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Disruption: inevitabile ma prevedibile

Disruption: inevitabile ma prevedibile

27 Febbraio 2018 Gian Carlo Lanzetti
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Gian Carlo Lanzetti
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Secondo la nuova edizione del “Disruption Index” di Accenture, la disruption nel mondo è già una realtà per la maggior parte delle aziende in tutti i settori industriali.

Lo studio ha analizzato oltre 3.600 aziende, con un fatturato annuo di almeno 100 milioni di dollari, in 82 Paesi, sulla base di due parametri: livello attuale e suscettibilità futura alla disruption. Il quadro che ne emerge è chiaro, il cambiamento è divenuto parte integrante della quotidianità delle imprese: il 63% affronta già attualmente livelli elevati di disruption e il 44% lo farà in un prossimo futuro.

Nell’ambito della ricerca, Accenture ha sviluppato un “Disruption Index” identificando gli elementi chiave della disruption (definita come l’innovazione dirompente in grado di rivoluzionare interi settori) la presenza e la penetrazione nel mercato di aziende innovatrici, la performance finanziaria, l’efficienza operativa, la vocazione all’innovazione delle società tradizionali, nonché la loro modalità di difesa dagli attacchi. L’indice rappresenta uno strumento utile per analizzare e capire i diversi settori industriali e consente alle imprese di individuare rischi e opportunità per poi elaborare la giusta risposta strategica.

Accenture ha raggruppato le società coinvolte nello studio, appartenenti a 20 settori industriali, secondo quattro diversi livelli o stati dell’innovazione:

  • Durabilità: Qui la disruption è evidente, ma non mette a rischio la sopravvivenza dell’azienda; i player tradizionali godono ancora di vantaggi strutturali e ottengono risultati rilevanti. Circa un quinto (19%) delle aziende intervistate ricade all’interno di questo stadio evolutivo dell’innovazione, tipicamente appartengono al settore della vendita e fornitura di parti in ambito automobilistico, a quello delle bevande alcoliche e al chimico.
  • Vulnerabilità: L’attuale livello di disruption è moderato, ma le aziende dominanti sono sensibili alla disruption futura a causa di sfide strutturali di produttività rappresentate, per esempio, dall’elevato costo del lavoro. Questo stato comprende un quinto (19%) delle aziende, tra cui quelle operanti nel settore assicurativo, sanitario e dei discount.
  • Volatilità: Caratterizzato da una disruption violenta e improvvisa; quelli che un tempo rappresentavano punti di forza si sono ora trasformati in debolezze. Le aziende in questo stadio (il 25% di quelle coinvolte nello studio) sono prevalentemente operanti nel comparto della tecnologia di consumo, come pure in vari settori di servizi: quello bancario, della pubblicità e dei trasporti.
  • Vitalità: La disruption è costante; le fonti di vantaggio competitivo sono spesso effimere in quanto emergono continuamente nuove aziende disruptive. Questo stadio comprende più di un terzo (37%) delle aziende, tra queste emergono fornitori di software e piattaforme, telecomunicazioni, media e high-tech, nonché le case automobilistiche.

“Guardando all’evoluzione delle imprese e dei settori industriali negli ultimi anni, possiamo dire che la disruption oggi si presenta con due caratteristiche peculiari: è inevitabile, ma anche prevedibile” ha affermato Massimo Morielli Managing Director, responsabile di Accenture Digital in Italia. “In quest’ottica per i business leader è fondamentale capire dove si colloca la propria azienda nel panorama della disruption e calcolare a quale ritmo è probabile che avvenga il cambiamento. Quanto più sarà chiara la consapevolezza dei mutamenti, tanto meglio riusciranno a prevedere e individuare le opportunità, creare valore a partire dall’innovazione e in ultima analisi, “orientarsi verso il nuovo”.

Il “Disruption Index” di Accenture posiziona i settori in quattro stati di disruption

Secondo la ricerca, ad ognuna delle fasi sopra individuate corrisponde un diverso orientamento strategico:

  • Nello stato di durabilità, le aziende devono reinventare le proprie attività tradizionali piuttosto che impegnarsi per preservarle. Ciò significa adottare provvedimenti per mantenere la leadership di costo all’interno del core business, per esempio rendendo le offerte non solo più economiche, ma anche migliori per i clienti.
  • Nello stato di vulnerabilità, le società devono rendere più produttive le proprie attività tradizionali e predisporsi a sfruttare le innovazioni future (proprie o dei concorrenti). Dovrebbero per esempio ridurre la dipendenza dalle immobilizzazioni e monetizzare le risorse sottoutilizzate.
  • Nello stato di volatilità, l’unico modo per sopravvivere è cambiare lo status quo in modo deciso, ma saggio. Le aziende tradizionali devono trasformare radicalmente il proprio core business e al contempo sperimentare nuove attività, facendo attenzione a trovare il giusto equilibrio: se infatti una svolta troppo repentina potrebbe rendere la situazione economicamente insostenibile, con un cambiamento troppo lento le aziende rischierebbero di diventare obsolete.
  • Nello stato di vitalità, le società devono mantenersi in uno stato costante di innovazione. Ciò comporta: aumentare la penetrazione di prodotti e servizi innovativi per i clienti esistenti e espandersi aggredendo mercati adiacenti o del tutto inesplorati, forti di un core business rivitalizzato e basato sull’innovazione.

“Non bisogna limitarsi a sopravvivere alla disruption. Per trarne un vantaggio, le aziende devono trasformare e alimentare il proprio core business, innovandosi per creare e sperimentare nuove attività”, afferma Morielli. “Una leva fondamentale all’interno di questo processo è rappresentata dal digitale, che può contribuire in svariati modi a rendere più resistente un’azienda nei periodi di disruption: permettendo di ottenere risultati migliori dai prodotti esistenti, sviluppando servizi digitali completamente nuovi, riducendo i costi o aumentando le barriere all’ingresso.”

 

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