Le problematiche legate al tema scuola e gli argomenti che alimentano la discussione in corso sulla proposta governativa per cambiare la scuola sono di natura complessa e richiederebbero un approfondimento che non può essere fatto in un breve articolo online.
La lettura di un testo di Ivana Matteucci, pubblicato nel libro Il cammino delle idee – Leggere, comprendere, trasmettere. della Tangram Edizioni Scientifiche, potrebbe però essere sufficiente a spiegare quanto la cosiddetta riforma della scuola in corso sia inattuale e inadeguata agli scenari nuovi determinati dalla rivoluzione tecnologica che stiamo tutti sperimentando, nativi e immigrati digitali (da escludersi i politici che della rivoluzione hanno compreso solo l’uso del tablet nei talk shwow e di Twitter), studenti e insegnanti.
Imparare a imparare
Scrive la Matteucci che “le nuove tecnologie stanno cambiando non solo quello che gli studenti dovrebbero imparare ma anche ciò che possono imparare”.
Grazie alle nuove tecnologie, esperienze prima impossibili diventano oggi terreno fertile di espressione creativa e di accesso a nuove idee, argomenti, conoscenze. Un’esperienza resa praticabile da strumenti tecnologici digitali che facilitano l’adozione di nuove strategie e modalità di apprendimento. Una maggiore focalizzazione sulle strategie, piuttosto che sulle cose da conoscere, permette di imparare, scrive la Matteucci, la cosa più importante: imparare a imparare (ndr: un richiamo alle riflessioni di Edgar Morin nel suo saggio La testa ben fatta e a Gregory Bateson che per primo formulò il nuovo principio dell’apprendimento).
La riforma della scuola attuale non sembra tenere conto di altri aspetti elementari quanto fondamentali quali l’ambiente di apprendimento, i curricula scolastici, l’organizzazione delle classi e l’ecosistema dell’apprendimento. Secondo l’analisi di Ivana Matteucci per trarre vantaggio dalla rivoluzione tecnologica è necessario ripensare e riorganizzare radicalmente le aule scolastiche: “al posto del modello di controllo centralizzato (con un insegnante che trasmette le informazioni in un’aula piena di studenti) dovremmo scegliere un approccio all’apprendimento più attivo” e collaborativo.
L’insegnante potrebbe svolgere il ruolo di consulente e facilitatore e lo studente contribuire pro-attivamente alla sua esperienza scolastica di apprendimento. Anche i curricula andrebbero completamente ripensati. Invece di essere suddivisi in discipline separate dovrebbero essere costruiti su tematiche e progetti che attraversano le varie discipline in modo da trarre vantaggio dei collegamenti che esistono tra i vari domini del sapere. Esattamente quello che i ragazzi hanno già imparato a fare e sperimentano ogni giorno navigando la rete e praticando un multitasking fatto di tanta informazione ma anche di esperienze conoscitive e cognitive.
Semplici idee per studenti, insegnanti e presidi
Gli studenti non andrebbero divisi in classi diverse in base all’età ma avere la possibilità di lavorare insieme su progetti condivisi in modo da poter imparare tra di loro e da apprendere quali nuove strategie di apprendimento. Anche l’organizzazione della giornata scolastica andrebbe ripensata.
L’apprendimento non può essere legato a orari predeterminati e non può limitarsi ai tempi strettamente scolastici. Gli studenti dovrebbero avere il tempo di lavorare ai loro progetti su tempi più lunghi della canonica ora di lezione e di trarre maggiore beneficio dall’approfondimento delle idee che nascono nel corso del loro lavoro. L’apprendimento deve essere un’esperienza che dura tutto il girono o tutta una vita e obiettivo della scuola dovrebbe essere quello di migliorare le occasioni di apprendimento non solo a scuola, ma anche a casa, nelle biblioteche, nei luoghi di lavoro e online.
Il messaggio dell’autrice, scritto nel 2013, sembra essere rivolto a coloro che vogliono cambiare la scuola ma pensano al cambiamento senza tenere conto della rivoluzione cognitiva indotta dalle tecnologie e dal digitale. La tecnologia ha ristrutturato le abilità cognitive riconfigurando le conoscenze dei ragazzi che oggi chiedono una scuola diversa perché non riescono più a identificarsi con quella esistente. La scuola ha introdotto la LIM e il tablet in classe ma continua a essere legata ad un tipo di apprendimento pensato per l’epoca della carta e della penna, lineare e sequenziale, testuale e fondata su didattiche frontali, esperienze di lettura e scrittura che non tengono conto delle menti cambiate dei ragazzi.
Nell’era della conoscenza l’apprendimento e l’insegnamento non possono limitarsi alle informazioni. Entrambi dovrebbero focalizzarsi sulla trasformazione della informazione in conoscenza, alla sua gestione e alla capacità creativa nell’usarla e trarne vantaggio attraverso l’uso intelligente dei nuovi strumenti digitali e tecnologici. La scuola gioca un ruolo fondamentale nella transizione verso la creatività che deve essere stimolata, sviluppata e alimentata in modo da permettere ai ragazzi di estendere le loro abilità creative e di poterle sperimentare nel corso della loro vita.
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La scuola deve fare i conti con una realtà tecnologica che ha cambiato le menti in formazione dei ragazzi aprendola a nuove idee e incidendo sui loro processi cognitivi. Com’è sempre successo nel passato, anche con altre tecnologie come la scrittura e il linguaggio, una mente che ha fatto nuove esperienze non torna più indietro alle dimensioni precedenti.
Con questa realtà si devono confrontare genitori e insegnanti e anche i politici e i governanti che hanno deciso di intervenire sulla scuola con le loro idee di cambiamento. Il ruolo attuale delle tecnologie è quello di determinare le nuove regole per la disseminazione delle idee e per l’apprendimento o fruizione delle stesse. Queste regole sono importanti perché contribuiscono a fornire il contesto nel quale agiamo. Questo contesto non è in continuità con quelli che li ha preceduti ma rappresenta un salto di paradigma con effetti devastanti, anche nella prassi pedagogica e didattica della scuola.
Se questi cambiamenti sono reali e duraturi, il punto di partenza di ogni cambiamento dovrebbe essere la consapevolezza dei nuovi problemi da affrontare. Prima ancora di dare maggiore potere ai dirigenti scolastici sarebbe meglio che si affrontassero i contenuti, si definissero le nuove prassi pedagogiche e didattiche da sperimentare, si dotasse la scuola delle tecnologie adeguate ai bisogni dei ragazzi con l’obiettivo di fare di più e altro e non semplicemente di dotare le classi di un altro componente tecnologico, si abbandonasse la visione tipicamente lineare e omogenea del passato per assumerne una multi-disciplinare, olistica, non sequenziale.Cambiare direzione portandosi appresso il buono che c'è
Il percorso da compiere sembra già delineato e dovrebbe essere semplice per chi ha deciso di cambiare verso predisporre quanto serve per cambiare direzione, portandosi appresso quanto di buono ed essenziale è stato fatto nel passato.
L’incapacità all’ascolto e l’idea vecchia che basta agire sull’organizzazione in modo gerarchico per far ripartire un sistema, rischia però di frantumare quanto di solido è ancora rimasto. Per evitare la frantumazione non basta avere un iPhone o giocare in un talk show con un iPad.
A determinare la qualità della rivoluzione tecnologica è l’uso che si fa degli strumenti tecnologici. Se l’uso è superficiale, passivo e autoreferenziale non si è in grado di comprendere il ruolo che la tecnologia può avere nella evoluzione umana e nella società della conoscenza.
Comprenderlo aiuterebbe a ripensare la scuola non in senso organizzativo (perchè tornare a vecchi modelli non collaborativi e partecipati per imporre un decisionismo anti-storico?) ma come uno spazio del sapere, delle competenze, del saper fare e del saper essere, ma anche del pensiero critico e della formazione democratica della persona.
* Gli spunti per questo testo sono stati tratti dal libro Il cammino delle idee – Leggere, comprendere, trasmettere. Il libro contiene i contributi di Loretta Del Tutto (docente di linguistica generale e glottologia), Liviana Giombini (docente nella scuola primaria e dotore di ricerca in pedagocia), Ivana Matteucci (sociologa e docente dei processi culturali e comunicativi) e Bonita Cleri (docente di storia dell’arte). Suggerisco la lettura del testo a tutti gli insegnanti, unitamente ad altri due testi come Proust e il calamaro di Maryanne Wolf e I neuroni della lettura di Stanislas Dehaene.