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L’insegnante si limita a dare dei consigli di lettura, il vero insegnante diventa il libro di testo

L’insegnante si limita a dare dei consigli di lettura, il vero insegnante diventa il libro di testo

17 Ottobre 2015 Redazione SoloTablet
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Le nuove tecnologie vanno usate quando permettono un reale potenziamento dell’attività didattica, non per moda o per esibizione. LIM, tablet ed altri strumenti vanno utilizzati in questo senso; non devono essere utilizzati nei casi in cui le metodologie tradizionali si dimostrano ancora al momento più efficienti. A sostenerlo è il Prof. Leonardi Fratini, intervistato da SoloTablet. Una intervista interessante, si parla poco di tecnologia e molto di didattica.

      Se sei un/a insegnante e vuoi contribuire alla iniziativa di SoloTablet puoi contattarci a questo indirizzo. Ti verranno inviate le domande utili a comporre l'intervista.

      Per l'anno scolastico 2014 - 2015 proponiamo a tutti gli inseganti  l'ebook 'Tablet a scuola: come cambia la didattica' scritto da Carlo Mazzucchelli. Seguiteci anche attraverso la nostra rivista digitale Flipboard dedicata alla scuola.


       

      La scuola italiana è in una fase critica caratterizzata da grandi cambiamenti e conflitti. Cambiare la scuola significa dare forma al futuro delle nuove generazioni e del paese. Non tutti i cambiamenti sono necessariamente positivi. Se lei è attore/attrice di cambiamento ci può raccontare in che direzione vorrebbe cambiare la scuola?

        Domanda importante, per rispondere alla quale servirebbe scrivere un libro intero ed anche piuttosto voluminoso. Proverò a esprimere qualche considerazione. Innanzitutto un grave problema della scuola italiana è il nozionismo. Non tutti i gradi di scuola ne sono afflitti nella stessa misura. Tendenzialmente ne soffrono più scuole medie (secondarie di I grado) ed Università, meno le scuole elementari, in misura intermedia le scuole superiori (secondarie di II grado).

        Il nozionismo è quel sapere che è fatto di informazione e non di formazione, solo di teoria e non di pratica, solo di conoscenze e non di competenze. È come se a scuola di basket anziché insegnare a tirare il pallone facendo fare delle prove pratiche dopo aver dato delle indicazioni, si facessero studiare 10 pagine di teoria di tiro cestistico e poi si facesse una verifica scritta. Lo studente che avrebbe studiato di più avrebbe un voto eccellente ma è chiaro che come scuola di basket non preparerebbe granché, pur risultando molto più faticosa delle altre scuole e soprattutto richiedendo uno sforzo aggiuntivo a casa oltre alla lezione a scuola. 

        La tendenza al nozionismo è generata da diversi fattori. Innanzitutto la qualità della didattica è direttamente proporzionale alla quantità di ore che un docente trascorre con gli studenti. Se vi sono 10 insegnanti in una sola classe, che hanno in media 2 ore e un numero di interrogazioni e verifiche mensili ingente da svolgere, la didattica diventerà solo assegnazione di pagine da studiare a casa e interrogazioni e verifiche  a scuola.

        La didattica dunque da scuola si trasferisce a casa dello studente, e diventa “autodidattica” dello studente. L’insegnante si limita a dare dei consigli di lettura, il vero insegnante diventa il libro di testo adottato. Questo è esattamente ciò che accade nelle scuole medie (secondarie di I grado). Studenti abbandonano scuole di musica o lo sport perché devono “studiare”. Ma l’unica competenza che in 3 anni di scuola media si impara è spesso la memorizzazione, mentre per tutto il resto (leggere, scrivere, parlare, calcolare) si vive di rendita delle competenze apprese alle scuole elementari. Anche nei casi in cui si hanno più ore (insegnante di Lettere) la vastità dei programmi e la tendenza alla frammentazione (Italiano in una classe, Storia in un’altra, Geografia in un’altra ancora) rendono la situazione perfettamente identica.

        All’Università la situazione è molto simile: raramente la didattica è laboratoriale, spesso l’insegnante si limita a consigliare dei libri da studiare. Il rapporto tra insegnante e studente è spesso limitato alla breve formalità dell’esame, spesso sotto la forma di un arido scritto o di un’interrogazione che è più realistico definire interrogatorio. Salvo lodevoli eccezioni di università piccole o private in cui qualche insegnante si prende la briga di seguire bene i propri studenti, o insegnanti di scuola media che si sforzino di praticare, contro ogni condizione, una didattica di competenze, di fatto il quadro fosco che ho delineato non si discosta dalla realtà. Si tratta di uno studio perlopiù quantitativo e non qualitativo. L’insegnante non segue lo studente e dunque non può pretendere un lavoro di qualità, ragionamento, collegamento, o l’acquisizione di competenze: durante l’esame, unico vero momento di interazione con lo studente, può pretendere solo la dimostrazione dello studio di uno o più libri assegnati.

        Inoltre basandosi tutto sullo studio a casa lo studente italiano non ha tempo per il lavoro; infatti le lezioni si tengono con orari disordinati durante la settimana e presuppongono uno studio a casa quantitativamente impegnativo. Occorrerebbe perciò sostituire gli attuali corsi settimanali di 3h l’uno, tutti portati avanti in parallelo, con corsi intensivi di 5h quotidiane, portati avanti uno alla volta, con esame finale. In questo modo la didattica dovrà essere laboratoriale, senza bisogno di studio a casa, e concentrata di mattina, così da permettere di lavorare il pomeriggio e di mantenersi autonomamente gli studi. In questo modo si abbatterebbero due problemi enormi dell’università italiana: il classismo (cioè fa l’università solo chi si può permettere di non lavorare) e la dispersione scolastica (chi deve lavorare per mantenersi non può più avere tutto questo tempo per le lezioni e lo studio a casa, perciò abbandona l’Università). La riforma delle lauree triennali non ha migliorato i livelli di didattica, ma solo diminuito le quantità di studio per le singole materie, abbassando i livelli quantitativi richiesti. Urge invece una riforma della didattica: solo così si potrà combattere la dispersione scolastica e il classismo, ed avere un’Università che coniuga alto livello culturale e successo formativo. 

        Un altro limite è – ma questo riguarda solo i saperi umanistici – il.. Romanticismo! I programmi didattici delle materie umanistiche risalgono al tempo dei grandi ministri dell’istruzione hegeliani Francesco de Sanctis (Ministro dell’Istruzione ai tempi dell’Unità d’Italia, responsabile dei programmi scolastici tuttora cardine della scuola superiore italiana, nonché dei canoni di autori da insegnare) e Giovanni Gentile (Ministro dell’Istruzione nel ventennio fascista, anch’egli responsabile di riforme strutturali): si tratta di due grandissime figure che hanno dato alla nostra scuola una profondità culturale che i sistemi scolastici stranieri non hanno.

        Secondo Hegel per vivere veramente e capire lo spirito del proprio tempo (lo “zeitgeist”) occorre ripercorrere tutta l’evoluzione di questo spirito nel tempo, la “fenomenologia dello Spirito”, dunque tutte le discipline hanno perciò avuto un’impostazione storicistica: non Letteratura italiana ma Storia della letteratura italiana; non Filosofia ma Storia della filosofia; non Arte ma Storia dell’arte; non Letteratura latina ma Storia della letteratura latina. In questo modo tutto il sapere tecnico e retorico (la descrizione, la costruzione di una trama, la caratterizzazione di un personaggio, la realizzazione di un intreccio in letteratura; la pratica musicale e la composizione; la dialettica in filosofia, ecc.) è stato però abbandonato a favore di un sapere storico in tutte le materie di studio. Oltre all’impostazione storicistica, la convinzione romantico-hegeliana che la creatività sia un fatto di spirito, di spontaneità, che non possa essere insegnata, ha portato alla svalutazione di un sapere tecnico nelle materie umanistiche. Oggi dunque è più probabile che si sappia a livello teorico molto su Manzoni o su Leopardi (canoni desanctisiani) ma non si sappia neppure scrivere o sillabare un endecasillabo come sapeva fare Leopardi, né caratterizzare un personaggio, costruire una trama o fare una descrizione come sapeva fare Manzoni.

        Anche il professore più eminente di una nostra facoltà di Lettere è sicuramente un erudito di Storia letteraria ma spesso avrebbe difficoltà a realizzare anche il più elementare intreccio per la stesura di un racconto.  Se gli studenti potessero porsi di fronte agli autori studiati come a dei modelli da cui ricavare tecniche espressive, di scrittura, il loro studio sarebbe assai più proficuo. Invece si studiano gli autori come dei pensatori, come dei filosofi, dimenticando l’importanza delle tecniche espressive che li hanno resi grandi. Perciò, se lo storicismo romantico-hegeliano ha dato una profondità culturale notevole alla nostra scuola, va però rivalutato tutto il sapere tecnico-retorico delle materie umanistiche, senza il quale non siamo competitivi sul piano internazionale e ci siamo provincializzati (mentre prima del Romanticismo l’Italia era punto di riferimento mondiale per la cultura letteraria). 

        Questo privilegiare la teoria alla pratica viva della lingua si riverbera anche nell’insegnamento delle lingue italiana e latina, troppo legato al formalismo ottocentesco (“gestalt”, “formale bildung”, struttralismo), cioè ancorato a una grammatica pesante e pedante: il latino all’estero (da anni Orberg in Danimarca, Desessard in Francia, e Balme e Lawall ad Oxford) è insegnato col piacere della lettura per apprendere, mentre da noi è arido grammaticalismo, declinazioni e coniugazioni da imparare a memoria; l’italiano come lingua (soprattutto alla scuola media) è praticamente solo grammatica. È più pèroibabile che lo studente diligente di scuola media sappia cos’è un complemento predicativo del soggetto, nozione di alto descrittivismo grammaticale, ma non sappia creare e caratterizzare un proprio personaggio neppure a livelli elementari.

        In sintesi:

        1) Alle scuole medie diminuire il numero di materie accorpando tutto in 2 sole aree, una umanistica e una scientifica. Ad esempio musica e arte faranno parte dell’area umanistica (finalmente la musica e la poesia di nuovo insieme!), educazione tecnica dell’area scientifica, con gli insegnanti appositamente formati all’uopo;

        2) all’Università procedere come detto, sostituendo gli attuali corsi settimanali di 3h l’uno, tutti portati avanti in parallelo, con corsi intensivi di 5h quotidiane, portati avanti uno alla volta, con esame finale, con una didattica laboratoriale, senza bisogno di studio a casa, e concentrata di mattina, così da permettere di lavorare il pomeriggio e di mantenersi autonomamente gli studi, abbattendo così classismo e dispersione scolastica;

        3) rifuggire lo storicismo e il grammaticalismo nei programmi scolastici a favore di un apprendimento attivo e creativo.

        Un ostacolo alla soluzione n. 1 è sindacale: la scuola ha la funzione latente di ammortizzatore sociale e vi trovano lavoro molti che non riuscirebbero a valorizzare altrimenti la propria laurea sul mercato di lavoro. Riducendo le materie da 10 a 2, o comunque significativamente, andrebbe in crisi questa funzione di ammortizzatore sociale. Ma la funzione della scuola deve essere prioritariamente quella di formare le nuove generazioni, e solo secondariamente quella di creare nuovi posti di lavoro, perciò questo ostacolo deve essere superato. 

          Cosa pensa delle nuove tecnologie e che tipo di relazione intrattiene con esse nella sua vita individuale e professionale?

            Le nuove tecnologie sono un mezzo potente, e come tale dipende dall’uso che se ne fa. Di fronte a nuovi mezzi potenti c’è sempre iniziale diffidenza. Anche la scrittura nella Grecia dell’età Aristocratica e ancora in età Classica con Platone era vista con grande sospetto, e non per involuzione culturale (non è certo il caso di Platone, e i migliori storici sanno che non è neppure il caso della Grecia dei tempi di Agamennone), ma per il timore che l’assenza dell’emittente al momento della comunicazione del destinatario potesse dar luogo a fraintendimenti del messaggio, e che dei contenuti avrebbero potuto vivere in modo per così dire “virtuale” indipendentemente dalla morte o assenza del destinario, e per altri interessanti motivi. Internet è ad esempio un potente mezzo per il reperimento di informazioni, opere d’arte, per una conoscenza condivisa e qualitativa, ma può anche essere il mezzo della dipendenza dai video pornografici: dipende dall’uso che se ne fa.

            Le nuove tecnologie vanno dunque usate quando permettono un reale potenziamento dell’attività didattica, non per moda o per esibizione. LIM, tablet ed altri strumenti vanno utilizzati in questo senso; non devono essere utilizzati nei casi in cui le metodologie tradizionali si dimostrano ancora al momento più efficienti. Ad esempio finora ho utilizzato molto LIM e proiettori per contenuti audio e video, lunghi o anche molto brevi che, se avessi dovuto ogni volta prenotare l’aula video o l’aula di informatica e far trasmigrare in esse gli studenti, mi avrebbero fatto perdere molto tempo. Invece spesso capita che, ad esempio per una sillabazione metrica, gli studenti vogliano usare la LIM perché più divertente ma, una volta scelto il formato carattere, il colore, la dimensione, centrato il foglio, lo studente alla LIM comincia l’esercizio quando già il suo compagno l’ha finito sulla lavagna d’ardesia, pur avendo iniziato nello stesso momento! 

             

              E’ favorevole all’introduzione di tablet e applicazioni mobili in aula?

                Sì, sono favorevole in quanto possono essere utili. Vantaggi: ad esempio si potrebbe lavorare molto più sui files e risparmiare tantissimo sulla carta e sull’acquisto dei libri di testo. Svantaggi: una controindicazione è certamente la distrazione degli studenti, che hanno la tentazione di svagarsi con internet, social networks, applicazioni varie.

                Ovviamente, come per tutti i mezzi da usare, vanno pian piano, tramite l’esperienza di ogni giorno, trovati i giusti equilibri e le misure migliori per un utilizzo proficuo.

                 

                  Secondo alcuni la scuola italiana è ricca di risorse, professionalità e competenze ma è mal organizzata e soprattutto incapace di sfruttare le nuove tecnologie. Lei cosa ne pensa? Quali potrebbero essere, secondo lei, le strategie e i programmi da implementare?

                    Le nuove tecnologie possono essere certamente utili ma i problemi principali della scuola italiana sono altri, quelli di cui ho parlato nella risposta 1.

                     

                      Ha già sperimentato il tablet in classe? Ci potrebbe raccontare qual è stata la sua esperienza personale e didattica?

                        Solo per una lezione, in cui sapevo che non avremmo potuto utilizzare materiale cartaceo e quindi ho preparato dei files e detto agli studenti di organizzarsi con telefonini e tablets. La mia testimonianza non è quindi quella di un’approfondita esperienza, ma piuttosto episodica e irrilevante. Ho notato solo la difficoltà visiva degli studenti con i telefonini, a causa dello schermo piccolo, e la maggiore lentezza nel prendere gli appunti nei documenti digitali (che erano in pdf) rispetto agli usuali cartacei.

                         

                          Se ha sperimentato il tablet in classe ci può raccontare alcuni dei progetti realizzati?

                            Nella piccola esperienza oggetto della domanda precedente i tablet erano degli studenti e non conosco quale fosse il sistema operativo e quali tablet fossero. Abbiamo utilizzato Acrobat Reader per seguire i documenti in pdf, con la possibilità di creare appunti sul file. Gli studenti si sono più divertiti ma ho notato maggiore lentezza e un poco più di distrazione. La lezione comunque ha potuto svolgersi con efficienza.

                             

                              Come giudica le reazioni degli studenti?

                                Gli studenti mi appaiono entusiasti per l’utilizzo della tecnologia in sé, indipendentemente dai risultati didattici raggiunti. Una collega mi ha raccontato di aver portato la classe in aula di informatica per un lungo e noioso dettato ma gli studenti, solo per il fatto di maneggiare una tastiera e guardare uno schermo, si sono divertiti molto più così rispetto a lezioni più fondamentali per la loro preparazione e il loro apprendimento.

                                 

                                  La tecnologia sta cambiando la scuola così come la vita delle persone. Effetti e risultati non sono facilmente prevedibili, soprattutto dal punto di vista cognitivo e dell’apprendimento di nuove conoscenze. Secondo lei quale futuro ci aspetta?

                                    Ci aspetta un futuro in cui la globalizzazione dell’informazione e della cultura porterà ad un livellamento delle conoscenze e del sapere (già questo processo è in atto da tempo, ma si sta accelerando). Analfabeti e illetterati saranno sempre più rari (se non per problemi legati a fattori quali immigrazione in uno Stato con una cultura diversa e altre problematiche macrosociali) così come, però, persone di profonda comprensione della cultura e degli eventi. Si perde il senso delle cose e della loro importanza. Se un tempo un talent scout di profondo sapere musicale avesse ascoltato Per quello che sono di Ghita Casadei avrebbe gridato al capolavoro, o un letterato intelligente avesse scoperto l’ottocentesco Libro dei re di Italo Pizzi avrebbe fatto una crociata per rivalutarlo, invece oggi queste opere galleggiano nel mare magnum dei files musicali su internet, o su Google books, fra l’indifferenza generale. Essendo tutto disponibile on line sembra che non ci sia più nulla da scoprire, che tutto sia già lì senza bisogno di fare altro.

                                    Le teorie costruttiviste e di apprendimento diffuso creano sì una rete di relazioni e di informazioni impensabile un tempo, ma si sta perdendo l’attitudine all’analisi e all’approfondimento. E già da più di una generazione: sono ben pochi gli insegnanti che oggi saprebbero leggere un libro italiano dei secoli scorsi senza un corposo apparato di note, e questo è ben grave per un insegnante di Lettere! I molteplici livelli di lettura delle opere del passato sono sempre meno praticati, sempre meno se ne conoscono le chiavi di lettura; ora che sarebbero disponibili online tantissimi testi di enorme interesse, che quando ero studente avrei dovuto girare le biblioteche di mezza Italia per trovare, si sta perdendo gradualmente la capacità di interpretare quei testi e un immenso patrimonio di saggezza si va dissolvendo. Quei testi li abbiamo sempre più a disposizione ma ne cogliamo sempre più solo la superficie. La soluzione a questo sarebbe riproporre una didattica qualitativa pre-strutturalista utilizzando le tecnologie non per sostituire la navigazione su web all’analisi letteraria, ma per potenziare i mezzi del lavoro di studio (come ad esempio per il reperimento di opere o l’indicizzazione del lessico). 


                                     

                                     

                                    Profilo didattico e professionale di Leonardi Fratini

                                    Ho 33 anni, vivo a Pergola in provincia di Pesaro e Urbino, sono insegnante di Lettere (Latino, Italiano, Storia e Geografia) all’Omnicomprensivo Montefeltro di Sassocorvaro (PU), nel Liceo Scientifico. Faccio questo mestiere da 6 anni (+ 2 iniziali di tirocinio).

                                    Ho insegnato per 4 anni alle scuole medie e anche in province diverse dalla mia, come Piacenza e Bergamo. Complessivamente in 6 anni sono stato impiegato su 9 diversi istituti.

                                    Per quanto riguarda i social network ho una pagina Facebook ma la frequento rarissimamente; mi piacerebbe realizzare un mio sito, pensato per gli studenti, con Google sites, che preveda non solo materiali e argomenti di didattica ma anche di svago, che cercherà di essere educativo e nel suo “piccolo” contrapporsi alla diseducatività di alcune comunicazioni di massa.

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