Per preparare dei ragazzi al loro futuro non è pensabile ricorrere alle stesse forme di insegnamento sperimentate dagli adulti quando erano giovani. Non è necessario fare ogni volta una rivoluzione ma cambiare è necessario, soprattutto se già mutati sono i comportamenti, la cultura e l’apparato mentale e cognitivo dei ragazzi, nativi digitali. Una generazione di tecnorapidi insofferenti a forme di didattica obsolete e non mediate dalla tecnologie e incapaci a seguire e prestare attenzione a insegnati ignoranti in fatto di tecnologia e impossibilitati a interagire con loro con gli stessi linguaggi.
La filosofia è ricerca della verità.
Tablet, APP e dispositivi mobili sono diventati strumenti potenti per insegnanti e studenti, per genitori e figli, sia nelle scuole di primo e secondo grado che in quelle superiori e universitarie. Sono strumenti capaci di connettere la vita reale della classe con quella virtuale dello spazio online, di offrire accesso alla biblioteca universale del web e di collegare scuole, classi, insegnanti e studenti tra di loro. La specificità delle nuove tecnologie sta nella loro capacità innovativa e qualità operativa tutta fondata sulla loro portabilità (APP e software) e trasportabilità (fisica e mobile), connettività e convergenza, facilità d’uso e esperienze utente (interfacce tattili e vocali).
Molte scuole hanno sperimentato subito le nuove tecnologie, altre con un po’ di ritardo, altre ancora lo stanno facendo. Il ritardo e la lentezza è stata motivata spesso da mancanza di fondi e dalla necessità di interventi strutturali e infrastrutturali nelle scuole e nelle classi ma anche dalla resistenza di professori e insegnanti timorosi che le nuove tecnologie li obbligassero a cambiare modi di insegnare e abitudini didattiche praticate da anni. Il timore e le paure non sono imputabili a professori che non hanno avuto alcuna possibilità di tenersi aggiornati e di apprendere nozioni e conoscenze adeguate sui nuovi strumenti. Oggi sono però tutti chiamati, giovani e anziani, a dotarsi delle une e delle altre e a dimostrare dimestichezza e abilità nell’uso di smartphone, tablet e APP, oltre che PC, LIM, Internet, social network e reti. Sono obbligati dal bisogno personale di aggiornamento e dalla necessità di mettersi al passo con i loro studenti per non finire superati e resi insignificanti in classe e nel loro ruolo di docenti.
Dall’introduzione dell’iPad sono passati tre anni ed è come se, anche a scuola, fosse passato una eternità. Il PC ha impiegato trenta anni a dominare il mondo, il tablet lo sta facendo ad un ritmo dieci volte superiore e con accelerazioni continue che tolgono il respiro e obbligano a scelte radicali, come quelle di non assumere più docenti che non abbaino anche competenze tecnologiche. Naturalmente ciò è vero per paesi come Stati Uniti e Inghilterra, lo è meno in Italia. Ovunque sta però emergendo una nuova categoria di studenti tecnorapidi che non accetterà più facilmente scuole non altrettanto veloci nell’adozione e nell’applicazione delle nuove tecnologie. Le scuole non possono in ogni caso permettere che si crei questo tipo di allontanamento e divario, senza venire meno alla finalità di formare gli individui e i citadini del futuro.
Per questi motivi non sono più ammissibili ritardi e neppure comportamenti apertamente ostili alla tecnologia e tecnofobi. L’istituzione scuola deve investire, integrare le varie infrastrutture tecnologiche e dotare le classi di quanto serve. Gli insegnanti devono cimentarsi con la tecnologia e da immigrati digitali adattare la didattica ai nuovi strumenti. Chi di loro non intende farlo o non ce la fa rischia l’obsolescenza, l’insignificanza e l’estinzione.
Come i dinosauri spariti per colpa di un meteorite gigantesco, metafora perfetta per il tablet, non in termini di dimensioni ma di capacità distruttiva!