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Crisi, euro e luoghi comuni

Crisi, euro e luoghi comuni

17 Aprile 2013 Antonio Fiorella
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Quello che i nostri Goebbels (politici, editorialisti e megafoni delle classi dirigenti) raccontano dell’Italia, dentro lo scenario della crisi europea, contiene elementi di verità: la burocrazia, la corruzione, le inefficienze ci penalizzano eccome. Ma il racconto, meglio, il resoconto complessivo è un “manifesto ideologico” costruito su luoghi comuni adoperati per spacciare una “gigantesca menzogna”.

Adesso chi ci crede più che l’economia è una scienza triste? Triste semmai è ogni ricaduta nell’errore.

Alberto Bagnai, ne Il tramonto dell’euro, analizza dati, presenta tabelle, mostra e spiega con dovizia di particolari come ci siamo cacciati in un cul de sac monetario, l’euro (altrove definito il frutto avvelenato), dal quale prima se ne esce e meglio è, come fosse chiaro sin dall’inizio che la moneta unica avrebbe assolto al medesimo compito che Reagan aveva predisposto per gli USA, imponendo agli europei la dottrina “meno Stato, più servizi ai privati”, e quel liberismo senza regole che ha incrementato la ricchezza dei ricchi, impoverito le classi medie e ridotto al lastrico i meno abbienti.

I dati non dicono che la crisi è causata dal debito pubblico. Lo prova il fatto che sono stati colpiti paesi, come Spagna e Irlanda con debiti pubblici paragonabili a Germania e Francia, paesi invece che hanno cumulato debiti privati contratti con creditori esteri. Occorre saper distinguere tra fatti e luoghi comuni. Senza bere come acqua di sorgente quello che spacciano i luogocomunisti: che la crisi ce la meritiamo, meglio se il rigore ci viene imposto da un “vincolo estero”, dall’Europa, da popoli più seri di noi. E infatti l’entrata nell’euro non è bastata a risolvere i problemi, che anzi si sono acuiti a causa di deliranti n€uro-politiche come l’austerità imposta in una fase ciclica depressiva.

Quante volte ci siamo sentiti ripetere “l’euro ci moralizza perché ci impedisce di svalutare...” Se svalutare è immorale, rivalutare è forse virtuoso? “Come ogni prezzo, anche il tasso di cambio segue la legge della domanda e dell’offerta”. Noriel Roubini, già nel 2006, osservava come l’Italia affrontasse una crescente perdita di competitività dovuta a una moneta sopravvalutata (scenario simile a quello vissuto dall’Argentina). Uno dei paradossi dei luogocomunisti è che “lo Stato, come una famiglia, non deve fare i debiti. Poi ci sono quelli che... svalutare, oltre che essere immorale, scatena l’inflazione ... ci siamo già passati attraverso la svalutazione competitiva della liretta ... la Germania è la locomotiva d’Europa.

A fronte di un paese che si indebita, c’è sempre un paese che gli presta i soldi. Così gira l’economia capitalistica. Ma prestare soldi porta a dei saldi positivi che, se protratti per lunghi periodi, creano squilibri. Portano a ciò che gli economisti chiamano “surplus strutturale”. La dicotomia che chi acquista a debito è colpevole, mentre chi esporta è bravo, non trova riscontro in economia né negli accordi internazionali. Semmai negli atteggiamenti forvianti di quanti vogliono cavalcare questi scenari. Nel secondo dopoguerra gli economisti scrissero nell’art.7 dello Statuto del Fondo monetario internazionale (FMI) che se un paese si trova in posizione di surplus persistente, il Fondo può autorizzare gli altri paesi a prendere provvedimenti. Ossia, “i paesi in surplus hanno il dovere di cooperare alla ricomposizione di questi squilibri”. Il perché è ovvio: se tutti adottano politiche mercantilistiche, volte all’esportazione, non resta che la soluzione di esportare sulla Luna.

Nelle normative europee, anche se disattese, non mancano direttive in tal senso. Nel 2007, in seguito alla crisi dei subprime, il governo italiano si è uniformato ai “divini insegnamenti europei” restringendo i cordoni della borsa. “Una svalutazione del cambio non si traduce integralmente in inflazione...” Khan e Senhadji (2000) del FMI stabilirono che solo quando l’inflazione supera il 4% comincia ad avere effetti depressivi sulla crescita. Agli inizi del 2000 il reddito procapite di Grecia e Portogallo era di 20 mila euro, equivalente a quello della Germania del 1980. Ora, secondo le teorie economiche, i paesi che restano indietro tendono a crescere più in fretta, quindi con maggiore inflazione.

Il target di riferimento del 2% della BCE si configura pertanto come una delle regole fatte a beneficio delle economie del Nord.

Dic. 1978: Giorgio Napoletano nel dibattito sullo SME esprimeva la motivata preoccupazione della sinistra per le difficoltà che potevano derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio europeo. “Se era chiaro che la rigidità del cambio creava problemi, se c’era stata la crisi del 1992, perché mai i governi europei hanno deciso di rientrare in questa trappola?” chiede l’autore, che poi così conclude: c’era l’adesione al sogno europeo, e “naturalmente, la consapevolezza del fatto che in economia le decisioni sbagliate fanno vincitori e vinti”. Il mercantilismo, figlio dell’approccio economico beggar-thy-neighbour policy, è stato praticato nei secoli scorsi quando le terre di conquista aprivano nuovi sbocchi per le merci. “Il moralismo asimmetrico, per cui l’esportatore (l’adultero) è bravo e l’importatore (l’adultera) è cattivo, è datato e suicida”. Meade (1957), Kaldor (1971) ponevano obiettivi di equilibrio negli scambi con l’estero finalizzati nel medio termine al pareggio delle bilance di pagamento. Il sogno europeo invece è diventato il sogno dell’Oca (optimum currency area). In anni più recenti, solo per citare alcuni economisti, Dornbusch (1996) ci aveva messo in guardia che, trasferendo sul mercato del lavoro l’aggiustamento che la rigidità (interna) del cambio non poteva più dare, l’euro avrebbe condannato l’Europa alla recessione e disoccupazione. Krugman (1998) diceva in proposito che l’euro non era fatto per rendere felici tutti, ma per rendere felice la Germania.

Altri hanno scelto di sedersi sulla riva del fiume e aspettare il cadavere; altri ancora hanno argomentato che i politici facendo la cosa sbagliata, hanno fatto la cosa giusta, perché così si creavano le condizioni per avere maggiore Europa, (con costi per i cittadini da accettare in cambio dell’unità politica completa). (R. Prodi 4/12/2001) “L’antidemocraticità dell’euro, del resto, è placidamente ammessa... da Jacques Attali (2011) nel momento stesso in cui rivendica l’onore di essere tra i padri fondatori di questa unione europea”. Dove anche gli industriali della periferia hanno il loro tornaconto quando comprimono i salari in nome di: “lo vuole l’Europa!” Il ciclo Frenkel spiega le dinamiche della crisi nei paesi periferici o in via di sviluppo: a) adozione di un tasso di cambio ‘credibile’ o ‘fisso’ rispetto a un centro o paese di riferimento, b) liberalizzazione dei mercati finanziari interni, c) e dei movimenti di capitali. I quali affluiranno copiosi all’inizio supportati da un cambio stabile, salvo poi rarefarsi quando la situazione debitoria appare non più sostenibile.

L’adagio che lo Stato spreca, trova un riscontro eguale e contrario nel fatto che la finanza privata fa peggio. Il default Lehman Brothers ha causato un abbattimento del 70% su un portafoglio di 600 miliardi di dollari. I default degli stati sovrani dal 1998 al 2006 (comprendenti Argentina e Russia) hanno avuto una copertura media del 55% e riguardato un totale di 178 miliardi di dollari. Ecco dunque serviti i sostenitori della riduzione dell’impronta dello stato, e della cessione di sovranità nazionale a centri di poteri sovranazionali.

Il golpe c’è stato. Ha inizio nel 1981 con il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, con una decisione dell’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, senza voto politico né avallo parlamentare. A partire da questa data la spesa per interessi decolla, il rapporto debito/Pil s’impenna, le aspettative dei lavoratori vengono disciplinate orientando la ridistribuzione del reddito verso i profitti. Il sogno europeo, anche visto dal Nord, non è mai idilliaco per le classi subalterne, poiché poggia sulla sottoccupazione e precarizzazione del lavoro. E agli sconfitti del Nord, di cui fanno parte una massa crescente di tedeschi, viene somministrata la favola che la colpa è dei cittadini del Sud. Insomma nell’Europa unita vige la regola di mettere gli uni contro gli altri, che chi si trova in difficoltà vada sanzionato. Ed ora che la legge dei lupi ha avuto dalla Norvegia il suggello del premio Nobel per la pace, c’è davvero da stare freschi! Segno che la manipolazione è radicata.

Quante volte è stato detto che l’iperinflazione (1924) della repubblica di Weimar avrebbe favorito l’ascesa di Hitler (1933) al potere? Corrono nove anni dalla prima data alla seconda, durante i quali ci fu la crisi del 1929, che ebbe come risposta dal cancelliere Brüning politiche di austerità! “Il modello di sviluppo europeo è sostanzialmente fallito perché basato sulle regole della finanza... disinteressate al lungo termine, come Keynes ci ha spiegato”. Purtroppo i luogocomunisti, numerosi anche tra quanti si professano progressisti, non mancano di sproloquiare da un argomento all’altro enumerando le nuove sfide, la Cina, le moderne tecnologie, l’impossibilità di un ritorno alla lira.

Bagnai uno dopo l’altro demolisce questi ed altri luoghi comuni, e poggiando le sue analisi su studi e dati, passati e recenti, esorta a smontare le istituzioni fallimentari: 1) uscire dall’euro, 2) ristabilire il principio che la banca centrale è uno strumento del potere esecutivo, 3) riprendere il controllo della politica fiscale, 4) adottare una politica di scambi con l’estero per sanare gli squilibri persistenti della bilancia dei pagamenti. Nel secondo dopoguerra (Rose, 2007) ci sono stati ben “60 casi di dissoluzione monetaria”, avvenuti dopo una sconfitta militare, ma anche in situazioni pacifiche (separazione tra repubblica Ceca e Slovacchia, 1993). La vecchia classe politica, certa di venire travolta da un cambiamento di rotta, è condannata all’inerzia. I danni provocati dalla creazione dell’euro sono paragonabili alla terza guerra mondiale, “combattuta subdolamente in nome di ideali di pace”.

Fonte: svegliati.myblog.it

Sul filo dell’ironia, dell’autoironia, con il passaggio disinvolto dall’inglese (imposto dalla dottrina economica internazionale) alle pittoresche espressioni romanesche, la lettura si presenta chiara, a tratti velenosa, sempre scorrevole. A volte viene perfino infarcita di sogni ed incubi (che poi sono sogni andati a male!) a beneficio della divulgazione dei concetti base in chiave aneddotica. Chi ha preso per scontato che l’economia è per definizione la scienza triste?

Il tramonto dell’euro, Alberto Bagnai, Imprimatur editore

http://goofynomics.blogspot.it/

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