Secondo Miguel Nicolelis fino ad ora si è indagato per compartimenti stagni; l’attenzione era focalizzata sulle attività svolte dai neuroni, isolatamente; gran parte delle teorie neurologiche ignorava che l’attività cerebrale elabora di continuo, come magma in ebollizione, “informazioni che riguardano il corpo in cui sono racchiusi e il mondo circostante”.
Melzack suggerisce che è tale rappresentazione interna del cervello a renderci esseri coscienti, a determinare quel senso del sé che aspira all’immortalità. Ritiene che una sorte di progetto genetico possa essere presente in noi sin dalla nascita. “Questa immagine si conserva nel cervello anche dopo la rimozione di una parte del corpo, dando origine alla sensazione anomala... di un arto fantasma”. Nel caso del mirror box, quando i pazienti muovono il braccio esistente avvertono che anche l’arto fantasma obbedisce ai medesimi stimoli motori.
Le esperienze extracorporee, assimilabili ai casi di arti fantasma, possono derivare da eventi traumatici che coinvolgono il cervello, incidenti, droghe, ecc. Ehrsson ha dimostrato che le persone possono “scambiare i corpi gli uni con gli altri mediante un’esperienza extracorporea prodotta da manipolazione visiva e tattile”. Questi fenomeni d’illusione ottica e di esperienze extracorporee indotte in laboratorio suggeriscono che il cervello è costantemente impegnato a rimodellare il senso di sé, ad aggiungere indumenti, attrezzi e utensili vari. In definitiva ingloba non solo degli strumenti di utilizzo abituale ma anche - nel bene e nel male! - la persona amata o la propria vittima.
Nicolelis ha trascorso un’intera vita ad esplorare i meandri del cervello ed è arrivato a dimostrare, in contrasto con l’opinione scientifica diffusa, che sono gli insiemi di neuroni a costituire la vera unità funzionale. Ma come tradurre l’attività cerebrale “in impulsi motori digitali?”
Avvalendosi della collaborazione di una schiera ricercatori, è riuscito a registrare l’attività elettrica generata dai neuroni corticali (seguendo passo dopo passo i movimenti di Belle, Aurora e Idoya, tre infaticabili collaboratrici ricompensate con succhi di frutta e uvetta). Wessberg, suo collaboratore, praticamente ha trasformato i pensieri in azione motoria. Esaminati i tracciati registrati e spostandosi indietro di un secondo rispetto al tempo di inizio di ogni movimento, ha ricavato algoritmi capaci di calcolare, sovrapponendosi, i movimenti del braccio di Belle. Più avanti dall’interfaccia cervello-macchina o BMI (brain machine interface) ci si accorse che si verificavano dei cambiamenti nei neuroni qualche frazione di secondo prima del movimento effettivo dei muscoli del braccio o della mano dei soggetti in osservazione. “L’intervallo di 250 millisecondi poteva ... dunque essere impiegato con successo in una BMI”.
Nel gennaio 2008 un macaco di appena 5 kg, attraverso “gli impulsi elettrici della sua mente” fa compiere i primi passi a un “robot umanoide di oltre 90 kg, per 1,5m di altezza, dall’altra parte della Terra”.
Raccontato in successione l’esperimento si avvalse della genialità di Gordon Cheng, il quale oltre ad avere messo a punto il robot in questione, nell’estate 2007 rivelò di essere in grado di risolvere anche il “problema dei 250 millisecondi”. Una speciale connessione internet tra il suo laboratorio in Giappone e quello della Duke e dell’ATR in USA riusciva quindi ad aggirare i sistemi di sicurezza interni e ad annullare i ritardi causati dai server disseminati nel mondo che dovevano trasmettere i dati.
Gennaio 2008 - Idoya viene sistemata nella stanza che ospita il “tapis roulant per scimmie”... Mentre osservavamo questo campione di pensiero motorio, racconta l’autore, i nostri computer riducevano a piccoli pezzi di modelli matematici lineari che facevano corrispondere l’attività cerebrale di Idoya ai parametri cinematici dedotti dai movimenti delle gambe. A Kyoto nel frattempo Cheng supervisionava la sua creatura, il robot CB1, sopra un altro tapis roulant... E ciò che sino a quel momento a molti sarebbe sembrato come un miracolo si verificò. Lo straordinario evento dimostrava che la mente di un piccolo macaco rhesus muoveva i passi, “infantili”, di un robot umanoide di stazza circa 20 volte superiore situato a migliaia di km di distanza.
Il successo non solo confermava il principio della codifica distribuita (Un qualsiasi tipo di informazione elaborata dal cervello prevede il coinvolgimento di popolazioni distribuite di neuroni) ma rivelava scoperte ancora più strabilianti.
Dall’analisi dell’attività cerebrale di Idoya, mentre camminava, si evinceva che “passi apparentemente identici dal punto di vista cinematico erano preceduti da precisi ma diversi schemi spaziotemporali di attivazione neuronale”. E’ come se il cervello, avendo miliardi di neuroni a disposizione, si concedesse “il lusso di potere reclutare una diversa combinazione di neuroni ogni volta che desidera produrre un comportamento motorio”.
Un’altra conferma del principio della plasticità: “La rappresentazione del mondo creata da popolazioni di neuroni corticali non è fissa, ma rimane fluida nel corso dell’intera vita, adattando continuamente se stessa alle nuove esperienze apprese, ai nuovi modelli di sé, alle nuove simulazioni del mondo esterno e ai nuovi oggetti assimilati”.
Il libro fa un excursus sull’operato degli scienziati che hanno percorso i primi passi nel campo della neurofisiologia da Galvano in poi. La narrazione è avvolgente con l’intersezione di accenni storici e calcistici (l’autore è brasiliano), cascate di note musicali, aneddoti e colpi di scena da una sezione all’altra. Come scoprire, a fine capitolo, che la collaboratrice bella e vezzosa è non una giovane donna, ma appartiene all’ordine dei primati.
José Delgado già nel lontano 1969 dimostrò di riuscire a fermare un toro mentre lo stava caricando per mezzo della stimolazione elettrica cerebrale. Però le sue ricerche, confermate dalla pubblicazione del libro Phisical control of the Mind (Toward a Psychocivilized Society), lo condussero allo scontro con il mondo etico -scientifico: “armeggiare con la mente delle persone, negli anni di massima paranoia da guerra fredda” suscitò nei contemporanei, paradossalmente, più motivo d’allarme degli stessi arsenali atomici.
Il fisico Murray Gell-Mann, premio Nobel, una ventina di anni dopo si è spinto oltre nell’affermare che un giorno un essere umano potrebbe venire collegato direttamente a un computer avanzato, e attraverso tale computer a uno o a più esseri umani. Pensieri e sentimenti sarebbero così totalmente condivisi, senza la selettività o gli inganni permessi dal linguaggio.
L’irlandese Maria Baghramian, filosofa, individua tre caratteristiche principali correlate a una idea relativistica del cervello: la dipendenza dal contesto, la dipendenza dalla mente e il prospettivismo.
In sostanza bisognerebbe smettere di trattare la corteccia come un mosaico organizzato in modo gerarchico di aree corticali distinte, separate, altamente specializzate e virtualmente autonome, chiosa Miguel Nicolelis, il quale identifica i miliardi di neuroni che popolano il cervello come il crescendo di una sinfonia. O le acque in perenne agitazione degli oceani.
Partendo dai dati elaborati in anni di duro lavoro scientifico, anticipa aspettative a breve termine dai contorni fantascientifici. Intravede una convergenza tra discipline, dall’informatica alla biologia, dall’ingegneria alla medicina, e così via. Azzarda l’idea di un ipotetico viaggio nel futuro, dove le nostre capacità d’interpretare la realtà sarebbero compromesse. Cosa ne sarà dell’etica, della cultura e della scienza quando le conoscenze diventeranno tanto diverse da quelle odierne?
E dopo aver tanto osato ammette l’impossibilità di poter semplicemente comprendere le future generazioni. Le conoscenze che si presenteranno all’orizzonte daranno loro l’opportunità di vivere esperienze strabilianti, capaci letteralmente di “mandarci fuori di testa”.
AF
Il cervello universale (la nuova frontiera delle connessioni tra uomini e computer), Miguel Nicolelis, Bollati Boringhieri