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Serve uno zaino di competenze sulle tecnologie

Serve uno zaino di competenze sulle tecnologie

02 Ottobre 2017 Tecnologia e religione
Tecnologia e religione
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Intervista con Patrizia Morgante: "Per dire chi siamo non è più sufficiente mostrare il nostro documento d’identità, perché siamo una presenza, che lo vogliamo o no, anche digitale. Il nostro vivere lascia tracce di dati nel cyberspazio che, i motori di ricerca e i loro algoritmi, assemblano e danno loro un senso. La domanda è: sentiamo che la nostra identità esistenziale corrisponde con l’identità digitale che ci viene restituita da google? Se non è così essere presenti in rete in modo consapevole ci permette di dire che chi siamo, senza che altri lo facciano al nostro posto o inferiscano informazioni per mancanza di dati."
Sei filosofo, sociologo, piscologo, teologo,  studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero? .

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini, elettori e credenti. Sulla velocità di fuga e sulla volontà di potenza della tecnologia, sulla sua forza e continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. L'approccio è coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione. Dopo aver rivolto l'interesse verso la cultura d'ispirazione laica, vogliamo allargare il dibattito, sempre con le stesse modalità, anche alla parte d'ispirazione cattolica.


 

Intervista condotta da Carlo Mazzucchelli  e Edoardo Mattei con Patrizia Morgante, Communication Officer della International Union of Superiors General (uisg.org). Educatore professionale, facilitatrice e counsellor. Ha conseguito un baccalaureato in Scienze sociali presso l’Università Angelicum a Roma e il Diploma come esperta del Magistero e normativa canonica per la Vita consacrata.

Buongiorno. Può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?

In questi ultimi mesi sto riflettendo in modo particolare sulla società tecnologizzata di cui parla anche Papa Francesco nella sua enciclica ‘ecologica’: la richiesta di questa intervista mi sembra l’occasione giusta per avere uno spazio, interno e condiviso, per cercare di fare una sintesi e fermare alcuni punti.

Io lavoro nell’ambito della comunicazione sociale per la vita religiosa femminile internazionale da più di 15 anni; comunicazione ad intra e ad extra alle congregazioni. L’Ufficio comunicazione di una congregazione non si limita ai compiti di un tradizionale ufficio stampa, ma si prende cura della comunicazione nella sua complessità: dalle comunicazioni e la circolarità delle informazioni dentro l’Istituto (da un punto di vista qualitativo e non solo quantitativo); all’attenzione al branding, l’immagine integrata che l’organizzazione religiosa, con un carisma specifico, vuole offrire all’esterno.

Pensandoci bene anche gli uffici stampa ormai non sono più tradizionali perché l’era digitale ha modificato la professione del giornalista professionista: non si tratta più di ‘stare solo sul pezzo’, ma di garantire un approfondimento e una contestualizzazione ragionata, cronologica-geografica-sociale della news; rispondendo con competenza all’immediatezza del citizen journalism, che fa opinione e crea consenso o dissenso. Il giornalista deve rispondere con competenza a quel grave problema delle fake news che i social, in particolare Facebook, stanno cercando di gestire per non perdere credibilità.

Io credo che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in particolare con l’arrivo di internet negli anni 90, sia un passaggio che fa della nostra epoca un tempo unico. Sono dentro il mondo digitale come cittadina, lo abito per socializzare e per svolgere diligenze e commissioni che prima mi richiedevano operazioni che ora posso fare con un computer, una connessione internet e una carta ricaricabile.

Ho fatto del mondo digitale anche una scelta professionale in un ambito specifico, come la vita religiosa femminile: convinta che siamo figlie e figli di un Dio profondamente comunicativo, ma non arrogante. Se non avesse avuto una grande fiducia nelle sue creature, non avrebbe lasciato che altre e altri scrivessero dell’esperienza umana di Gesù.

Io sento che fare comunicazione è entrare un po’ in questa fatica di Dio di avvicinare le persone, toccarle nel cuore e farle innamorare sempre più dell’umanità, con tutte le sue contraddizioni.

Nella comunicazione sociale non si desidera vendere un prodotto e quindi modificare le persone per un guadagno. Si vuole condividere la bellezza che talvolta si annida sotto la cenere o le rovine: il nostro compito è coglierla e narrarla, usando i diversi linguaggi a nostra disposizione perché arrivi a tutte e a tutti.

 

 

Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi, dei teologi e degli scienziati ma anche delle singole persone?

Credo profondamente nel ruolo degli intellettuali nella nostra società, perché ci aiutano a leggere la realtà come se fosse un oggetto e svelarne aspetti di cui non siamo consapevoli. Allo stesso tempo, credo che sia necessaria una visione integrale e integrata di ciò che viviamo: questa spinta che ha sempre abitato la persona umana di osare oltre i confini dati oggi la viviamo di più per il livello di competenza scientifica che abbiamo raggiunto, almeno in una parte del mondo; e può spaventare. È legittimo.

Ipotizzare scenari apocalittici, a mio avviso, non aiuta: proviamo a domandarci, in modo interdisciplinare, cosa significa questo per la persona umana. Io credo profondamente nella spinta alla conservazione della vita che è insita nella persona: fare perno su questo desiderio profondo di curare la vita può facilitare un dibattito serio, profondo, competente, libero sulle implicazioni di un mondo ipetecnologizzato.

Sto leggendo solo da poco tempo qualcosa in più sull’Intelligenza Artificiale (IA, o AI in inglese) e mi rendo conto che si cammina nella prassi con maggiore velocità di quanto si rifletta sulla stessa prassi. Grazie anche al lavoro di questo sito e altri spazi è necessario continuare a nutrire la riflessione, facendo camminare insieme teoria e prassi; il pericolo nasce, a mio avviso, quando stacchiamo queste due dimensioni, aspetto che ora sembra prevalere.

Questa riflessione dovrebbe essere accompagnata dalla fiducia che, anche se un gruppo volesse trasformare questo mondo in robot creati in laboratorio, ci sarebbe sempre un altro gruppo che aiuterebbe a non dimenticare che la persona umana è anche anima e spirito, mistica e mistero.

"Da più di un secolo la filosofia pone al centro della propria analisi la tecnologia: ne ha studiato le espressioni, gli effetti, gli aspetti morali, economici, psicologici, ma non ne ha tuttavia individuato la più intima identità. La tecnologia, per la filosofia, è rimasta un enorme punto interrogativo al centro della storia, che copre con la sua ombra tutto il reale, ma che non intende rivelare la sua essenza. Fino a qui ci ha condotto il vento filosofico. Da qui sono sopraggiunte le “folate” teologiche." Andrea Vaccaro

Viviamo immersi in un processo evolutivo che ha assimilato la tecnologia e ne subisce la volontà di potenza e la velocità di fuga. La tecnologia è diventata parte integrante e necessaria della vita di tutti i giorni. Non ne possiamo fare a meno anche se scarsa è forse la consapevolezza sugli strumenti usati e sui loro effetti. La tecnologia non è neutrale ma neppure cattiva. Molto dipende dall'uso consapevole e critico che ne viene fatto per conoscere se stessi e soddisfare i propri bisogni. La tecnologia non deve essere demonizzata ma neppure trasformata in una nuova religione. Ma questo è quanto sembra stia accadendo, evidenziando una nuova fuga dalla realtà e verso l'irrazionalità. Lei cosa ne pensa?

Posso dare un modesto contributo a questa domanda solo a partire dalla mia esperienza professionale. Nel mondo religioso ho notato un atteggiamento comune che, pur non conoscendo il mondo della tecnologia lo demonizza e ne ha paura, e così pensa che l’unico modo di proteggersi sia rimanerne fuori. Il mondo digitale non è uno strumento che posso usare o meno, è uno spazio antropologico che esiste e non posso rimanerne fuori. Alcuni pensano che non avere un account sui social preservi la nostra privacy, in parte è vero; ma le tecnologie non si identificano solo col mondo social: noi siamo un numero o un codice presente nei database degli uffici burocratici del nostro paese. Tutti questi dati e movimenti lasciano tracce che, nel tempo, diventano la nostra identità digitale.

Per dire chi siamo non è più sufficiente mostrare il nostro documento d’identità, perché siamo una presenza, che lo vogliamo o no, anche digitale. Il nostro vivere lascia tracce di dati nel cyberspazio che, i motori di ricerca e i loro algoritmi, assemblano e danno loro un senso. La domanda è: sentiamo che la nostra identità esistenziale corrisponde con l’identità digitale che ci viene restituita da google? Se non è così essere presenti in rete in modo consapevole ci permette di dire che chi siamo, senza che altri lo facciano al nostro posto o inferiscano informazioni per mancanza di dati.

Questo vale al livello individuale ma anche come Congregazione religiosa: che immagine l’algoritmo mi restituisce del mio carisma e del mio Istituto?

Spero proprio che la tecnologia non si traduca in una ‘religione’, perché questo, come è stato per il Vangelo, può allontanare dalla profondità della scoperta e della sfida.

Chi come noi lavora in questo ambito deve contribuire a un’educazione capillare alle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione: una Media education che travalichi i confini formali della scuola. Alla UISG una buona parte del lavoro si spende a formare le religiose che hanno la responsabilità della comunicazione nel proprio istituto.

 

Secondo molti la pervasività degli strumenti tecnologici e il tempo crescente ad essi dedicato sta mettendo in crisi la pratica religiosa così come la spiritualità. La tecnologia sembra fare miracoli come quelli raccontati nei Vangeli (guarisce storpi, ciechi, mani paralizzate...) e di realizzare l'epoca messianica di felicità e benessere. La tecnologia è vista come un Sacramento, uno strumento che Dio offre all'uomo ma al contempo è anche un progresso totalmente umano (Techgnosis e New Age).  Se grazie alla tecnologia si possono realizzare le stesse opere divine perché continuare a credere?

La persona umana non si può accontentare mai di sola materialità: per questo tende a trasformare tutto in simboli e rituali. Ci abita una continua tensione verso l’altro, l’alto, l’infinito che ci fa sempre sentire assetati.

La domanda è perché le persone cercano altrove? Le narrazioni religiose non sono forse più in grado di offrire un senso alla vita che permetta un’esistenza equilibrata e con il giusto rapporto con il mondo esterno?

 

La tecnologia è diventata la nuova religione del XXI secolo e i Signori del Silicio (Google, Facebook, Amazon, Microsoft e Apple) ne sono i suoi profeti. Lo sostiene anche Noah Harari autore di Homo Deus quando scrive che "la tecnologia definisce lo scopo e i limiti delle nostre visioni religiose, come un cameriere stabilisce le opzioni di scelta dei nostri appetiti". Le nuove tecnologie stanno uccidendo i vecchi Dei facendone nascere di nuovi. Le religioni storiche, dal cristianesimo all'induismo, per anni hanno fornito risposte a domande importanti per l'essere umano. Oggi hanno difficoltà a rispondere alle numerose domande che la tecnologia pone: intelligenza artificiale e lavoro, politica e crescenti disuguaglianze, biotecnologie, ricerca dell'immortalità, ecc. La religione ha esaurito le proprie risposte o ha ancora un'antropologia per l'uomo tecnologico, disincantato e più istruito rispetto al passato?

Credo di averlo detto poc’anzi: la prassi è molto veloce e quando questa non scaturisce da una riflessione, rischia di non portare solo cose che migliorano la vita. Papa Francesco ci invita al discernimento: stare dentro questo mondo, non come degli spettatori, ma come protagonisti curiosi e desiderosi di dare il proprio contributo con umiltà, stimolando noi stessi e gli altri al discernimento. Ponendosi domande e cercando insieme risposte.

Forse le religioni hanno sempre preteso di dare risposte, senza accompagnare le persone a imparare a porsi domande e fare la fatica di trovare risponde.

Oggi le religioni, in particolare la cattolica che sento a me più vicina, possono dire la loro parola dentro questo contesto e aiutare a non perdere lo spessore umano. Ma lo devono fare in modo molto umile e dialogico se vogliono essere ascoltate dall’uomo e dalla donna delle società liquide.

 

Grazie alla tecnologia gli esseri umani vedono la loro vita terrena facilitata, esentata dalle fatiche, semplificata, automatizzata, velocizzata, liberata ma anche potenziata (salute, economia, relazioni, ecc.). Una vita terrena percepita più felice sembra però allontanare dall'intimità e dalla profondità religiosa e spirituale, portando a privilegiare la superficialità e l'esteriorità. In che modo la tecnologia e/o una interazione diversa con essa potrebbero facilitare una vita più intima, più profonda, più spirituale e religiosa?  Può la tecnologia essere veicolo di nuove forme di fede e strumento di spiritualità per trascendere l'esistente e prepararsi mondo che verrà?

Personalmente non credo che sia stata la tecnologia a favorire la diffusione di maggiore superficialità e la ricerca ossessiva dell’esteriorità e dell’apparire. Forse ha creato solo lo spazio per dare forma a questo desiderio che, mi sembra essere, una caratteristica delle generazioni nate negli anni ’60 e ’70. Le generazioni successive al secondo dopoguerra che presentavano caratteristiche sociologiche completamente diverse.

Ho la sensazione che non siamo in grado di leggere e vivere la complessità che caratterizza il nostro tempo: per interpretarlo proviamo a usare modelli e paradigmi vecchi, che ora non possono aiutarci. La realtà globale ci chiede un approccio integrale, integrato, multidisciplinare, interculturale per capire cosa stiamo vivendo e rispondere in modo adeguato. Continuiamo a leggere i fenomeni locali senza renderci conto che le soluzioni sono al livello globale.

È necessario costruire paradigmi più adeguati a questo tempo.

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

Nessuna attività della persona è neutrale, a mio avviso. Siamo soggetti intenzionali e dotati di coscienza, è impossibile essere neutrali e oggettivi. Nella nostra società non prendere posizione, vuol dire che lo farà qualcuno al nostro posto, facendoci dire cose che neanche sogneremmo di pronunciare.

In ogni epoca storica le invenzioni e le scoperte hanno modificato il corpo, il cervello e la vita delle persone: si chiama evoluzione. Oggi sta avvenendo lo stesso: noi non lo vedremo, ma il nostro corpo si modificherà e diventerà più adatto al touchscreen; il nostro cervello si sta già adattando a un modo diverso di vedere, accumulare le informazioni, elaborarle e rispondere.

Preoccupa la poca capacità di concentrazione che caratterizza i nativi digitali; il loro passare da uno stimolo all’altro senza elaborarlo. Come possiamo aiutare la profondità senza uscire dalla realtà tecnologica che esiste e ci circonda? Non ho risposte, credo sia un processo di ricerca che coinvolta i nativi digitali stessi.

 

 

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?

Mi colpisce molto questo terrore diffuso verso le tecnologie oggi, quando conviviamo da più di 70 anni con un potenziale atomico e nucleare che in pochi secondi potrebbe cancellare interi paesi. Oggi forse la tecnologia ha invaso la quotidianità e la bomba atomica la pensiamo ancora come una cosa lontana, come un gioco tra uomini potenti che non ci può toccare?

 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Gesù è un modello di comunicatore perfetto: se si legge con gli occhi della comunicazione il Vangelo, ci si accorge di quanto possiamo imparare per comunicare in modo sano, valorizzante e positivo. Gesù, nei racconti che ci sono arrivati, sa equilibrare molto bene silenzio e parola, gesto e corpo. Pensiamo al suo rapporto con le donne e ai dialoghi intercorsi con loro: ha usato un approccio completamente diverso da quello avuto con i maschi; ha saputo adattarsi alla diversità del suo interlocutore, perché l’obiettivo era arrivare al cuore dell’altra e dell’altro.

Consiglio a tutti di crearsi come uno zaino di competenze sulle tecnologie, scegliendo anche autrici e autori che possono aiutarci a capire e scegliere meglio nella prassi. L’approccio che io sento più vicino a me è quello di integrare riflessione e pratica; interrogare la realtà e lasciarci toccare e interrogare da essa. Le riflessioni che non aiutano a generare vita, sono solo esercizi intellettuali, di cui ho profondo rispetto ma che non sento miei.

 

Cosa pensa del progetto SoloTablet e delle sue iniziative finalizzate  una riflessione condivisa sulla Tecnologia? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo e arricchirlo con nuove iniziative!

Ho scoperto questo progetto grazie a Facebook e ora lo seguo perché mi aiuta a pensare; mi piace l’approccio aperto e dialogico. Forse andrebbe fatto conoscere di più. Oggi non basta scrivere un buon articolo, è necessario trovare il giusto canale perché le persone lo leggano. Siamo sommersi da parole e stimoli. Invito gli amici di SoloTablet (spero posso chiamarvi così) a usare di più i social per promuovere i loro ottimi contenuti, riportando anche brevi citazioni degli articoli per stimolare la curiosità a cliccare sul link che porta al testo completo. Forse si potrebbero aggiungere delle brevi interviste video, con pillole brevi sulle tecnologie.

Se desiderate che il sito diventi uno spazio educativo, aiuterebbe porre delle domande alla fine di ogni articolo, per stimolare la riflessione personale dei lettori e delle lettrici.

Grazie e buon lavoro…

Messaggio rivolto al lettore: non siamo nati per leggere, si impara nel tempo a farlo ricavandone gioia, intuizioni, dolore, saggezza e molto altro. Se sei arrivato fin qui significa che hai imparato a leggere e sai anche andare oltre il testo pensando con la tua testa. Perchè non ci dici cosa ne pensi condividendo un tuo commento?

 

* Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli (Islanda)

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