A scuola con il tablet /

Personal computer, tablet, smartphones, aggeggi vari… e noi

Personal computer, tablet, smartphones, aggeggi vari… e noi

18 Marzo 2015 Redazione Scuola
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Riceviamo e pubblichiamo volentieri un interessate contributo di Paolo Beneventi sull'uso della tecnologia nella scuola e non solo. Nel suo ruolo di esperto esterno Paolo ha operato per trent'anni nel mondo della scuola sperimentando in prima persona le molte occasioni perdute nella "rivoluzione" che il digitale avrebbe potuto portare nella scuola. Partendo da esperienze dirette e personali, Paolo ci permette di riflettere sul 'molto rumore' che ha portato agli scarsi risultati di oggi (Much ado about nothing).

Articolo scritto da Paolo Beneventi


Adesso uso il tablet

Quando mi hanno visto che, al posto del mio solito pc portatile, stavo usando un tablet, qualcuno ha ironizzato, ricordandomi i miei commenti ricorrenti non proprio entusiasti sull’invasione di siffatti aggeggi nelle scuole, o come parlo abitualmente dell’iPad.

In effetti, la mia idea è che il mercato della tecnologia, come si è sviluppato negli ultimi anni, sia sostanzialmente “regressivo”, nel senso che la sempre maggiore pianificazione e centralizzazione di ogni cosa da parte di un pugno di colossi multinazionali, se da un lato continua a fornirci strumenti potenzialmente immensi, dall’altro sembra appoggiarsi sempre più su una massa di utenti in maggioranza sprovveduti, intenzionalmente mantenuti tali, bombardati da una valanga continua di “novità” che si bruciano nel giro di pochi mesi e che, a conti fatti, restringono anziché ampliare le possibilità di scelta delle persone.

Da più di trent’anni lavoro come “esperto esterno” con le scuole di ogni ordine e grado, utilizzando da sempre tutta la tecnologia che c’è, e la storia che conosco è purtroppo soprattutto (non solo, ovviamente, ma in grande maggioranza) un lungo elenco di occasioni perdute. Al punto che oggi, qui in Italia, mentre il dibattito apparentemente si svolge sull’urgenza di rendere la scuola “digitale”, la maggior parte dei docenti non ha idea di come si taglia una fotografia! Cioè, non possiede una competenza minima che chiunque può imparare in cinque minuti e che, nella società dell’informazione, segna un po’ la linea di confine tra alfabeti e analfabeti, nel linguaggio universale e prevalente dell’immagine!

 

L’aggeggio che ti cambia la vita

Il mio tablet è un sistema Android da 10” acquistato a buon prezzo con una “offerta volantino” e – superati i primi momenti in cui istintivamente mi domandavo: “Ma che cos’è, uno spot non stop per Google?” – adesso ci ho fatto l’abitudine e, in alcune cose, come si usa dire, mi sta cambiando la vita!

In particolare, alla mia veneranda età, la leggerezza del “digitale” mi invoglia a provare, grazie ad applicazioni gratuite e compiacenti, cose che prima non avevo mai considerato seriamente: le scale della chitarra, il tangram, gli origami...

Molto bello! Questa è tecnologia che non solo non dirotta verso astrusi mondi virtuali, ma aiuta a recuperare pezzetti di esperienza e competenze mentali e corporee che magari prima, per strade tradizionali, apparivano precluse o comunque molto più ostiche. Un po’ come a suo tempo la “rivoluzione” della Wii, una macchina per videogiochi che ci ha permesso di giocare a ping pong o fare esercizi yoga per davvero!

Belle anche sul tablet le mappe della terra e del cielo, come quella vagamente inquietante in cui vedo tutto il mondo, compreso il posto dove abito, con le scritte in cirillico e la grafica da armata rossa sovietica, o quella che di notte, puntando l’aggeggio verso il firmamento, mi aiuta con precisione a riconoscere le costellazioni!

Molto meno entusiasta sono dei vari software per sfogliare le immagini che, per “facilitare” le cose, hanno la pessima abitudine di partire cercandosi da soli tutto il visibile dentro le memorie dell’aggeggio, per stabilire un loro ordine automatico. Così, se io ci attacco – cosa evidentemente non prevista, ma che a me servirebbe, e perché non farlo, se il sistema lo permette? – il disco esterno da 1 terabyte e mezzo in cui ho dentro tutti i miei archivi, prima di poter vedere in quella cartella di fotografie (che so benissimo dov’è e troverei in pochi secondi) devo aspettare più o meno mezz’ora che loro abbiano eseguito tutto il loro inutilissimo lavoro. E chiederlo magari prima all’utente, se devono esplorare tutte le memorie oppure no?

Computer in incognito

I tablet e gli smartphone sono computer a tutti gli effetti, la cui “mobilità” e maneggevolezza fa sì che per questo tipo di apparecchi sia stato sviluppato in quantità software cha mai era apparso per pc. Così, per restare sull’argomento precedente, esistono mappe dei pianeti e delle costellazioni strepitose per computer, con cui si possono affrontare viaggi alla Star Trek, ma non contemplano, proprio per le caratteristiche fisiche delle macchine su cui girano, l’associazione con un dispositivo GPS che possa essere puntato verso il cielo per identificare “dal vero” quello che l’occhio vede in quel momento.

Anche sul mio telefonino, se pure vecchio di più di quattro anni, ho una discreta mappa delle stelle, anche se il software è datato, ancorato all’ormai defunto, ancorché eccellente e a mio parere molto efficiente sistema operativo Symbian Belle (sono sempre i migliori che se ne vanno!), condannato a suo tempo da un cattivo marketing.

Mi funziona comunque da eccellente navigatore in auto e mi restituisce anche, preciso e puntuale, itinerari, altimetria e velocità delle uscite in bicicletta. Volendo, potrei accoppiarlo con un cardio frequenzimetro, anche se non sono d’accordo con quel tale che, affiancandomi in salita, mi spiegava che è indispensabile, per capire quando il cuore rischia di andare fuori giri. Penso ingenuamente che se il cuore è il mio, magari riesco ancora ad accorgermene da solo!

 

Quando subentra l’ideologia

Nel ruolo che noi assegniamo agli aggeggi digitali, gioca in realtà piuttosto spesso quella che io chiamo ideologia. Così per esempio, non si capisce perché la mia videocamera con connessione wi-fi, giustamente fornita senza un telecomando tradizionale, possa essere comandata a distanza da un telefonino o tablet Apple o Android, ma non – che cosa gli costava fornire il software anche per quello? - da un computer, Windows, Apple o Linux che sia. Bizzarro! Eppure, da molti anni tutti i pc hanno il wi-fi, e potrebbe essere comodo e per qualcuno preferibile gestire uno studio TV mobile proprio da un pc portatile, avendo anche subito a disposizione software di montaggio o di trasmissione streaming di qualità superiore a quella normalmente disponibile per un tablet.

Il vecchio pc di casa

Il computer che uso in casa per lavorare è un midi-tower, preso usato pieno di software. Mi rendo conto adesso che ha ormai oltre cinque anni! Però ai suoi tempi doveva essere il massimo e non solo va ancora benissimo ma, forse proprio grazie al fatto che i pc grossi e fissi non sono più tanto di moda, verifico nei banchi dei supermercati di tecnologia che i suoi successori non si sono evoluti poi più di tanto. Loro hanno l’ultima generazione di microprocessore, qualche megahertz in più (ma non così tanti, tutto sommato), e lui però ha ancora la porta firewire per collegare le vecchie videocamere digitali a cassetta, che uso talvolta nei corsi, che faccio adoperare ai bambini, che per fare laboratori di cartoni animati non sono certo peggio di una webcam e con cui, soprattutto, ho girato un sacco di video negli anni passati e non vedo perché adesso dovrei buttare via tutto!

Tecnologia usa e getta: le opere dell’ingegno umano a rischio

Viene spontanea una nota. Negli ultimi anni, nel mercato della cosiddetta tecnologia si sta affermando un’anacronistica e integralista ideologia usa e getta. Integralista, perché impone di fatto alla gran parte degli utenti di uniformarsi senza discutere alla maggioranza. Anacronistica, perché oltre a riproporre la vecchia civiltà dello spreco, che sta sommergendo il pianeta di spazzatura, sconfessa le conquiste più recenti della tecnologia autentica, quella più innovativa, che con l’informatica personale, l’interattività e la rete aveva posto le basi, nell’ultimo decennio del Novecento, per un possibile superamento della logica ottocentesca di un mondo nettamente diviso tra produttori e consumatori.

Ho scritto anche “cosiddetta” perché, culturalmente parlando, sarebbe anche ora di finirla di confondere alla leggera la tecnologia con il marketing, come se fossero la stessa cosa!

In un passato anche recente, la sostituzione di dispositivi, supporti di memoria, interfacce avveniva con un certa gradualità, ma mano che gli utenti smettevano di usarli e li rimpiazzavano con altri, oppure perché l’evoluzione delle tecnologia li rendeva a un certo punto “incompatibili”. È successo con i floppy disk, la porta parallela delle stampanti, ma anche con i dischi di vinile, le cassette video e musicali.

Quando però non si tratta di semplici supporti di memoria (uno in fondo vale l’altro) ma di pubblicazioni, cioè opere dell’ingegno umano come musica, film, multimediali, togliere di mezzo il lettore per quel supporto può significare che l’opera, se non è stata prontamente “convertita”, rischia di non essere più accessibile. E non sempre la “conversione” è al livello dell’originale. Per questo strumenti vecchi come i giradischi sono riapparsi, riveduti e corretti (con interfaccia USB, collegabili a un computer) e si sono ritagliati una loro nicchia nel mercato. Lo stesso verosimilmente accadrà per altri dispositivi analogici come i lettori di cassette musicali e VHS, la cui obsolescenza è forse troppo recente per sollecitare l’apparizione di una nuova generazione “mutante”, ma che restano strumenti indispensabili per non perdere del tutto milioni di titoli pubblicati durante decenni, nonché tutta una produzione casalinga che, anche se raramente di qualità, non sempre è il caso semplicemente di cancellare solo perché legata a tecnologie sorpassate.

 

L’unico medium che si interfaccia direttamente agli umani

Paradossalmente, tra tutti i media che sprizzando tecnologia e minacciando sfracelli sono apparsi negli ultimi decenni, l’unico che non è scomparso nel giro di pochi anni ed è sopravvissuto intatto è il libro!

A parte tutte le considerazioni che si possono fare a proposito della minaccia oggi davvero forte portata alla stampa dal web e dall’editoria elettronica (che già ha fatto vittime illustri tra le pubblicazioni periodiche), c’è una semplice ragione per cui, senz’altro ridimensionato nei numeri e nel ruolo centrale che finora ha avuto, il libro di carta – si può scommettere quello che si vuole – non scomparirà mai.

Si tratta infatti dell’unico medium che, senza bisogno di intermediari, si “interfaccia” direttamente all’essere umano. Niente elettricità, niente “lettori”, nessun problema di compatibilità o sistema operativo. Per leggere un libro basta il nostro senso della vista (o il tatto, per i ciechi, che usano le dita con l’alfabeto braille). Davvero qualcuno può pensare che gli umani arrivino un giorno a rinunciare del tutto a un mezzo talmente semplice e immediato per comunicare e pubblicare le cose a cui tengono di più, al riparo da intoppi tecnici e capricci del mercato?

 

L’equivoco ingannevole dei dischi ottici digitali

Tra le operazioni a mio parere più assurde e regressive a cui stiamo assistendo, c’è la scelta portata avanti in tempi recenti in particolare da Apple, che ha deciso di togliere lettori e masterizzatori di dischi ottici anche dai computer da tavolo, che in questo modo – così dice la pubblicità dell’iMac – sono più sottili!

Apparentemente, si tratta di una scelta che sposa il “futuro”, dato che i dischi ottici, già superati come dispositivi di archiviazione dalle memorie solide come schede e chiavette, sono sempre meno usati anche come supporti per le registrazioni audio o video, che molti scaricano direttamente dalla rete, per non parlare del software, per cui l’opzione di farsi mandare il DVD a casa immagino sia ormai scelta da una piccola minoranza di utenti, di fronte alla comodità del download.

E in questa direzione – come un preoccupante inno al pensiero convergente e tendenzialmente unico, altro che “think different!” – sono orientati i commenti di molti utenti: “Tanto io il DVD non lo uso quasi più!”

Non solo marketing, ma anche cultura e politica

Potrei ribattere che, per esempio, io invece sto tornando a usare proprio i DVD come memoriE, perché c’è in giro un sacco di gente che su Dropbox o Google Drive non ci si ritrova e sono stanco di lasciare in giro chiavette, che poi me le perdono! Ma non ci tengo a ingrossare quella schiera – oggi particolarmente numerosa – dei personaggi che dal loro limitato orizzonte personale traggono i paradigmi per pontificare sul mondo.

Però vorrei porre un paio di questioni che credo di una certa rilevanza, culturale, ma anche politica.

Intanto, c’è un conformismo imperante per cui, dove va la maggioranza, quello è il “futuro”: deciso, definito, ineluttabile. Così, se uno pensa e dice che un computer “all in one” dovrebbe continuare, come è stato in questi ultimi anni,  a consentire a chi lo desidera, quando lo vuole, magari anche solo una volta ogni tanto, di leggere, frugare, elaborare, eventualmente masterizzare i dischi ottici (che non sono cose preistoriche, ma contenuti digitali, tuttora ampiamente in uso come supporto materiale “ufficiale” di musica e cinema), rischia di farci la figura di quello che non capisce “dove va il mondo”.

E perché poi l’industria deve decidere per me che il modo di pubblicare standard per decenni e tuttora in uso, a un certo punto è passato, e che io non ci posso più giocare con il mio computer?  Perché, per accedere a milioni di opere dell’umano ingegno sotto forma di dischi ottici, o per farmi un DVD video (magari a qualcuno piacciono ancora i dischi con i menu, i capitoli e quelle cose lì, con la loro copertina illustrata, che si possono tenere in mano e mettere in vista nella libreria!), devo comprarmi un accessorio in più?

La gente, a meno che non abbia forti motivazioni, non compra “accessori in più”. E così, tanti nuovi, beati (o beoti, a loro insaputa!) utenti di computer Apple, rischiano seriamente di non entrare mai in contatto nemmeno per caso con tutta quanta la produzione digitale degli ultimi 35 anni (audio, video, multimediali, videogiochi) così come è stata e tuttora viene pubblicata su CD, DVD, Blu-Ray, non solo dall’industria ma anche da tanti utenti comuni, singoli, gruppi, scuole, comunità. Oppure deve farlo usando altre macchine, che a differenza del computer non indurranno mai in loro il dubbio che in quei dischi potrebbero anche guardarci dentro! Se pensiamo che il guardare dentro nelle cose, osservarle, capirle, provare ad elaborarle, è stata probabilmente una delle ragioni per cui non solo grande aziende e ingegneri, ma anche molta gente comune e ragazzini sono stati i protagonisti in questi decenni della “rivoluzione digitale”…

E come se da un giorno all’altro chiudessero tutte le biblioteche, tanto ormai ci sono gli ebooK!

Il cloud, condivisione o pattumiera?

Anche il cloud era nato come una straordinaria possibilità di condividere in rete i contenuti, per poterci lavorare insieme a distanza.

Ma oggi, tutte le volte che inserisco nel pc una chiavetta o una scheda SD con decine di fotografie e sequenze video, la maggior parte da buttar via, salta fuori un qualche avviso che più o meno mi chiede: “Ho visto delle foto, le vuoi mettere nel cloud?”

Io ovviamente rispondo di no: le foto devo prima vederle, selezionarle, eliminare quelle che sono venute  male, eventualmente perfezionare quelle che sono venute bene. Dopo di che, ci sono tanti spazi on line dove posso scegliere di condividerne alcune, possibilmente le migliori, comunicandolo a chi già conosco e incontrando, attraverso la scambio reciproco, persone che prima non conoscevo. Il che è senz’altro molto bello.

Ma immaginiamo che, a quella domanda, una parte anche non maggioritaria degli utenti risponda di sì. Che cosa succede? Semplicemente, che il cloud sta diventando una vera e propria, enorme, globale pattumiera!

Recentemente, in un articolo si calcolava l’impatto energetico delle email, che sembra non essere poco, e l’autore suggeriva di limitare gli allegati e le visioni in copia… Anima candida, altro che email! Siamo oggi in una situazione in cui milioni di computer (tablet, telefonini) e di server, continuamente, in ogni parte del pianeta, trasmettono, ricevono, immagazzinano nel cloud miliardi di dati che non servono e non interessano a nessuno, intasando le linee, consumando uno sproposito di elettricità, assorbendo potenzialità smisurate di calcolo e di archiviazione in un lavoro completamente inutile. E il giorno che dovessero arrivare gli invasori alieni, il pianeta terra non potrebbe utilizzare per respingerli la potenza della rete informatica mondiale, perché tutta occupata a elaborare spazzatura!

E il “back up” on line, tanto raccomandato? Un disco fisso esterno di capacità enormi costa ormai pochissimo: che senso ha andare a mettere tutto in armadi virtuali che non si sa dove sono, e le cui chiavi stanno in ultima analisi nelle mani di qualcun altro? Anche perché – qualcuno mi corregga se sbaglio – l’immagazzinamento di dati on line, oltre una certa quantità che è offerta gratis, poi si paga!

Piccoli scenari a confronto

Negli anni Ottanta, il tipico utente di pc – non un programmatore o uno specialista, ma un utente “normale” - se non aveva un lavoro particolare da fare, una volta acceso il dispositivo, andava a vedere i programmi che aveva e li provava, esplorava, studiava, per imparare ogni giorno di più a utilizzare meglio quell’insieme di possibilità che ogni personal computer rappresenta. Qualcuno diventava davvero bravo e inventava qualcosa di nuovo.

Dopo la metà degli anni Novanta, accendendo un computer, l’utente medio ha imparato a collegarsi a internet, scoprendo gioie e dolori di avere una finestra interattiva potenzialmente sempre aperta sul mondo intero. Una minoranza, ma significativa, ha saputo costruire in questo modo comunità virtuali meravigliose.

Oggi, l’utente medio di un qualsiasi aggeggio digitale, se non ha un lavoro particolare da fare, accende il suo dispositivo e va su Facebook a vedere quello che stanno facendo i suoi “amici” e a raccontare delle sue idee e dei fatti suoi…

 

Paolo Beneventi

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