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L’illusione di sfuggire alla sorveglianza tecnologica

L’illusione di sfuggire alla sorveglianza tecnologica

04 Ottobre 2017 Redazione SoloTablet
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Negli Stat Uniti, il paese più tecnologicamente sorvegliato al mondo, il tema è all’ordine del giorno. Le voci critiche sugli effetti e sui rischi della pervasività della sorveglianza tecnologica aumentano, ma pochi si illudono ormai sulla possibilità di vivere in contesti da essa liberati e autonomi. Oggi le tecniche di sorveglianza di massa hanno raggiunto livelli tali da spegnere ogni speranza e annegare ogni illusione. Unica possibilità è la fuga da qualsiasi oggetto tecnologico, il ritiro in mondi lontani dal mondo e in spazi ancora vergini e incontaminati dalla tecnologia. Una speranza resa vana dal proliferare di satelliti orbitanti, da droni sempre più curiosi e potenti, da Bot sempre più intelligenti e iperattivi, dalla pervasività crescente di sensori che alimentano reti degli oggetti e tecnologie indossabili e dalla crescente ignoranza e mancanza di consapevolezza umana. Rimangono due sole possibilità: fregarsene o provare a resistere. Senza farsi molte illusioni!

Nel 2002 per il filosofo, scrittore e urbanista Paul Virilio la sorveglianza era “ciò che sta arrivando" (“ce que arrive”), un incidente del futuro destinato a produrre effetti importanti e a suggerire una migliore messa a fuoco del fenomeno (Privacy, un tema sempre all'ordine del giorno), per comprenderlo più che per reprimerlo, una possibilità quest'ultima tanto illusoria quanto diventata ormai remota, se non impossibile.

Tutti sorvegliano tutti, anche se stessi: con selfie, iPad, iPhone e tanta iStupidità

La messa a fuoco del fenomeno della sorveglianza tecnologica permetterebbe oggi di contestualizzare un fenomeno che non è più solo istituzionale, poliziesco, preventivo, marketing ma anche sociale e politico. Un sistema che non vede più come semplici protagonisti enti statali e grandi multinazionali (Le P2 nascoste nella Rete: potenti, ricattatorie e in possesso dei nostri dati) ma coinvolge come complici gli stessi utenti e i cittadini video-sorvegliati.

La sorveglianza tecnologica praticata da realtà statali non opera solo attivamente nella raccolta di dati e informazioni ma anche nel convincere e acculturare i cittadini a rinunciare alla loro privacy come diritto e a condividerla attivamente come pegno necessario in cambio di benefici, comodità e convenienze. Le nuove tecnologie permettono a molti di fuggire dalla privacy intesa come dirittto di libertà e, a chi pratica la sorveglianza, di normalizzarla evidenziandone la minore importanza rispetto ai vantaggi e ai benefici derivanti dalle pratiche tecnologiche quotidiane nel'uso di dispositivi o applicazioni e media digitali.

Promuovendo ad esempio la pratica del selfie si alimentano vanità e narcisismi vari a scapito di diritti, respsonabilità sociali e comportamenti etici. Sacrificando il diritto alla privacy il cittadino tecnologico odierno non ha solamente ceduto se stesso a interessi commerciali (dati personali usati per campagne marketing personalizzate) ma ha rinunciato alla propria libertà individuale e politica.

Il fenomeno della sorveglianza tecnologica è caratterizzato da video-telecamere presenti ovunque e capaci di registrare ubriacature o scippi per strada così come comportamenti inadeguati in pubblico, al cinema o in un museo. E' un fenomeno caratterizzato anche da comportamenti sociali diffusi come quelli che spingono molti, dotati di iPhone, iPad e tanta iStupidità a fotografare e fissare dentro una immagine digitale qualsiasi cosa, a partire da se stessi immportalati in selfie narcisistici e facilmente condivisibili. L'autoscatto in sè non è una pratica negativa ma il contesto che ne emerge vede in atto una azione di spionaggio collettivo, con protagonisti semplici consumatori o cittadini che, inconsapevoli della destinazione e potenziale uso che delle immagini da loro prodotte può essere fatto, esercitano felicemente, e forse un pò stupidamente, la libertà di spiare e il piacere di farsi spiare.

In questa attività frenetica, da fotografi dilettanti dotati di strumenti tecnologici potenti, sfugge ai più che i dati, le immagini, le fotografie messe in circolazione digitalmente in Rete diventano facilmente preda di potenziali malintenzionati ma anche di entità governative preposte principalmente al controllo e alla sicurezza del cittadino (rapidità e facilità nell'individuare situazioni critiche e organizzare interventi in tempo reale) ma interessate anche a ottenere e archiviare informazioni utili ai potenti di turno per proteggere e perpetrare nel tempo il potere di cui godono. Una possibilità diventata realtà grazie alla partecipazione diretta (sharing videosurveillance) del cittadino stesso, sempre meno elettore e sempre più osservatore e fotografo.

A differenza delle generazioni passate che quando erano fuori casa per danzare, danzavano o per amoreggiare, amoreggiavano, quelle attuali, dotate di gadget tecnologici e sempre connesse, sono sempre più impegnate a celebrare i simulacri delle loro esperienze e dei loro momenti di divertimento per immortalarli con scatti tecnologici che finiscono per distrarrli dalle cose che stanno facendo (Pensieri critici e fuori dal coro sulla tecnologia).

E' una pratica che caratterizza generazioni di persone incapaci di immaginare un mondo senza strumenti tecnologici e accesso costante all'informazione ma anche perse nei labirinti della tecnologia e inconsapevoli del contributo che stanno dando alla sorveglianza diffusa che si alimenta dei dati e delle  informazioni da loro stesse prodotte.

La pervasività della sorveglianza tecnologica odierna

Dal 2002 sembra essere passato un secolo e quella che era la semplice pre-visione di un filosofo come paul Virilio è oggi diventata un realtà, caratterizzata dalla penetrazione diffusa di fotocamere e videocamere in grado di monitorare la nostra vita quotidiana con lo sguardo opaco di lenti che ci seguono ovunque facendo sorgere in alcuni il timore di futuri panottici Benthamiani nei quali tutti sono in qualche modo monitorati, videosorvegliati, protetti ma anche spiati e disturbati nella loro privacy e libertà. Il fenomeno si sta imponendo in modo pervasivo nell’elevata indifferenza di molti cittadini che vedono nei nuovi sistemi tecnologici di sorveglianza strumenti potenti di protezione e dissuasione dal crimine.

A livello europeo il fenomeno è così diffuso dall’avere originato uno studio, denominato UrbanEye,(il primo Rapporto Finale è stato sottoposto alla commissione europea nel 2004) finalizzato a fotografarne la diffusione e le conseguenze sulle persone e sulla società. Negli Stati Uniti il problema sembra non essere quasi più all’ordine del giorno e il cittadino sembra avere accettato la intrusione continua di sistemi di sorveglianza elettronica e tecnologica capaci di verificare dove si trova e cosa sta facendo ma anche il possesso di ricchezze e le sue abitudini di shopping o stili di vita.

Nonostante le violazioni alla privacy dei cittadini (Si parla di privacy, si riflette sugli effetti della tecnologia!) consumatori siano già state oggetto di contenziosi legali e siano state sanzionate, la sorveglianza tecnologica con il tracciamento degli spostamenti e delle attività e la raccolta di dati, continua imperterrita la sua proliferazione, spesso nella completa inconsapevolezza e all’insaputa dei soggetti sorvegliati. La giurisprudenza si è finora dimostrata incapace di governare il fenomeno e di proteggere i cittadini e i consumatori da sistemi di controllo dalla potenza senza precedenti ma non nuovi nella storia umana fatta di eterne lotte tra chi detiene il potere e chi lo subisce o vi deve interagire.

Negli Stati Uniti ad esempio la sorveglianza di massa può essere fatta risalire al 1800, epoca nella quale i poteri federali disponevano di strutture e organizzazioni di spie pagate per costruire dossier su personaggi pubblici, agenti di commercio o di borsa o imprenditori con lo scopo di raccogliere dati e registrare informazioni sulle loro abitudini, stili di vita e capacità di spesa. Questi sistemi si sono evoluti fino ai giorni nostri con l’implementazione di applicazioni capaci di verificare la capacità di onorare i debiti da parte dei possessori di carte di credito o dei sottoscrittori di prestiti. Questi controlli sono avvenuti e avvengono all’insaputa della maggioranza degli utenti, soprattutto riguardo al tipo di dati che vengono prodotti e alle informazioni personali e private in essi contenute. Ad esempio caratteristiche individuali considerate devianti, fuori dalla norma vigente o contrarie al politicamente corretto. Informazioni che potrebbero pregiudicare in futuro crediti maggiori o l’elargizione di un mutuo o di un prestito.

Oggi la sorveglianza è praticata da molteplici realtà, non solamente da enti statali o istituzioni finanziarie ma da assicurazioni, grande distribuzione e tutte le realtà con e quali il cittadino consumatore interagisce. La maggior parte delle persone sembra accettare passivamente le nuove pratiche di sorveglianza tecnologica e guarda a chi si ribella come a novelli Don Chisciotte in lotta contro mulini a vento digitali e tecnologici molto più potenti di quelli descritti da Cervantes.

L’indifferenza della massa di utenti e consumatori è tanto più grave quanto maggiore è l’incompletezza o la non correttezza dei dati raccolti.

Come si esprime la sorveglianza tecnologica

Per capire l’evoluzione della sorveglianza tecnologica (Vampiri e zombie alla conquista della Rete) è sufficiente immergersi nella visione di uno dei numerosi film a carattere distopico che stanno riempiendo gli schermi e le serate dei telespettatori. Film nati da romanzi e racconti ambientati in mondi come quelli di Minority Report o Hunger Games nei quali ogni attimo di vita personale è spiato, monitorato e controllato in modo tale da rendere impossibile qualsiasi forma di difesa e protezione. Nei film a portare la salvezza e a creare vie di fuga possibili sono sempre dei nuovi eroi capaci di cambiare il mondo, nella realtà questi eroi stentano a emergere e se lo fanno vengono rapidamente assorbiti o messi a tacere, come avviene oggi in Egitto o in Turchia (caso Reggeni docet).

Per farsi un’idea di quanto sia pervasiva la sorveglianza tecnologica non è però necessario nutrirsi di letture distopiche (Le distopie tecnologiche che le nuove generazioni non vogliono vedere!) o guardare film da esse derivati. E’ sufficiente riflettere sui numerosi oggetti tecnologici che ci circondano, con cui coabitiamo e interagiamo, che indossiamo e con i quali in futuro saremo anche integrati.

Questa pervasività tecnologica (La sorveglianza tecnologica non dorme mai) si manifesta in monitoraggio, sorveglianza e controllo in modi diversi quali:

  • Molti oggetti tecnologici che usiamo, nella forma di collane, braccialetti, occhiali, smartphone, sono muniti di sensori e componenti elettronici che permettono di tracciare ogni nostro movimento, di registrarlo e comunicarlo ad eventuali grandi fratelli o loro padrini
  • La televisione non è solo un mezzo che rende passivi gli utenti facendo dimenticare loro di essere anche cittadini ma è sempre più uno strumento che cattura comportamenti e abitudini di chi la guarda. Segnala se e quanto è stata spenta, presta attenzione ai programmi selezionati e al tempo passato davanti a uno spot commerciale prima che l’utente cambi canale e presto potrebbe essere in grado di attivare il riconoscimento facciale per fornire servizi personalizzati ma anche per verificare che le informazioni raccolte su chi guarda il televisore siano quelle che servono.
  • Tutte le transazioni eseguite con semplici tesserine di plastica sono oggi registrate e monitorate. Il monitoraggio offre indubbi benefici e vantaggi al loro possessore ma serve anche alla raccolta di un’infinità di dati personali utilizzabili in seguito per scopi marketing e commerciali e non solo.
  • Frequentare o abitare un social network significa fare conoscere a chi controlla l’applicazione, gestisce lo spazio online e ai suoi clienti, i propri amici, le proprie reti di contatti, le preferenze di genere o sessuali, le abitudini sociali, i gusti e le idee individuali.
  • La pratica della condivisione che molti strumenti tecnologici rendono possibile offre l’opportunità di condividere con amici e parenti fatti, notizie, e avvenimenti privati e pubblici. Il beneficio è reale ma la condivisione ha alcuni effetti collaterali come la trasparenza delle informazioni condivise verso le entità private o governative che hanno i mezzi per vedere come e cosa viene condiviso.
  • La proliferazione delle telecamere non è servita solo a creare dei deterrenti per furti e attività criminali ma anche a trasformare ogni spazio aperto o chiuso in un set cinematografico nel quale ogni azione, movimento, commento o comportamento viene filmato e registrato.

 

  • Con l’evoluzione dei droni (I droni occhio di Dio, metafore per tecnologie vedenti e onniscenti) la sorveglianza ora arriva anche dal cielo, non quello stellato e lontano nel quale fluttuano satelliti e telescopi vari ma anche quelli sopra le nostre teste. Eventi politici, musicali o per strada possono oggi essere messi sotto la lente d’ingrandimento di droni potenti e armati di lenti potentissime capaci di registrare ogni minimo dettaglio e movimento.
  • In Rete si fa uso ricorrente di motori di ricerca e di applicazioni di posta elettronica (Ambivalenza di Google. Strumento di libertà o di controllo?). Gli uni e le altre offrono grandi servizi, benefici e vantaggi ma sono anche sempre più caratterizzati dalla presenza di BOT o robot tecnologici (BOT, l’evoluzione di una specie un po’ speciale) capaci di spiare dentro le caselle di posta elettronica e di memorizzare le abitudini individuali nell’uso dei motori di ricerca, le parole chiave usate, gli argomenti maggiormente ricercati, ecc.
  • Il gioco digitale e online è una delle pratiche più diffuse, in particolare tra le nuove generazioni. Anche i videogiochi si sono trasformati nel tempo in potenti mezzi di sorveglianza e spionaggio delle attività degli utenti e degli appassionati del gioco online (ad esempio la CIA ha usato a finis pionistici giochi come World of Spycraft)

Illudersi di poter sfuggire alla sorveglianza tecnologica

Senza Edward Snowden, il tema della sorveglianza tecnologica sarebbe rimasto oggetto di studiosi e ricercatori e di pochi attivisti impegnati nella difesa dei diritti della persona e dei cittadini di stati sia democratici sia autoritari.

Grazie allo scandalo della NSA (National Security Agency) oggi tutti (quasi tutti) sanno di vivere nell’era moderna della sorveglianza e che la cosa non riguarda solo la NSA ma anche piccoli grandi dittatori, supermercati e punti vendita, stazioni di polizia e centri commerciali, tutte realtà dotate di potenti strumenti predisposti per monitorare, quantificare e memorizzare, per ragioni di sicurezza o semplicemente commerciali, i comportamenti delle persone (gusti, preferenze, opinioni, bisogni, ecc.) ne loro ruolo di consumatori, cittadini, lavoratori, ecc.

Una semplice pausa di riflessione servirebbe a ognuno per comprendere che la propria privacy è stata distrutta in cambio di sicurezza e convenienza, la prima probabilmente falsa, la seconda in realtà poco conveniente.

La sorveglianza tecnologica attuale, che si presenta nella sua veste positiva di strumento di protezione e sicurezza (come dare torto a quanti in molti paesi del Veneto hanno salutato con entusiasmo l'installazione di cemtinaia di telecamere come deterrente ai furti nelle case?), ha in realtà trasformato gli individui in semplici dati e le azioni delle persone in probabilità algoritmiche ma ha anche cambiato il rapporto tra istituzioni e cittadini facendo pendere la bilancia verso le prime.

Senza azioni veramente private e senza la possibilità di sviluppare opinioni autonome e segrete non c’è più libertà.  Una realtà questa oggi diffusa e caratterizzata dall’impossibilità di sfuggire alla sorveglianza implicita nelle varie infrastrutture e soluzioni tecnologiche che utilizziamo. Una realtà che si è andata costruendo e rafforzando negli anni e che oggi sembra essere inattaccabile sia da singoli liberi pensatori e cittadini che esercitano la loro azione politica sia da forze organizzate. Una realtà che forse si può evitare, almeno in parte, solamente costruendo spazi liberi dalla tecnologia nei quali rifugiarsi e nascondersi, se si è capaci di farlo e se esistono ancora posti nei quali è possibile farlo per assenza di monitor, video e telecamere, sensori vari (Cosa sono le tecnologie indossabili ), occhi opachi di satelliti più o meno lontani, droni in azione perenne, autonomi o teleguidati, segnali GPS e di griglie o infrastrutture di rete.

Più che la scarsa disponibilità di spazi di questo tipo la vera difficoltà deriva dalla incapacità a smettere di cinguettare con Twitter per ascoltare i cinguettii degli uccelli, scambiare uno sguardo con gli occhi di una persona al posto di osservarli sul muro delle facce o di toccarsi invece di inviarsi selfie provocanti ed erotizzanti nell’illusione di provare sensazioni simili a quelle del tatto. Questa difficoltà e la resistenza alle zone temporaneamente libere da tecnologia è ciò che impedisce anche la comprensione del livello elevato di sorveglianza alla quale siamo oggi tutti sottoposti e di ricercare forme naturali di sopravvivenza e difesa della privacy.

Staccare la spina e sperimentare il rumore del silenzio tecnologico potrebbe aiutare, quando si riallaccia la spina e si rientra nella matrice della Rete, ad acquisire maggiore consapevolezza della sorveglianza a cui siamo oggi tutti sottoposti e sottomessi. Una coscienza maggiore di questa sorveglianza può suggerire alcune buone pratiche, utili non tanto a sfuggirvi ma a difendersi e proteggersi meglio. Ad esempio fornendo informazioni false a chi le chiede per compilare un profilo, cancellando ogni foto personale dal profilo dei social network (non a caso oggi molti giovani hanno scelto SnapChat per la sua caratteristica di gestire contenuti a tempo e con tempi di cancellazione decisi dall’utente) o usando carte di credito ad hoc per acquisti online. Chi fosse un esperto della Rete e non temesse le profondità del Deep Web (Web sommerso) potrebbe sfuggire anche alla sorveglianza dei grandi fratelli della Silicon Valley sprofondando nei meandri di Tor e della Internet degli Anonimi.

Reagire e cercare spazi autonomi e liberi non permetterà di sfuggire alla ragnatela estesa e in costante evoluzione della sorveglianza tecnologica, ma aiuterà a sentirsi meno passivi e più consapevoli. Ad esempio a non pensare più a Internet come il regno dell’utopia ma come a uno dei molti elementi che caratterizzano l’economia globale e liberista che rappresenta la fase attuale di evoluzione del capitalismo. E’ un elemento chiave perché fornisce miliardi di dati e informazioni commercializzate come merci e usate per commerciare, vendere e fare profitti. La sua importanza è nota sia ai produttori tecnologici sia alle grandi aziende, detentrici dei più importanti marchi commerciali esistenti. Non è un caso che i cento siti più visitati e usati al mondo appartengano ai primi o alle seconde. 

La consapevolezza dell’utente sui rischi della privacy e la sua crescente critica ai sistemi tecnologici possono spingere i produttori a introdurre sistemi di protezione o funzionalità che permettono all’utente di difendersi dall’intrusione della tecnologia. Una tecnologia non più così neutrale ma neppure responsabile della violazione della privacy. A praticare la violazione sono coloro che controllano la tecnologia e la programmano definendone con cura la sua reale destinazione d’uso. Una destinazione d’uso non necessariamente consona a soddisfare i bisogni degli utenti.

Così come la tecnologia può essere piegata a scopi commerciali, spionistici, di sorveglianza e controllo, può anche essere usata in modi alternativi per transazioni, relazioni o interazioni che non possono essere tracciate, quantificate e controllate. Provare a resistere alla pervasività del controllo tecnologico riporta al Don Chisciotte già menzionato in questo articolo ma la resistenza è forse l’unica possibilità rimasta per difendersi dalla manipolazione implicita nella sorveglianza e dal suo potere di controllo e condizionamento delle libertà individuali.

Forse era un emulo di Don Chisciotte anche il ragazzo disarmato che si oppose all’avanzata dei carri armati dell’esercito cinese nella piazza Tienanmen. Il ragazzo, di cui non si è mai conosciuta la sorte,  non ha bloccato il massacro dei cittadini cinesi che protestavano per chiedere maggiori libertà ma si è trasformato in icona ed esempio per tutti coloro che  non hanno alcuna intenzione di trasformare la propria umanità in semplice algoritmo o profilo digitale o in sensore elettronico produttore di dati e informazioni che altri possano utilizzare, manipolare e controllare. Come cittadini e ancora prima come esseri umani non siamo semplici elementi di qualche sistema tecnologico avanzato o una sua componente funzionale (produttori di dati) ma esseri pensanti capaci di elaborare pensiero critico e riflettere sulla nostra relazione con le molteplici realtà complesse del mondo esterno.

Alcune brevi considerazioni finali

Per resistere alla sorveglianza tecnologica diffusa in arrivo sarà necessario fare costante riferimento a questa specificità umana, ricordarsene in modo da farne un uso intelligente per evitare moderne caverne platoniche (A proposito di caverne e centri commerciali...da Platone alla Cina) nelle quali i prigionieri si sentono liberi per non avere alcuna nozione reale del mondo esterno, panottici tecnologici controllati elettronicamente e da controllori digitali o centri commerciali nei quali consumatori umani siano trattati da semplici destinatari di messaggi promozionali finalizzati alla vendita e alle transazioni commerciali.

I mondi distopici che si stanno presentando all'orizzonte non sono pericolosi per l'affermarsi di poteri dispotici capaci di controllare e sorvegliare ogni cosa tramite strumenti tecnologici. Il pericolo maggiore nasce dalla crescente inconsapevolezza degli effetti collaterali e della indifferenza culturale e politica che mette a rischio alcuni valori fondanti delle nostre democrazie occidentali quali la libertà e i diritti del cittadino. Il problema non sta nella possibilità di leggere le email o spiare i comportamenti dei citadini in Facebook ma nel fatto che chi ha il potere può decidere di farlo all'insaputa del diretto interessato spiato. Ciò mette tutti alla mercè di chi detiene il potere riducendo la loro libertà. In questo contesto la sorveglianza tecnologica non va valutata solo nell'ottica della privacy ma anche in termini culturali e politici e analizzata come uno dei molti tentacoli delle pratiche di controllo e punizione che hanno sempre fatto parte di ogni sistema di governo e che sono sempre state contrastate e mitigate dall'azione dei governati e dei cittadini.

 

 

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