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Amazon e le intelligenze artificiali
Di intelligenza artificiale un tempo si parlava quasi esclusivamente all’interno di gruppi accademici e di studiosi. Oggi ne parlano tutti, a proposito e molto anche a sproposito. La realtà però forse sfugge ai più. Per capirlo basta seguire con attenzione le strategie di alcune grandi aziende tecnologiche, ad esempio Amazon.
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Il software come piattaforma
La pervasività delle macchine e l’uso che ne viene fatto ha dato origine a una specie di sonnanbulismo che impedisce di vedere la realtà per quello che è e di cogliere ciò che cresce e si sviluppa nel sottosuolo. Per alcuni questa realtà è solo l’inizio di una trasformazione più grande che ha bisogno di accelerare. Per altri è un modo inconsapevole per evitare di vivere la realtà attuale illudendosi che quella virtuale sia sempre migliore.
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Fidarsi o non fidarsi questo è il problema
La rapida evoluzione delle intelligenze artificiali pone numerosi problemi di natura etica. Molti si stanno interrogando su quanta fiducia possiamo dare a macchine, algoritmi e robot, quanta libertà possiamo dare loro nel raccogliere dati e informazioni, analizzarle e piegarle a interessi privati, in che modo possiamo intervenire per impedire che i pregiudizi di coloro che implementano le nuove tecnologie possano creare macchine e automatismi imposti dagli effetti negativi, discriminatori e indesiderati.
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La tecnologia affascina. Più affascinante è la questione del nostro destino (Marco Salucci)
L’abuso di qualunque tecnologia diventa dannoso. Chiaramente un incidente d’auto a 100 km/h avrà conseguenze più gravi che a 30 km/h. L’introduzione di ogni nuova tecnologia ha sempre suscitato profezie di sventure, da parte di alcuni: anni fa si discuteva della questione della dipendenza dalla televisione, oggi di quella da cellulare. Intendo dire: discussioni simili esistevano già prima della diffusione dei dispositivi informatici. Immaginiamo un musicofilo che stia sempre chiuso nel suo studio ad ascoltare melodrammi: lo stimolo culturale a cui si espone sarà certamente migliore di quello accessibile compulsando ossessivamente un telefono cellulare ma i suoi rapporti umani e il rapporto con la realtà saranno comunque patologici. Alla fine abbiamo due problemi non uno: quello delle relazioni umane surrogate e quello dei contenuti. E il problema del mezzo viene dopo questi.
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Il filosofo non deve limitarsi a scuotere la testa (Giuseppe Goisis)
Il filosofo non deve limitarsi a scuotere la testa, e a lasciare che il mondo corra dove vuole, o dove è spinto dalla necessità, indicando invece la prospettiva di un vero e proprio umanesimo del limite, che faccia riannodare, fra l’altro, il legame nuziale, perduto e rimpianto, fra l’uomo e la “sua” Terra. Davvero, la Terra, valorizzata ma anche devastata, oggi “splende di trionfale sventura”.
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La tecnologia permette alla filosofia un’estensione della propria visione (Fabio Ciraci)
Noi siamo costantemente interpellati a livello morale da ciò che accade in tutto il mondo, perché ne veniamo costantemente messi a parte, attraverso webcam in tempo reale, attraverso informazioni diffuse, social media etc. Ciò implica un diverso livello di responsabilità, proprio perché siamo chiamati a rispondere a continue richieste di intervento
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Tecnica ed economia guidano il mondo, etica e politica, quando possono, seguono appresso.
La tecnica e la tecnologia non sono neutrali perché essere creano un mondo con determinate caratteristiche che incidono profondamente sul nostro essere-nel-mondo, cioè sul nostro modo di pensare e agire, quindi sulle nostre credenze, abitudini, stili di vita, sul modo di divertirci, di procreare e di soffrire. Per questo motivo Severino sosteneva che oggi la tecnica da mezzo è diventato un fine; e non perché la tecnica si proponga un fine o degli scopi per l’umanità ma perché tutti i fini e gli scopi cui gli uomini aspirano non si possono raggiungere se non attraverso la mediazione della tecnica.
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Serve una riflessione critica capace di portare a una coscienza diversa sul ruolo della tecnologia
I nostri sé sono networked: c’è un nucleo stabile, ma differenti aspetti di quel sé vengono enfatizzati in situazioni sociali differenti» (p. 391, edizione Guerini Scientifica). Il problema però è che quegli aspetti iniziano a diventare “personaggi” diversi, assistiamo a una sorta di dissociazione di identità. Un mondo networked può offrire alle persone la possibilità di vivere bene, se però sanno come farlo. Una forte consapevolezza di sé e dei propri valori, un atteggiamento critico e una presa di distanza scettica risultano sempre necessari per evitare di soccombere. Ma questo atteggiamento non è qualcosa di naturale, è qualcosa che va sviluppato e allenato costantemente.
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Dal Golem ad AlphaGo
C’è un’intera corrente di pensiero – grosso modo ispirata ai modelli computazionali della mente - la quale ritiene che, sì, è possibile che robot e computer possano avere una mente per la buona ragione che la mente non è vincolata al supporto materiale: sia un’anima che un software per computer hanno un rapporto accidentale con il corpo in cui si trovano. E ciò stabilisce una singolarissima alleanza fra i vecchi dualisti che credono nell’esistenza dell’anima immateriale e i contemporanei cognitivisti che pensano che la mente sia un software per computer.
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La tecnologia è come una suola sorretta dalla stessa terra che nasconde (Lorenza Saettone)
L’unica arma che abbiamo è la consapevolezza di noi stessi. Jung sosteneva la necessità di rendere conscio il nostro inconscio. In caso contrario continueremmo sempre a chiamare “destino” ciò che semplicemente è la nostra volontà rimossa. Pertanto, l’auto-consapevolezza e la trasparenza ci salvano in primis dalla superstizione, dalla credenza che esista un fato, dalla manipolazione degli eventi che il nostro stesso stesso Es mette in atto. Insomma da un lato ci salverebbero dal condizionamento interno, dall’altro da quello esterno dei media. Si sa che la creatività rende meno influenti i subliminali.
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