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[Solo] Una rivoluzione ci salverà

[Solo] Una rivoluzione ci salverà

27 Aprile 2015 Antonio Fiorella
Antonio Fiorella
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Nonostante tutta la tecnologia del mondo, la corsa contro il tempo ci vede sempre in affanno. Segno di un gap atavico tra l’azione e la ragione tuttora irrisolto. Quando gli avvenimenti accadono più velocemente dei modelli di previsione, diventa chiaro che siamo incerti nell’affrontare il presente, e inadeguati a prevenire il futuro. In genere, sui rischi connessi al riscaldamento dell’atmosfera e all’innalzamento della temperatura dei mari, ascoltiamo per una frazione di secondo quello che dicono gli esperti e poi ci giriamo a guardare dall’altro lato. Istintivamente cerchiamo d’ignorarne le conseguenze.

Anch’io, confessa l’autrice del libro This changes everything, Naomi Klein, quando mi assaliva la paura di qualcosa che sovrastava le mie forze, facevo di tutto per rimuoverla. Ora cerco di prenderne coscienza. Penso che debba farlo per mio figlio; credo che tutti dobbiamo farlo gli uni per gli altri.

Molti negano l’esistenza del cambiamento climatico in atto. Alla sesta conferenza presso l’Heartland Institute sul cambiamento climatico lo speaker Larry Bell racconta quello che, succintamente, ha scritto sul suo libro Climate of Corruption. Il cambiamento climatico “ha poco che a vedere con le condizioni ambientali e molto con la voglia d’immobilizzare il capitalismo e trasformare il modello americano (l’American way of life) nella redistribuzione globale della ricchezza”. La maggior parte dei relatori non sono scienziati, ma lobbisti: ingegneri, economisti, avvocati… tutti convinti di avere surclassato il 97 per cento degli scienziati climatologi con quattro calcoli annotati sul retro di una busta. E a sostenere di aver trovato evidenze che i dati degli scienziati non sono affidabili perché manipolati. Nigel Lawson, cancelliere dello scacchiere di M. Thatcher, è dello stesso avviso: il cambiamento climatico fornisce allo Stato una nuova licenza per interferire nella vita dei cittadini. Deve trattarsi di una cospirazione. Secondo un recente studio i think tank che sposano le cause negazioniste raccolgono oltre 900 milioni di dollari l’anno per il supporto delle politiche della destra. 

Per due decenni si è perso terreno a causa della visione radicale e aggressiva che invocava la creazione di una economia globale basata sul fondamentalismo del libero mercato. Ciò è accaduto nonostante, a fine anni ’80, si fosse registrato che il 79 per cento degli americani erano al corrente dell’effetto serra. Nel 1988, Time magazine metteva la Terra sulla copertina dell’anno, a dimostrazione della situazione di criticità del nostro pianeta. Nel 1992 i governi si incontrarono per la prima volta a Rio nel summit delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici. Nel 1994 furono conclusi i negoziati sul World Trade Organization (WTO). Nel 1997 fu adottato il protocollo di Kyoto. Nel 2001 la Cina divenne membro effettivo nel WTO. L’aspetto rimarchevole di questi processi è che il commercio e il clima sembrano ignorarsi del tutto. O meglio, gli impegni presi nei negoziati sul clima assumono rilevanza sull’onore (con scarsi meccanismi di penalizzazione per i paesi che non mantengono le promesse); mentre gli impegni presi sul commercio sono fatti valere nei tribunali. Da un lato lo spauracchio della catastrofe climatica, dall’altro il mercato lasciato libero d’agire senza vincoli - puro libertinaggio.

Esiste una correlazione diretta tra bassi salari ed emissioni nocive. Quando la Cina divenne la fabbrica del mondo, divenne anche la ciminiera del mondo. Infatti nel 2007 il territorio cinese era responsabile per i due terzi dell’aumento annuale di emissioni di CO2 . C’è ancora tempo per scongiurare un catastrofico riscaldamento climatico, ma NON dentro i confini del capitalismo così com’è correntemente. Sono necessari visioni e progetti a lungo termine, stringenti regole economiche, un livello di tasse più elevate per  le attività inquinanti. In breve, occorre cambiare registro su quello che pensiamo dell’economia, in modo tale che l’inquinamento non soffochi nel mondo reale ogni forma di vita così come la conosciamo.

Nel 2013, gli abitanti di Amburgo votarono per riportare elettricità, gas e reti di riscaldamento di nuovo sotto il controllo pubblico, procedendo quindi in senso contrario all’ondata di privatizzazioni degli anni appena trascorsi. Questi elettori avevano scoperto di non avere altra scelta che abbattere il pilastro ideologico del libero mercato. Ossia, l’idea che i servizi gestiti dai privati sono sempre migliori di quelli pubblici. Nello stesso anno quasi il 25 per cento di elettricità prodotta in Germania era di provenienza da fonti rinnovabili. Il paese si è dato l’obiettivo di raggiungere il 55-60 per cento entro il 2035.

Nel corso degli anni ’70 furono riportati 660 disastri climatici nel mondo; nel 2000, ben 3322, un numero cinque volte maggiore. Per lo scienziato Michael Mann non ci sono dubbi sull’aumento di eventi estremi, di più lunghi  periodi di siccità, di forti uragani e tifoni, di frequenza e intensità e durata di picchi di calura, e potenzialmente di altri tipi di eventi climatici che generano catastrofi. I dettagli sono ancora dibattuti all’interno della comunità scientifica, ma il cambiamento è innegabile. Alcune cause sono note. L’esercito americano è il più grande consumatore di petrolio nel mondo. Nel marzo del 2014 le autorità parigine presero la decisione di fermare il traffico privato per tre giorni di seguito. Ovviamente i privati oppongono una strenua resistenza contro questo genere di misure. E tuttavia, le autorità devono adottare simili decisioni con tempismo per abbattere i livelli di inquinamento atmosferico.

L’industria mineraria non dev’essere il solo obiettivo della campagna a difesa del pianeta. Come i negazionisti dell’Heartland Institute temono, c’è un rapporto diretto tra l’attività mineraria e i cambiamenti climatici. Per questo motivo è necessaria una pressione costante da parte della società capace di creare una autorevole leadership politica che sappia dire no alle corporazioni e alle multinazionali. 

Quello che ha bloccato Obama, dal cogliere il momento storico per stabilizzare economia e clima allo stesso tempo, non era la mancanza di risorse e di potere, bensì l’ideologia che c’è qualcosa di vagamente comunista nel pianificare l’economia, nel dire alle corporazioni come e cosa fare. Il capitalismo non pianifica, lascia briglie sciolte al mercato e alla concorrenza.

Le sabbie bituminose del Canada, la famosa zona di Alberta, in una visione presa dall’alto suggeriscono l’immagine della Terra spellata viva. Hanno preso un ecosistema pieno di vita e lo hanno trasformato in una superficie lunare. Metodi non convenzionali di estrazione del petrolio e del gas, come fratturazione idraulica (fracking) e perforazioni orizzontali, rendono necessarie regolamentazioni severe poiché una delle cose mal concepite nel dibattito sul clima, e che la società si rifiuta di accettare, è l’impossibilità di continuare con lo status quo.

Nel 2013 negli USA l’industria petrolifera ha erogato quasi 400 mila dollari, al giorno, in azioni di lobbying al personale del governo e del Congresso; nella campagna elettorale del 2012 sono stati elargiti 73 milioni di dollari. Gli ambientalisti spesso parlano dell’umanità contemporanea come della proverbiale rana bollita finita nella pentola. Il risultato degli ultimi tre decenni di politica neoliberale è sin troppo evidente. Ogni segnalazione di un nuovo incendio in una fabbrica del Bangladesh, di incremento dell’inquinamento in Cina, e di interruzione di acqua potabile a Detroit ci ricordano che il libero mercato si è concretizzato in una corsa verso l’impoverimento generale.

L’urbanizzazione, la costruzione di case, è diventata una questione climatica, che coinvolge il traffico e la vita dei cittadini. E’ tristemente ironico il fatto che mentre la destra continua a definire il cambiamento atmosferico un inganno della sinistra, la maggior parte della sinistra e i liberali stentano ad afferrare il principale argomento contro il capitalismo dai tempi dei “neri mulini satanici” di William Blake. Non che gli uomini si siano comportati pessimamente soltanto sotto il capitalismo. I problemi climatici trascendono la geografia e le ideologie.

Nauru, isola a sud dell’oceano Pacifico, 10 mila abitanti, 21 km quadrati, 20 minuti per fare il giro sulla terraferma in auto. Dietro una circonferenza di alberi di noce di cocco che costeggiano l’intera isola si nasconde una miniera di fosfati. Gli esperti prevedono che tra 30-40 anni, quando la miniera sarà esaurita, la popolazione dovrà abbandonare l’isola perché, spogliata dell’entroterra, non sarà più in grado di vivere  come nel passato.

L’estrazione mineraria ha sempre avuto a che vedere con il sacrificio di intere zone, e con la nozione di superiorità razziale di memoria coloniale.

“Il controllo della natura, scrisse Rachel Carson in Silent Spring nel 1962, è una frase concepita nell’arroganza, nata nell’età di Neanderthal della biologia e della filosofia, quando si supponeva che la natura esistesse per il beneplacito dell’uomo… E’ davvero una sfortuna che un principio così primitivo si sia procurato i più moderni armamenti, e nel rivolgerli contro gli insetti  si sia rivolto anche contro la natura”. (Era in corso la battaglia contro il DDT). Secondo gli standard odierni, gli ambientalisti del 1960-70 appaiono come radicali invasati. Greenpeace fu lanciato nel 1971; il gruppo Environmental defense funds (EDF) vinse la causa legale in USA che condusse alla messa al bando del DDT come insetticida. In totale nel corso degli anni ’70 furono emanate 23 leggi che culminarono nel Superfund Act del 1980 che richiedeva all’industria di assumersi i costi di bonifica dei terreni contaminati.

Per alcuni anni intorno al 2006, quando Al Gore rese pubblico An Inconvenient Truth, sembrò che i cambiamenti climatici finalmente ispirassero un’era di trasformazione. L’aspetto strano fu che la spinta verso scelte ecocompatibili sembrò provenire dall’élite della società.

Richard Branson, il patron del gruppo Virgin Airlines e fondatore di Virgin Earth Challenge, promise 25 milioni di dollari a chi avesse scoperto un carburante pulito; la prospettiva di una miracolosa soluzione apparve in seguito come il tentativo di comprare “tempo”, al riparo da regolamenti più severi. Altri magnati fecero investimenti in start up nate per studiare e trovare soluzioni. Dobbiamo capire che gli oligarchi che si sono affermati nell’era della deregulation e delle privatizzazioni non useranno di certo la loro ricchezza per salvare il mondo per noi.

Per mezzo secolo sono stati prodotti modelli per intervenire sul clima e sugli effetti indesiderati del riscaldamento climatico. Il dibattito sulla “geo ingegneria” si sviluppa dentro un piccolo mondo incestuoso, dove un gruppo di scienziati, inventori e finanziatori si promuovono l’un l’altro. Se rispondiamo alla crisi globale causata dall’inquinamento, con il pompaggio di un differente tipo di sostanza nell’atmosfera, allora la geo ingegneria farà qualcosa di molto più pericoloso di calpestare le ultime vestigia della natura selvaggia. Per citare Sallie Chisholm, rinomata esperta di microbi marini al MIT, “i proponenti ricercatori della geo ingegneria ignorano il fatto che, qualsiasi cosa si faccia, la biosfera è un giocatore attivo (non solo passivo), e la sua traiettoria non può essere prevista”.

Nel tempo trascorso con i cosiddetti neoingegneri, confessa l’autrice, sono rimasta colpita nel costatare come la lezione sull’umiltà che ha ridisegnato la scienza moderna, particolarmente nel campo del caos e della complessità, sembra non sia penetrata in questa particolare bolla. Non rassicura molto che due settimane prima che ci incontrassimo a Chicherley Hall, aggiunge, tre reattori nucleari a Fukushima si erano fusi in seguito allo tsunami.

Come dice Martin Bunzl, filosofo ed esperto sul clima, puoi testare un vaccino su una persona mettendola a rischio, senza coinvolgere tutti gli altri. Ma con la geo ingegneria, non puoi costruire un modello in scala o escludere una parte dell’atmosfera. Non puoi condurre dei test significativi senza mettere a rischio miliardi di persone come cavie per anni.

Nel novembre scorso una compagnia petrolifera ha scavato un pozzo sotto il campus dell’Università del Nord Texas, vicino a Denton. Non è un fatto isolato. Suzanne Goldenberg del giornale The Guardian ha riportato che le società minerarie hanno trivellato terreni in prossimità (e di proprietà) di chiese, e terreni in prossimità di scuole recintati da cancellate. Il fracking copre così tanto territorio che, secondo l’indagine condotta dal Wall Street Journal (2013) “oltre 15 milioni di americani vivono entro un miglio di un pozzo scavato dal 2000 in poi”.

A volte però la tracotanza sortisce l’effetto contrario. Una società del gas decise di trivellare un’area all’interno e intorno ad Ithaca, una cittadina universitaria nello stato di New York. Trovandosi direttamente coinvolta, la comunità universitaria creò un centro anti-fracking. Ricercatori della Cornell University di Ithaca idearono un gioco che simula l’emissione di metano legato all’attività di estrazione mineraria. Il loro lavoro ha contribuito a far emettere 180 ordinanze di divieto o moratoria nelle città dello stato.

Recentemente un rapporto commissionato dall’Authority dell’energia di Alberta ha rivelato che i medici dell’area, per timore di ritorsioni, sono riluttanti a parlare dell’impatto che l’estrazione delle sabbie bituminose hanno sulla salute dei cittadini. Negli Stati Uniti per anni l’industria del gas ha insistito che non c’erano prove scientifiche a dimostrazione che dai rubinetti dell’acqua uscissero fiammate. L’insistenza poggiava su una scappatoia: l’amministrazione di G.W. Bush aveva emanato una leggina (la cosiddetta Halliburton loophole) che esentava le attività di minerarie dall’ottemperare alla regolamentazione sull’acqua potabile. 

Ci sono correlazioni tra fracking e sciami di terremoto. Nel 2012 un ricercatore dell’università del Texas analizzò l’attività sismica dal novembre 2009 a settembre 2011 in una regione del Texas; scoprì che l’epicentro di 67 terremoti erano in prossimità di pozzi di iniezione ( injection well).

In un mondo normale, il pericolo di disastri avrebbe provocato un significativo cambiamento d’indirizzo politico. Sarebbero state emanate limitazioni. Il fatto che niente del genere sia successo, e che i permessi siano stati concessi è riconducibile a corruzione vecchio stampo, con pratiche illegali e legali contro il bene collettivo. Inoltre l’onore della prova, che un progetto è sicuro, non dovrebbe essere addossato alla comunità che potrebbe subirne il danno. L’espressione “Not in my backyard” (NIMBY) deve essere cambiata, e al suo posto adottata quella francese: “Ni ici, ni ailleurs”, né qui né altrove .

Gli attivisti hanno ottenuto divieti e moratoria in Francia, Bulgaria, Olanda, Repubblica Ceca, Costa Rica. (*) Nello stato di New York però la situazione ritorna ad essere ridiscussa. Con l’aumento della protesta, la Banca Mondiale ha annunciato che non finanzierà altri progetti, se non in circostanze eccezionali. Anche quando i successi sono parziali, e si riesce solo a ritardare le concessioni, questo serve a comprare tempo, a fiaccare la lobby petrolifera e a consentire alle fonti rinnovabili di conquistare altro mercato. Un’altra tattica è la richiesta fatta a tutte le istituzioni pubbliche di uscire dall’azionariato delle compagnie minerarie.

Gli accordi internazionali sul commercio - buco nero dell’ odierna democrazia - forniscono alle corporazioni strumenti legali per combattere i tentativi di porre freni all’esplorazione ed estrazione di minerali, soprattutto quando l’attività estrattiva è cominciata. Questi accordi, come il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership ), permettono alle multinazionali di diventare legislatori, a livello comunale, provinciale e nazionale, laddove operano.

“In Cheyenne, la parola acqua è la stessa che la parola vita… Sappiamo che se cominciamo a inquinare con il carbon fossile, esso distrugge la vita”.

Per molti popoli la difesa di principi elementari, come le sorgenti d’acqua potabile, è diventata l’essenza dell’autodeterminazione e dell’autonomia. Assieme ad alberi, suolo, rocce e fanghi, è la democrazia ad essere stritolata dai bulldozer.

Un sondaggio ha dimostrato che l’80 per cento dei residenti della British Columbia (Canada) si oppongono al progetto di attracco di navi cisterna sulle loro coste. In un incontro pubblico, solo due persone

su un migliaio  erano a favore. Quando il volere della maggioranza viene  calpestato, e il risultato è di fatto ribaltato, diventa chiara l’evidenza di come denaro e potere hanno la meglio sul sistema democratico.

Detto con le parole di Edgardo Lander, politico e scienziato venezuelano, “Il fallimento totale dei negoziati sul clima serve a illustrare fino a che punto viviamo in una società post-democratica”.

Purtroppo la povertà rende un lusso lo sguardo verso il futuro. La destra, come al solito, comprende tutto ciò, ed è per questo che i negazionisti del cambiamento climatico insistono nel dichiarare che il riscaldamento del pianeta è una cospirazione socialista per redistribuire la ricchezza. Abbiamo un modello globale di agricoltura che ha avuto successo nel rendere illegale, per i contadini, l’antica pratica di conservare le sementi. Per fare sì che nuove sementi siano acquistate ogni anno.

“Il nostro sistema economico e il nostro sistema planetario sono attualmente in guerra. O, per essere più precisi, la nostra economia è in guerra con molte forme di vita sulla terra, inclusa la vita umana”. Lastre di ghiaccio si stanno sciogliendo più velocemente dei modelli di previsione. E’ una corsa contro il tempo. Raggiungere gli obiettivi indicati dagli scienziati significa obbligare alcune delle più pingue multinazionali ad abbandonare trilioni di dollari di guadagni futuri, lasciando gran parte di riserve petrolifere nel sottosuolo. Ma qui emerge virulente la domanda cruciale: una svolta economica così drastica è mai avvenuta nella storia?

In passato ci furono rivoluzioni cruente e capovolgimenti di fronte. I movimenti per l’abolizione della schiavitù s’imposero all’insegna della consapevolezza acquisita. Anche se, ironia del caso, le élite locali e internazionali spesso riuscirono a strappare compensi per le “perdite” di proprietà umana, mentre agli schiavi fu dato poco o niente. In risposta alla crisi del 1929, stringenti misure furono prese per regolare il mercato. Scioperi e cortei di disoccupati crearono le premesse per il New Deal; furono così adottati programmi di sostegno con massicci investimenti nelle infrastrutture pubbliche.

Tuttavia, il fatto che molti movimenti per la giustizia sociale  vincono sul fronte legale, ma spesso soffrono gravi perdite sul versante economico, sottolinea le cause profonde per cui il mondo è fondamentalmente ingiusto e diseguale .

AF

 


Naomi Klein, This changes everything, Simon & Schuster

(pubblicato in Italia da Rizzoli con il titolo: Una rivoluzione ci salverà)

(*) La Commissione ambiente alla Camera prende posizione approvando un emendamento (al collegato Ambiente alla legge di Stabilità 2014) che introduce in Italia il divieto per la fratturazione idraulica.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/04/fracking-commissione-ambiente-da-vietare-il-ministero-mai-autorizzato/1110626/


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