata una imposizione o una caratteristica sistemica della nostra società tecnologica e quanto invece la risposta concreta ad un desiderio reale.

Se lo scopo è di essere guardati attentamente per essere riconosciuti per quello che si è (autenticità) o si vuole essere percepiti (riconoscimento), vale l'esperienza della visibilità così come accettabili sono le sue conseguenze, anche moderne e tecnologiche. Se la visibilità è poco più che una pratica finalizzata al semplice apparire e a presenziare uno spazio sociale in rete, allora il risultato potrebbe essere sorprendente e manifestarsi in nuova sofferenza, estraneità e minore autostima.

Un altro aspetto da non sottovalutare è che se tutti coloro che usano la rete e i social network sono alla ricerca di visibilità, in teoria non esiste nessuno disponibile a guardare e a soddisfare il desiderio di visibilità degli altri. Tutti vogliono farsi vedere e per questo sospendono lo sguardo, ne consegue che pochi sono quelli guardati e visti. Al massimo sono visti di passaggio, nel sottofondo di una navigazione veloce su una pagina web e subito dimenticati (visibilità illusoria bye bye!). Ne deriva che i benefici della visibilità spariscono, sia in termini di comunicazione, di interazione, di incontro e di relazione intersoggettiva e interpersonale.

Non rimane che fare affidamento alla propria capacità di discernimento fondato sulla conoscenza, la capacità speculativa e la consapevolezza che non tutto è ciò che appare e che una visibilità incapace di produrre benefici e vantaggi non è una pratica da perseguire o da suggerire.

Meglio trovare un sano equilibrio tra visibilità e invisibilità, definire con cura i confini tra privato e pubblico, ricercare un sano equilibrio emotivo e sentimentale che non abbia bisogno di eccessiva esteticità e spudoratezza pubblica e infine sviluppare cognitivamente gli strumenti che servono per dialogare con l'imperante presenza della tecnologia dell'informazione nelle nostre vite di ogni giorno.

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