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Il lavoro dell'ostrica

Il lavoro dell'ostrica

17 Maggio 2021 Nausica Manzi
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Strappare il guscio delle etichette perché il valore non ha nessun prezzo.

Un giorno partecipavo ad una lezione di un corso che frequentavo ed ascoltavo con attenzione ma con la testa che viaggiava tra le parole e nella realtà. Come sempre: oltre ed altrove. Si parlava di lavoro e libertà: parole enormi, contenitori delicati della dignità umana da reinventare da capo. In quel parlare, in particolare, si usavano delle "etichette", categorie terrificanti dove si ingabbiano costantemente umanità e individualità: si diceva ad esempio " vi immaginate un contadino con il doppiopetto?" oppure " le donne sono più sensibili degli uomini si sa!" ed ancora " se uno sta a casa senza lavorare e si lamenta che non trova lavoro è perché in realtà non gli va di fare nulla" ed infine "In fin dei conti ai giovani non interessa nulla!". Discorsi e frasi allucinanti che non potevo più continuare ad ascoltare in silenzio. Il mondo e la mentalità delirante che alle volte l'abbraccia si devono cambiare  infatti con la delicata ed impetuosa rivoluzione del bene: essere carezze e custodi d'esistenza.

Si ragiona spesso per categorie, pacchetti confezionati in cui si riducono gli esseri umani perché si ignora l'oltre di cui sono costituiti: non lo si vede più perché non ci si guarda più e neanche le mascherine ci stanno riuscendo! Si preferiscono delle facili etichette da assegnare con superficialità come se tutti fossero vestiti o oggetti il cui valore è dato esclusivamente dal materiale pregiato o no, dalla forma, dalla dimensione, elementi che ne compongono il prezzo. Il prezzo non è il valore: ci si è dimenticati che ciò che ha davvero valore non ha nessun prezzo.

La cosa quindi, per me filosofa che crede nella bellezza del confronto e nell'utilizzo del pensiero per cambiare essere ed azione, diventava difficile da ascoltare e da lì al mio intervento rimaneva davvero solo qualche secondo...quando, all'improvviso, una frase mi ha colpito profondamente: " ma tanto voi giovani all'ascolto, tutti figli di dipendenti del resto, che ne sapete voi della vita vera!". 

Certo che ne sappiamo! E poi cosa è la vita vera? Perché ragionare per etichette, tempi stabiliti, modi di dire, che di carne ed ossa umana non hanno nulla a che fare? Perché classificare ognuno dall'apparenza? I perché sono sempre tanti e le risposte sempre poche, l'importante però sono le domande. Cosa significa essere figlio di un dipendente? Non sarebbe meglio dire " è straordinario che tu ci sia e che tu possa dire la tua e dare il tuo contributo all'intera esistenza". E invece no: ci riduciamo a credere che nelle etichette ci sia il valore di una persona e dimentichiamo l'unica vera categoria da tornare a ripensare, quella umana. 

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Forse, perché bisognosa di reimparare a guardare per davvero e non solo a vedere ciò che le è attorno e ad incarnare una nuova modalità d'esistenza, quel giorno quella docente non si è resa conto che, in realtà, lì davanti alla videochiamata della sua lezione, non aveva di fronte semplici giovani, ma ostriche. Ostriche umane che le stavano ricordando un oltre di senso da recuperare per esistere altrimenti e strappare il guscio di etichette vuote ed insensate.

 Le ostriche sono animali straordinari che hanno tanto da insegnare all'umanità. Cosa c'entrano con categorie ed etichette? Con un pensiero da rinnovare? c'entrano perché da esse si può apprendere cosa sia il valore.

Un'ostrica lavora continuamente su se stessa, o meglio dentro di sé per proteggersi e, nel contempo, per far divenire la sua "anima" migliore in ogni momento. Un corpo estraneo si intrufola in esse e scombussola il proprio ordine, un granellino di sabbia che le provoca irritazione e quindi dolore. In apparenza la vedono debole ed inutile, ma invece l'ostrica nel silenzio si ribella a quel mutamento doloroso, lavorando su di esso con la propria anima: produce strati di calcio che fanno a poco a poco di quel corpo estraneo una perla scintillante. Dentro di loro, le ostriche lavorano continuamente per proteggere, crescere e far vedere al mondo poi la propria perla d'esistenza. Chi le giudica da fuori e ragionando per etichette, le ignora, le riduce a semplici componenti della realtà, guardando al loro guscio, bruttino, ammaccato, ma in cui loro però lavorano nel silenzio e sono perle di luce che combatte e resiste.

 Ecco, i giovani fanno il lavoro dell'ostrica: nella piena difficoltà, lavorano dentro loro stessi nell'apparenza di un guscio esterno duro. Lavorano per far divenire la propria anima una perla. Ogni essere umano è un'ostrica, quella stessa docente lo è, solo che quel giorno si era semplicemente persa a giudicare la durezza o l'apparenza malridotta di quel guscio esterno. Nel guscio non vi è il valore, ma nella perla di cui esso è il custode. 

Se pensassimo che ognuno di noi, in particolare i giovani, è solo un guscio con dentro un'anima in continua attività per produrre e fare di essa stessa una perla luminosa, allora le cose inizierebbero a cambiare: le etichette, le categorie deliranti diverrebbero inutili modi di dire e si scarterebbero per cercare nuove parole profumate di oltre per far emergere una perla, anima silenziosa ma la cui voce ritrovata e abbracciata, perché curata nella responsabilità ed amata per ciò che è e ha, potrebbe essere il punto di partenza per quella rivoluzione delicata ed impetuosa del bene.

Siamo ostriche, lavorare dentro noi stessi per mostrare la nostra perla è un modo di vivere nuovo, che affronta le difficoltà di questo mondo, per rinnovarle di luce che splende e non si spegne, perché perla preziosa di battiti e respiri d'esistenza.

Che sia un monito per i giovani, una carezza per gli adulti ed un sorriso in cammino verso il futuro.

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