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La legge sulla BuonaScuola e il silenzio che ne è seguito

La legge sulla BuonaScuola e il silenzio che ne è seguito

06 Novembre 2015 Redazione Scuola
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La cosa che colpisce di più, dopo l'approvazione della legge della BuonaScuola in parlamento, è il silenzio attonito e rassegnato che si è impossessato di tutti coloro che a questa legge non hanno mai creduto. La legge mira a stravolgere in modo radicale la scuola italiana per migliorarla. Che ci riesca è cosa dubbia, di certo non succederà in silenzio, in modo autoritario e gestito dall’alto. Per ora però domina l’incredulità e...il silenzio!

Per essere moderni bisogna essere giovani, veloci, cinguettanti, molto narcisi, slegati da qualsiasi tipo di principio o valore e pronti alla flessibilità (alle giravolte) di pensiero. Tutti atteggiamenti che vengono catalogati dai nuovi manager e politici del terzo millennio come puro pragmatismo, utile a sradicare le incrostazioni del 900’ perché ritenute ormai obsolete e da superare in corsa, senza curarsi troppo della realtà complessa sottostante e delle molte competenze che quelle esperienze hanno generato.

Passata la legge cosa rimane? Continuano a rimanere i problemi economici, compresi quelli legati agli sprechi. La legge mira alla loro soluzione e superamento ma i fondi stanziati non sono sufficienti e non lo saranno a lungo. La scelta di dare più soldi alle scuole private poi finirà con il togliere soldi alla scuola pubblica e di impedire interventi efficaci in grado di dare forma a nuovi progetti, classi, corsi universitari e iniziative di ricerca nelle varie tipologie di scuole. Tra gli interventi economici la decisione di creare un portafoglio di beneficienza per i professori e le professoresse non sembra destinato a creare molte opportunità e forse neppure a produrre risultati elettorali, se si votasse in tempi brevi. Sarebbe stato meglio premiare le mille competenze che esistono nella scuola e favorire in modo concreto i progetti e le idee provenienti dalle scuole e dagli insegnanti.

Cosa dire poi delle scuole che perdono pezzi e intonaci?

Quale capacità di spesa avranno i presidi manager per intervenire rapidamente a risolvere problemi concreti o per abbellire la loro scuola per attirare visibilità mediatica e forse nuovi scolari?

Potranno questi presidi avere accesso alle stesse convenzioni che saranno disponibili per le scuole private?

Gli aspetti economici sono insignificanti rispetto ad uno dei possibili effetti della legge attuale. Dal lessico della politica così come di quasi tutti i media nazionali sembra essere sparita una parola chiave, il diritto di tutti all’istruzione e all’accesso a scuole e ambiti nei quali poter accrescere nuove conoscenze, consolidare competenze e soprattutto procurarsi nuove opportunità, ad esempio di scalata sociale. Forse preoccuparsi della sparizione di questo diritto è eccessivo così come lo è meravigliarsi che i media ne parlino così poco. A sembrare disinteressati a questo diritto sono gli stessi protagonisti che dovrebbero battersi per difenderlo. La scalata sociale da tempo è avviata su un percorso al contrario, con una classe sociale media che è carica di rancore per la sua crescente marginalizzazione sociale e economica ma che è incapace di impegnarsi politicamente e socialmente per cambiare davvero. Non è un caso che nella battaglia sulla buona scuola siano stati assenti i genitori e che i governanti di turno abbiano avuto buon gioco nel portare a compimento la loro riforma certi del disinteresse dei cittadini.

Fatta la legge, gabbato lo santo!

I media hanno smesso di interessarsi alla scuola e ai suoi protagonisti e i professori sono rimasti da soli a diversi confrontare con la realtà fattuale delle cose. Non con quella raccontata a suon di cinguettii per alimentare la narrazione del leader massimo vincente e modernizzatore. Il contatto diretto con la realtà quotidiana è fatto di personale insufficiente, classi sovraffollate, studenti demotivati per una scuola che percepiscono come non adeguata ai tempi moderni e ai problemi che vivono, presidi che hanno nuovo potere ma non le risorse e forse neppure le capacità per esercitarlo, responsabilità eccessive gravata sulle spalle di insegnanti sempre più dubbiosi sulla loro professione e poco tutelati, tecnologie che non arrivano e mezzi inadeguati per una scuola del terzo millennio che dovrebbe preparare i ragazzi a competere con il mercato globale e con le migliaia di laureati cinesi, indiani, turchi e europei.

 

 

I cinguettanti modernizzatori che leggessero questo testo avrebbero gioco facile nel sottolineare la mancanza di proposte e la mole eccessiva di pessimismo. La verità è che le proposte gli insegnanti le avevano fatte ma non sono state accolte. Il pessimismo poi,  in realtà non è altro che un altro modo per richiamare l’attenzione sui fatti ed evidenziare la distopia generalizzata che si crea quando la narrazione e la comunicazione finiscono per far prevalere realtà inesistenti e virtuali.

Per molti degli insegnanti la loro esperienza personale e professionale è stata anche una ricerca di utopie. Di fronte alla distopica (dispotica?) BuonaScuola renziana cosa possono fare? Campanella ha vissuto ventisette anni in prigione per avere difeso le sue idee ed essersi battuto per le sue visioni e per la sua Città del sole. Ventisette anni passati in silenzio e scrivendo le sue opere principali. I professori possono scegliere anch’essi di stare in silenzio e lavorare per l’affermazione di un’altra scuola (#unaltrascuolapossibile). Peccato che per il momento il silenzio sia assordante. Sembra quello che accompagnava le manifestazione dei braccianti nel film Novecento di Bertolucci. Strade piene ma finestre vuote e soprattutto un gran silenzio.

Il silenzio che anticipava l’arrivo della tempesta.

 

 

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