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Voliere e acquari di Facebook per uccellini e pesciolini in gabbia!

Voliere e acquari di Facebook per uccellini e pesciolini in gabbia!

09 Maggio 2016 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Mentre Facebook continua a espandere il suo Muro delle Facce e a mietere successi economici e d’immagine, cresce la riflessione critica sul suo ruolo nella società e nelle vite di tutti i giorni delle persone. Facebook, come altri social network, sta rubando desideri e immaginazione a coloro che lo abitano regalando loro automatismi, scorciatoie, strumenti e riti finalizzati alla produzione di gratificazioni, eccitazioni, piaceri e felicità.

Voliere, acquari e arche di Zuckerberg

Tutti siamo su Facebook senza renderci conto di essere diventati semplici oggetti finalizzati al benessere e al divertimento di altri.

Come canarini in gabbia o pesciolini dai colori arcobaleno che sbattono le loro testoline contro le pareti di un acquario, gli abitanti di Facebook si ritrovano ad allietare con le loro azioni (canto) grandi corporazioni e aziende tecnologiche della Silicon Valley interessate a farli stare bene per alimentare la loro bulimica fame di dati, di informazioni, di corpi e di profili digitali (Profili inanimati e identità digitali) che usano per fare soldi e imporre il loro dominio tecnologico sul mondo.

Lo spazio mondano e condiviso di Facebook non è una agorà e neppure un mercato a cielo aperto, è un'unica grande serra che sta risucchiando al suo interno tutto ciò che prima era al suo esterno (adattamento di una frase del filosofo tedesco Sloterdik)

L’uccellino o il pesciolino di Facebook, a differenza di quelli veri che abitano la voliera o l’acquario, ha così tanto spazio da non percepire neppure di essere racchiuso dentro confini non cercati. Condivide però con essi la monotonia e la ripetitività dei gesti tipici della prigionia, la limitatezza delle esperienze, dettate da algoritmi e norme predefinite, i sogni di fuga e il destino. I proprietari delle voliere e degli acquari non sono i personaggi malvagi di molta letteratura cyberpunk e distopica, fanno di tutto per raccontarsi come salvatori del mondo, mecenati e solutori di problemi (Si parla di privacy, si riflette sugli effetti della tecnologia!). Lo possono fare perché non sono stati loro a imprigionare gli abitanti in voliere che loro si son limitati a costruire e a mettere a disposizione come novelle Arche capaci di portare tutti al di sopra dei nuovi diluvi universali che caratterizzano la scena climatica, sociale ed economica dell’era postmoderna.

Il mio contributo personale per una riflessione critica sulla tecnologia composto da 19 e-book: Tablet: trasformazioni cognitive e socio-culturali -- Internet e nuove tecnologie: non è tutto quello che sembra -- Tablet a scuola: come cambia la didattica -- La solitudine del social networker -- Nei labirinti della tecnologia -- Genitori tecnovigili per ragazzi tecnorapidi -- 80 identikit digitali, APP Marketing: lo sviluppo non è che l’inizio -- Il diavolo veste tecno -- E guardo il mondo da un display -- Tecnologia mon amour -- Tecnologia mon amour foreverI pesci siamo noi --  100 libri per una lettura critica della tecnologia -- Bufale, post-verità, fatti e responsabilità individuale -- 100 strategie analogiche per resistere al digitale (e allo smartphone) -- La gentilezza che cambia le relazioni digitali -- Tecnologie e sviluppo del benessere psicobiologico -- Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta

A entrare nell’Arca non sono stati solo i nativi digitali ma proprio tutti, anche i cosiddetti immigrati digitali, evidenziando quanto la distinzione tra nativi e immigrati sia artificiale e inadatta a cogliere la realtà di esseri umani sempre in vibrante attesa di nuove possibili esperienze e di corpi dotati di cervelli plastici capaci di apprendere e modificarsi rapidamente.

Nell'acquario di Facebook

 

Facebook è il tema principale di un libro (Nell’acquario di Facebook ) pubblicato da Ippolita, un collettivo di mediattivisti che condivide da tempo le sue riflessioni critiche sulle moderne tecnologie, che raccoglie i risultati di ricerche sul mondo dei social network e del Web 2.0 e sociale.

Il testo è del 2007 e ha raccontato ciò che un numero crescente di studiosi (vedi il libro recente di Eugeny Morozov Silicon Valley: i signori del silicio) sta oggi evidenziando per sfatare la mitologia della trasparenza decantata da aziende come Facebook e suggerire nuove riflessioni meno superficiali sul ruolo che gli utenti hanno all’interno dei social network alla Facebook.

Un ruolo caratterizzato dalla complicità di milioni di utenti nel costruire, in modo spesso inconsapevole, le moderne distopie prossime venture. Il tutto a vantaggio di poche corporazioni e multinazionali tecnologiche (Facebook ti ascolta) che raccontano la loro edulcorata storia dell’interesse prioritario per il bene dell’umanità, la socialità diffusa, la libertà e la democrazia.

"Molto spesso non sappiamo quello che vogliamo, o non vogliamo sapere quel che sappiamo, o vogliamo la cosa sbagliata. Da qui non si scappa." - Slavoj Žižek

Facebook e gli altri social network non sono il male assoluto e non esistono ragioni per bandirlo o vietarne l’uso. Il cattivo gusto e le oscenità che spesso lo caratterizzano non è, come si sente dire, lo specchio della realtà dei tempi ma un fenomeno sinergico e complementare della nostra realtà tecnologica attuale.

Facebook e gli altri social network, come le trasmissioni di Amici o C’è posta per te, non sono un semplice specchio riflettente ma si ispirano alla realtà rispecchiandone una visione sociale, etica e politica che trova negli oggetti tecnologici e digitali una sua concreta rappresentazione.

"Facebook si avvia ad avere un miliardo di utenti. È uno straordinario dispositivo in grado di mettere a profitto ogni movimento compiuto sulla sua piattaforma. Nell’illusione di intrattenerci, o di promuovere i nostri progetti, lavoriamo invece per l’espansione di un nuovo tipo di mercato: il commercio relazionale. Nell’acquario di Facebook siamo tutti seguaci della Trasparenza Radicale: un insieme di pratiche narcisistiche e pornografia emotiva." - Ippolita.net

E’ una visione che per i membri di Ippolita rappresenta l’emergere di una nuova forma di capitalismo definito come anarco-capitalismo, libertario e fortemente individualista (una visione elaborata da autori come Murray N. Rothbard, Robert Nozick, Ayn Rand) che dovrebbe sostituirsi allo stato.

Una nuova forma di capitalismo tutta accentrata politicamente ed economicamente nelle mani di pochi ma anche molto subdola perché si presenta con la suadente retorica della rivoluzione digitale che dovrebbe portare a società più prospere, ugualitarie, aperte e ricche di opportunità per tutti ma che al contrario è strettamente legata alla ricerca del profitto.

Una servitù complice e volontaria

Una visione resa possibile dalla complicità di chi vi aderisce e partecipa convinto della bontà della cosiddetta sharing economy e che in realtà sta solo fornendo la merce e le risorse su cui, come ha scritto Morozov, i signori del silicio stanno costruendo il loro potere.

In questo contesto Facebook è l’espressione principale della rivoluzione sociale, cognitiva ed economica in atto. E’ una rivoluzione che passa attraverso l’offerta di relazioni umane mediate tecnologicamente, di condivisioni automatizzate e gratificazioni legate allo scambio libero e continuativo, di accesso continuo a risorse come la posta elettronica che soddisfano la libido individuale di costruzione del Sé e offre protesi tecnologiche per farlo. 

A questa rivoluzione le persone coinvolte partecipano attraverso profili tecnologici digitali che finiscono per assumere maggiore importanza di quelli reali nonostante essi siano autenticati (frutto di credenziali fornite per accedere al muro delle facce dopo avere sottoscritto un contratto con chi possiede le risorse tecnologiche e le applicazioni di social networking) ma probabilmente meno autentici.

L’abitudine e la consuetudine ad agire con un profilo altro da Sé ed esterno, collocato all’interno di un mondo digitale, e che è agito secondo regole, procedure e modalità previste da altri, tolgono spazio alla immaginazione e alla creatività che tanto caratterizza e differenzia la specie umana, per trasformarsi in una specie di servitù volontaria.

E’ una servitù che ci porta a costruire le nostre voliere e i nostri acquari e a farlo seguendo inconsciamente le regole implicite e l’ideologia del servizio di cui facciamo uso e che sono esplicitate nel tipo di interazione funzionale delle interfacce (“…progettate per guidare gli utenti in precisi schemi di interazione, in maniera che diventino intelligibili alle macchine” – Ippolita). Un’interazione tutta finalizzata alla raccolta di dati e di informazioni, di messaggi e confessioni (come altro chiamare le pratiche di scrittura nella forma di diario che riempiono le pagine del muro delle facce?) alla scoperta e analisi dei nostri comportamenti e stili di vita, delle nostre preferenze ma anche delle nostre emozioni e dei nostri desideri.

Il bisogno di una riflessione critica

Senza un’autonomia di giudizio e una capacità di riflettere criticamente sulla propria condizione si rischia di trasformare le voliere in cui ci si è volontariamente e felicemente racchiusi in vere e proprie gabbie, ghetti ultra-tecnologici nei quali, come in un film dalla sceneggiatura distopica, vengono teleguidati i profili identitari,  ridefiniti i confini delle identità individuali e collettive e delle relazioni sociali, riconfigurate le loro emozioni e dato forma ai loro sogni e desideri.

Nessuno può negare la novità e la ricchezza dell’offerta tecnologica e delle sue pratiche sociali.

"L'utopia è a portata di mano, è una sorta di palmtop universale, con un sistema operativo che funziona, in collegamento costante e senza fili con la mia posta elettronica, capace di darmi le informazioni che mi interessano, capace anche di collegare in tempo reale il mio pensiero connettivo con quello dei miei collaboratori e di farlo senza limiti di frontiere e di tempo (Utopia, De quelques utopies à l'aube du 3° millenaire - Syllepse 2001 France) - Derrick de Kerckove

Facebook e gli altri Social Network sono espressione dei cambiamenti in corso e hanno cambiato il modo di relazionarsi, di raccontarsi, di percepirsi, di incontrarsi ma anche di fare politica, giornalismo e comunità. Grazie ad applicazioni come Facebook è possibile rendersi più autonomi e risolvere problemi pratici, dare forma a reti sociali e piccole comunità centrare su affinità, interessi o attitudini condivise e soprattutto ritrovare la piacevolezza nel farlo, grazie anche ai sistemi di gratificazione, condivisione e partecipazione da essa messi a disposizione.

Ciò che serve non è l’abbandono di Facebook, che pure si può fare ed è la scelta che molti fanno.

Serve una riflessione sull’uso che ne viene fatto, sulle motivazioni, il bisogno e il desiderio individuale di usarlo, sulla realtà e validità della soddisfazione che ne deriva, sulla sua insostituibilità e le possibili alternative esistenti, sulla differenza tra identità algoritmica e cristallizzata dei profili digitali e identità reale, sulle forzature legate alla condivisione online, sulle differenze tra le reti sociali organizzate come un unico social network e realtà reticolari fatte di tante identità, organizzazioni, comunità e reti sociali libere, sull’etica del dono rispetto a quella individualistica e utilitaristica che caratterizza i social network alla Facebook, sulla ricerca di prestazioni che spinge verso la produttività a scapito della convivialità e sulla condivisione forzata di contenuti che impedisce una libera circolazione di saperi.

La riflessione sugli strumenti tecnologici che usiamo è tanto più urgente quanto più omologato e privo di riflessione critica quella dei media. Il loro silenzio è assordante così come lo è quello di molti utenti, anche istruiti e dotati di strumenti cognitivi per elaborare pensiero critico.

Diventare consapevoli del fatto che la comunicazione e la condivisione su Facebook non è gratuita ma basata sulla trasformazione degli utenti del social network in forza lavoro che produce ricchezza di tipo immateriale e cognitiva significa comprendere gli interessi privati dei proprietari delle aziende o padroni del silicio, per usare la terminologia di Morozov, che gestiscono il servizio (Facebook, Google, Twitter, Linkedin, Wordpress, Flickr, Tumblr ecc.).

La merce di scambio e la forza lavoro

Le ricchezze immateriali si materializzano nella forma di miliardi di dati e informazioni, sempre nuovi e freschi perché aggiornati continuamente da chi li produce,  su individui potenziali consumatori sui quali agire per future campagne marketing, promozionali e commerciali. La gratuità e trasparenza del servizio sono garantite allo scopo di rubare tempo all’utente. Più tempo essi rimangono collegati al loro profilo e ai muri delle facce e maggiori informazioni forniranno.

Più tempo rimarranno connessi comodamente seduti sulle loro poltrone a scambiarsi file e opinioni  e più perderanno autonomia e libertà di elaborare una loro visione, anche politica e di cambiamento, del mondo e della realtà. Delegando a Facebook il racconto delle proprie aspirazioni, aspettative, desideri e sogni si rinuncia a prendere il controllo delle proprie vite e ci si offre come vittime sacrificali ai potenti di turno, oggi società tecnologiche che si presentano come benefattrici ed erogatrici di doni.

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La tecnologia e le sue molteplici rivoluzioni stanno riscrivendo il mondo intorno a noi ma alcuni hanno maggiori possibilità di trarne vantaggio rispetto ad altri. Chi controlla le piattaforme sociali (Facebook, Google, WhatsApp, SnapChat, Twitter, ecc.) e gli ecosistemi applicativi (Apple, Google, Microsoft, Amazon, ecc.) sta riconfigurando la realtà imponendo le sue regole, i suoi strumenti e i suoi modelli. Il cambiamento è in corso e non può essere fermato, tanto vale parteciparvi attivamente e farne parte. Il lavoro da fare è cercare di comprendere il cambiamento che sta avvenendo, chi lo sta facendo e perché. Il secondo passo è la decodifica delle norme che sottendono ai modelli tecnologici che stanno cambiando la nostra realtà esistenziale, operativa, politica e sociale.

Prendersi cura di se stessi

Divenire consapevoli significa prendersi cura di se stessi e acquisire maggiore forza per agire in libertà e autonomia nel mondo, anche in quello digitale e tecnologico. Acquisita questa consapevolezza diventerà possibile resistere alla compulsività dei gesti che portano a controllare continuamente  l’arrivo di un messaggio o di una email, a condividere in modo automatico e condizionato (riflessi pavloviani e schemi comportamentali descritti da Skinner) messaggi e MiPiace, a lasciare tracce di sé ovunque e in qualsiasi tempo e alla urgenza di verificare costantemente la visibilità e la reputazione raggiunte.

Nel loro ultimo libro Anime Elettriche, il collettivo di Ippolita fornisce nella conclusione un elenco di suggerimenti che condivido e che da tempo ho proposto in numerosi articoli pubblicati su SoloTablet. Questi articoli, che possono sembrare a una lettura superficiale tecno-apocalittici e tecnofobi, sono in realtà espressione di un grande amore per la tecnologia, per le rivoluzioni e i cambiamenti cha ha introdotto e per le infinite opportunità fornite. E’ però un amore condizionato e sostenuto dal bisogno e dalla necessità di costruire un rapporto di amicizia fatto di consapevolezza in modo da salvaguardare autonomia e indipendenza, da vederne il lato oscuro e gli effetti collaterali e dall’individuare nuove buone pratiche capaci di dare forma a reti sociali libere e comunitarie.

Contro il pensiero unico dilagante e le mitologie tecnologiche

Facebook così come altri media sociali sono oggi l’espressione più avanzata del pensiero unico dominante. E’ un pensiero insufflato di libertà, socialità, partecipazione, condivisione ma in realtà espresso attraverso piattaforme commerciali, accentrate, private e finalizzate al profitto. I cambiamenti che queste piattaforme tecnologiche stanno producendo non vanno valutati sul breve tempo e sui numerosi momenti di verità e felicità che le caratterizzano.

Stanno producendo effetti duraturi che dureranno sul medio e lungo termine con conseguenze sociali, psichiche, psicologiche ed economiche importanti delle quali intravediamo oggi soltanto la punta dell’iceberg. Ciò che rimane nascosto ed è oggi solo percepito è il motore nascosto, fatto di algoritmi, BOT, Cloud Computing, Big Data e strumenti di analitycs che dominerà domani la nostra relazione con la macchina tecnologica che avrà pervaso il mondo e, attraverso di essa, le relazioni tra di noi e con le molteplici realtà complesse nelle quali esperiamo la nostra esistenza.

Fortunatamente da due anni a questa parte stanno aumentando i contributi critici che forniscono utili spunti di riflessione su una realtà che ci vede tutti coinvolti, spesso in modo semplicemente acritico e passivo.

A fornire questi spunti non è solo il collettivo di Ippolita ma anche autori come Carlo Formenti ( Incantati dalla rete - Immaginari, utopie e conflitti nell'epoca di Internet e Utopie letali), Nicholas Carr (Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello! e La gabbia di vetro), Jerome Lanier (La dignità ai tempi di Internet e Tu non sei un gadget), Douglas Rushkoff (Presente continuo. Quando tutto accade ora e Programma o sarai riprogrammato), Eli Priser (Il filtro: quello che Internet ci nasconde), Eugeny Morozov (L' ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internetInternet non salverà il mondo e Silicon Valley: i signori del silicio), Sherry Turkle (Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri ), Ivo Quartiroli (Internet e l’io diviso), e molti altri (consulta la Bibliografia Tecnologica di SoloTablet).

Il problema di questa importante riflessione critica è la limitatezza della sua visibilità e incidenza nel dibattito pubblico e nella narrazione giornalistica prevalente, tutta molto centrata, salvo rare eccezioni, sulle novità e innovazioni tecnologiche e sui loro prodotti o marchi. La sua scarsa influenza può dipendere forse anche dal suo elevato contenuto specialistico e dall’assenza nella società odierna di una consapevolezza politica capace di suggerire interpretazioni non omologate e complesse della realtà attraverso astrazioni e approfondimenti.

Facebook e gli altri social network, proprio perché sono abitati e usati da tutti possono trasformarsi in potenti lenti di ingrandimento, microscopi per vedere all’interno delle logiche algoritmiche che governano gli spazi tecnologici e sociali della Rete, in telescopi per osservare i mutamenti che stanno avvenendo nella profondità dei loro spazi digitali (Cloud Computing e Big Data) e in strumenti analitici per cogliere i mutamenti psichici e psicologici che stanno producendo nella loro capacità di dare forma in modo automatizzato a nuovi soggetti tra loro assimilabili per essere da un lato forza lavoro cognitiva e dall’altro consumatori.

Alcune considerazioni finali

Innamorarsi delle nuove tecnologie non è peccato ma non vederne i problemi e gli effetti collaterali lo è.

Nessuno vieta di usare Facebook per condividere i propri diari e progetti di vita ma farlo in modo consapevole e non dettato dall’obbedienza alla ritualità del media sociale permette di mantenere aperte possibili vie di fuga ed evitare l’asservimento, temporale e cognitivo, alla piattaforma tecnologica e alle sue regole.

Acquisire maggiore consapevolezza significa chiedersi, ogni volta che si usa Facebook, cosa si sta ‘assaggiando’ (riconoscere quello che si porta alla bocca può salvare la vita…) ed esercitare pratiche di attenzione nei confronti delle tecnologie digitali utili a elaborare pratiche e micro-tecniche di autodifesa personali.

Se poi questa consapevolezza si accompagna anche ad un processo di apprendimento e di formazione, ogni utente di Facebook si percepirà come libero e capace di osservare se stesso e di cogliere caratteristiche, perimetro e vincoli della voliera o dell’acquario rappresentato dalla piattaforma tecnologica che utilizza.

La fuga non è una scelta obbligatoria ma sapere che, come nel labirinto di Maze Runners, esistono vie di uscite è già un modo diverso di vivere bene l’esperienza digitale ed eventualmente, di portare  compimento la fuga!

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Bibliografia

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