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Cosa rende umano un essere umano? ( Edoardo Mattei)

Cosa rende umano un essere umano? ( Edoardo Mattei)

11 Settembre 2017 Interviste filosofiche
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L'ibridazione uomo-macchina sta già avvenendo tanto da domandarci cosa rende "umano" un essere umano. Esiste un limite invalicabile? Se e quando sarà possibile il mind-uploading, il trasferimento della mente cosciente su un dispositivo non biologico, saremo ancora "umani"? Qual è il destino della "specie umana" dopo la Singolarità quando le macchine avranno facoltà intellettive superiore alle nostre? Esiste, in definitiva, un residuo umano irriducibile a qualsiasi trasformazione?

"Diogene […] obiettò una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: “Che cosa mai ha da mostrare di grande, se da tanto tempo pratica la filosofia e non ha ancora turbato nessuno?” Proprio così bisognerebbe scrivere sulla tomba della filosofia della università: “Non ha mai turbato nessuno” (F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III. Schopenhauer come educatore, tr. it. di M. Montinari, in F. Nietzsche, Opere, vol. III, tomo I, Adelphi, pag. 457)."

 In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli ha condotto con Edoardo Mattei, business & technology consultant, consulente di comunicazione digitale e docente di Teoria e Tecnica dei Media Digitali


Sei filosofo, sociologo, piscologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero? .

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.

 

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?

Ho iniziato a lavorare nell'informatica quando Windows non esisteva, Intel produceva la CPU 8086/88 a 8 bit, i programmi erano in Basic e Internet uno sconosciuto. Le università ignoravano l'esistenza dell'ingegneria del software e l'unica strada di studio possibile era Elettronica Digitale.

Ho vissuto tutte le tappe dello sviluppo dell'informatica promuovendo l'innovazione alla guida di progetti e gruppi di Ricerca & Sviluppo nazionali ed internazionali. Il mio interesse si è concentrato sulle tecnologie e sugli impatti della comunicazione dove ho sostenuto un approccio informato e meno alienante al digitale.

Ho scritto articoli e tenuto conferenze su questi temi, proclamando l'ingresso in una nuova epoca storica e sostenendo la necessità di abbandonare i vecchi strumenti di indagine sociale per adottarne di nuovi.

Come cattolico, ritengo che la nostra comprensione della definitiva ed immutabile Rivelazione sia in continuo progresso e che sia doveroso da parte della Chiesa, quindi di tutti i credenti, essere in dialogo con i tempi e di «interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche» (Gaudium et Spes, 4).

Queste sono le finalità del corso interdisciplinare di cui sono responsabile "Lettura domenicana dell'era digitale" presso l'ISSR Mater Ecclesiae, della Facoltà di Teologia della Pont. Univ. S. Tommaso d'Aquino – Angelicum di Roma, dove si esplorano i cambiamenti generati dal digitale e le sfide al cristianesimo in incontri tematici su filosofia, antropologia, teologia, economia ed altri aspetti della vita sociale e culturale.

 

Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?

Leggere Kelly è un'esperienza coinvolgente così come non si può restare indifferenti alle visioni di Kurzweil, Wolfram, Bostrom o Schmidt ma la trasformazione in atto è più vicina alle analisi di Castells, Turkle, Pentland, Mayer-Schonberger, Morozov, Floridi.

Personalmente sono convinto che siamo all'inizio della Quarta Rivoluzione Industriale. La Prima è stata dominata dal vapore, la Seconda dalla elettricità, la Terza dal software mentre la Quarta ha il suo centro nell'Internet Of Things o IoT, cioè l'interconnessione mondiale di qualsiasi dispositivo o sensore in un'unica rete per il controllo globale dell'intero biosistema terrestre.

Non appartengo al novero di chi si crogiola nel rammarico del «bel tempo andato» e vedo in questa nuova epoca più opportunità che distopie. Se è vero, come è vero, che il lavoro diminuisce, che l'inquinamento sembra senza controllo o che la forbice ricchezza/povertà si allarga è anche vero che c'è un modo positivo di vedere il domani. L'adozione della IoT permetterà di gestire meglio le disparità sociali e di porvi rimedi più efficaci mentre all'uomo darà più tempo a disposizione liberandolo dal lavoro alienante per la sopravvivenza (persino Bill Gates suggerisce un reddito di cittadinanza parlando di robot-tax, cioè tassare i robot che rubano lavoro all'uomo, in favore di politiche di walfare). L'uomo potrà esprimere meglio e più liberamente la sua personalità: leggere, disegnare, praticare sport, memorizzare poesie, libri… Impareremo una nuova grammatica dei sentimenti e delle relazioni e così, forse, avremo più pace e meno conflittualità.

Le scienze, più della filosofia, stanno intravedendo questo futuro, stanno dotandosi di nuove strutture di pensiero capaci di comprendere e spiegare meglio l'evoluzione in atto. Purtroppo, a causa del ritardo tecnologico in Italia, dobbiamo accettare l'assenza di connazionali nell'agone culturale tranne eccezioni come Luciano Floridi, docente di filosofia ad Oxford, considerato il padre della filosofia dell'informazione, e qualche frequentatore occasionale come Maurizio Ferraris, fondatore del nuovo realismo ed autore di Anima e iPad e Ontologia del telefonino.  In campo cattolico vorrei ricordare Chiara Giaccardi, docente di Antropologia dei Media presso la Univ. Cattolica di Milano, e Andrea Vaccaro, docente di Filosofia contemporanea all'Istituto Superiore di Scienze Religiose “I. Galantini” di Firenze

In ultimo una menzione particolare per Cosimo Accoto, autore di un interessante libro, che mi ha preceduto in questa serie di interviste.

In filosofia, penso che come Kant, dobbiamo risvegliarci da un sonno "dogmatico" (dove il digitale è ancora "virtuale") e seguendo Husserl dovremmo chiederci se stiamo comprendendo quello che succede intorno a noi (le percezioni software-driven). Come cattolico, aggiungo che, imparando da Tommaso d'Aquino, dobbiamo trovare i fondamenti ontologici della realtà digitale.

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

La tecnologia non è stata mai neutrale e men che meno lo sono i media, insegnava McLuhan. Sviluppiamo la tecnologia per trovare soluzioni e mentre l'adottiamo scopriamo usi imprevisti che disegnano ulteriori opportunità che nuove tecnologie risolveranno. Anche il digitale non sfugge a questa ripetitiva dinamicità.

Indubbiamente è in atto un cambiamento paradigmatico che coinvolge la concettualità e il linguaggio con cui interagiamo. In ambito religioso, come rileva mons. Bruno Forte, arcivescovo di Vasto-Chieti, uno dei maggiori teologi italiani, c'è il rischio della reinterpretazione di concetti teologici come salvare o convertire. Nel digitale, è la persona il soggetto che salva un documento e lo converte con una semplice operazione di decodifica/codifica (ad esempio da DOC a PDF). Nel cristianesimo, invece, è Dio il soggetto di queste azioni e il soggetto del digitale diventa oggetto nell'azione di Dio. Una inversione che sfida tutta la teologia.

L'identità umana è ripensata. Dopo essere passati da una medicina curativa ad una preventiva siamo giunti ad una medicina potenziativa: non più curare o prevenire le malattie ma potenziare le capacità fisiologiche del corpo con innesti artificiali. Chi come me conosce la schiavitù degli occhiali, non sarebbe favorevole ad un "occhio artificiale" che riporti la vista ad un livello naturale di 10/10? Se questo "occhio artificiale" fosse ulteriormente dotato di "visione notturna" non saremmo ulteriormente contenti?  Inoltre, se non fosse soggetto all'usura del tempo ma solo ad una manutenzione ordinaria, non saremmo ancora più felici?

L'ibridazione uomo-macchina sta già avvenendo tanto da domandarci cosa rende "umano" un essere umano. Esiste un limite invalicabile? Se e quando sarà possibile il mind-uploading, il trasferimento della mente cosciente su un dispositivo non biologico, saremo ancora "umani"? Qual è il destino della "specie umana" dopo la Singolarità quando le macchine avranno facoltà intellettive superiore alle nostre? Esiste, in definitiva, un residuo umano irriducibile a qualsiasi trasformazione?

Il digitale è affascinante perché ci libera da molti problemi ma contemporaneamente dobbiamo essere capaci di sciogliere i complessi problematici e i nodi di tensione che crea.

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?

Qualsiasi scenario previsto non può prescindere dal software, cioè da algoritmi e dall'intelligenza artificiale che saranno in grado di ridisegnare il mondo e di dargli senso.

Domani saremo mediati dal software che fornirà informazioni in anticipo sulla nostra percezione. Ne sono un esempio le pubblicità di questi giorni dove le auto, guidate da autisti distratti, frenano da sole in caso di pericolo. Mark Hansen chiama questo fenomeno feed-forward, cioè informazioni che provengono da una predizione del software.

Il rischio è di rimanere anestetizzati dalla omni-comprensività del software, dalla magia artificiale, da un mondo digitalmente perfetto. Michel Maffesoli, sociologo, docente all'università Renè Descartes di Parigi dichiarava che «ribaltando l'idea weberiana della tecnica come disincanto del mondo» poteva affermare «che oggi la tecnica è il reincanto del mondo». Una intuizione del 1998. Tonino Cantelmi ha identificato i tratti caratteristici di questo atteggiamento in vari libri, come Tecnoliquidità o Avatar.

Al contrario, l'opportunità è utilizzare il software per realizzare le migliori politiche di "custodia del Creato" e sfruttare il tempo così liberato per imparare un nuovo modo di vivere meno alienante, più sereno, più empatico.

Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica? E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia?

Io preferisco Matrix (architettura software) agli X-Men (transumanesimo e/o postumanesimo) e StarTrek (scienza) a Guerre Stellari (mitologia, non me ne voglia nessuno).

Il domani avrà sicuramente un'architettura software. In questo scenario, però, possiamo dotarci di tutti gli strumenti filosofici, sociali o antropologici per agire, attivamente e coscientemente.

La maggiore consapevolezza della tecnologia è un passo fondamentale. Non dobbiamo, però, cadere nell'inganno che la conoscenza determini già un comportamento virtuoso. Ad esempio, rimarrebbero le domande esistenziali, quelle cui rinunciamo a dare risposta ma condizionano le nostre scelte. Anzi, si imporranno con maggiore forza perché più realizziamo nuove scoperte, più aumentano le domande. Multi-verso, entaglement quantistico, spazio-tempo sono a dimostrarci che non siamo in grado di spiegare l'uomo all'uomo.

Non condivido il determinismo conseguente una visione fortemente tecnologica del futuro. Subiamo l'influenza di quello che ci circonda ma non siamo il prodotto di queste forze. Abbiamo la capacità di contrastarle, sfuggirle e cambiarle. Come cattolico, ritengo che il cristianesimo sia ancora il depositario della migliore antropologia possibile e possa ispirare gli interventi sul digitale per renderlo a misura d'uomo.

 

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi.  Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?

Il software sta costruendo un nuovo mondo, un'ontologia direbbe Jarzombek. Usiamo per il software le stesse categoria del divino: fa prodigi ma nessuno sa come, è presente ovunque ma nessuno lo vede, esiste ma non ha dimensioni, sappiamo comprendere il suo linguaggio ma non siamo capaci di eseguirlo…l'elenco è lungo e potrei continuare.

Tra la secolarizzazione, che ha collassato il divino nel presente, e la dimensione spirituale, un tratto naturale presente in tutti, è avvenuta una fusione che ha trasformato il software in una specie di dio. Il risultato è una sorta di contemplazione estasiata del mondo circostante, delle meraviglie della tecnologia, del nascere di una fiducia incondizionata nel digitale.

Al software viene richiesto di mantenere l'armonia del benessere digitale nonostante le mutazioni del mondo fisico: fuori fa freddo ma dentro c'è il tepore, fuori è inquinato ma dentro è salubre. Abbiamo trasformato il software in un dio cui sacrifichiamo la dignità umana in favore di una vita senza problemi.

Questa è la scelta di Cypher nel citato Matrix: ritornare nell'architettura software per anestetizzare le tensioni del quotidiano.

Come cattolico ripeto un insegnamento: «Diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Non dobbiamo rifugiarci nel digitale per sfuggire ad una realtà che è già stata redenta. Non dobbiamo chiedere al digitale un surrogato di felicità cui siamo già destinati. Dobbiamo solo scoprire nell'oggi il futuro migliore cui Dio ci ha destinato.

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boétie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?

Nel 2014 fece scalpore un test sociale di Facebook condotto su 700.000 utenti ignari di quanto stesse loro accadendo. Il social network, alterando positivamente le informazioni fornite, sperimentò il contagio emotivo ovvero la manipolazione del giudizio tramite l'influenza delle informazioni sulle persone.

Pensiamo al RussianGate, alle fake news, alle notizie verosimili ma non vere che girano sulla Rete. Sono sicuramente un pericolo per la democrazia e un affare per i gruppi industriali: orientare le scelte del pubblico verso interessi di parte. Quando parlo di pubblico intendo che su una popolazione mondiale di 7,4 miliardi di persone, gli utenti di internet (senza la distinzione desktop-mobile) sono 3,4 miliardi, per una penetrazione sul totale del 46%. A livello globale, inoltre, ben 2,3 miliardi di persone utilizzano i social media (31% di penetrazione) e 3,8 miliardi di persone utilizzano dispositivi mobile (penetrazione del 51%). Il problema è complesso e di difficile soluzione, specialmente quando i Signori del Silicio si piegano ai potenti, come Google in Cina.

Però è bene sapere che i primi risolutori siamo noi utenti: noi possiamo fermare una fake news, noi possiamo bloccare un video immorale, noi possiamo agire virtuosamente. Possiamo essere etici, avere un atteggiamento critico, esercitare la nostra facoltà raziocinante.

Per tutto questo è necessaria una educazione al digitale.

 

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo  guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

Sherry Turkle virò al pessimismo proprio con Insieme ma soli, pessimismo che io non condivido. Come ho già detto, non credo che i tempi passati fossero migliori anzi, li ricordiamo belli perché eravamo giovani ed ingenui.

Le persone hanno avuto sempre difficoltà a parlarsi altrimenti Antonioni non avrebbe mai fatto un film, Socrate era contrario alla scrittura in favore dell'oralità e della mnemonica, Nicholas Carr pensa che Internet ci instupidisca e per Richard Dawkins basta spegnere un neurone per smettere di credere in Dio… Il digitale non crea abitudini nuove, ma fa sì che alcune abitudini siano socialmente incorporate.

Da questo punto di vista aveva ragione Umberto Eco. Internet da voce anche a chi ieri non sarebbe stato ascoltato nemmeno al bar. Questo, però, non è sufficiente per penalizzare il digitale così come non viene penalizzata la stampa o la televisione quando diffondono la pornografia.

È ancora l'utente ad avere il potere di alimentare o di soffocare questi cattivi comportamenti ed ancora una volta bisogna rilevare la necessità di una educazione per l'era digitale.

Come cattolico, mi sento portatore di valori positivi e perciò responsabile della diffusione di comportamenti virtuosi.

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?

Non sono la persona più idonea per affrontare questo problema.

Penso che il vero centro di attenzione non sia difendere i propri spazi di libertà ma riflettere sui contenuti con cui sono riempiti.

Cosa difendiamo con la privacy? Bisogna avere un comportamento virtuoso sempre ed è questo lo spartiacque del problema. Da un lato il desiderio di essere trasparenti al digitale, anonimi per il software dall'altro il lifestreaming, la ricostruzione della timeline della nostra esistenza, il sentirsi sempre sotto osservazione e sotto giudizio.

Sembra una remora del catechismo ai bambini: «Dio ti vede». Per i bambini, appunto, non per i grandi che non dovrebbero essere ossessionati dalla ricerca di un luogo lontano dagli occhi di Dio, un angolo dove nascondersi. Giovanni, nel vangelo a lui attribuito, dice: «Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate» (Gv 3, 20)

Fuor di metafora, la soluzione non è nell'offuscamento dei nostri dati ma nel pretendere la trasparenza del loro utilizzo. I governi devono farsene carico mentre gli utenti devono premere affinché venga velocemente adottata una legge che garantisca la libertà ai cittadini digitali e l'informazione puntuale tutte le volte che i propri dati devono essere elaborati.

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Molti autori e testi sono già stati citati. Mi sento di suggerire, forse come una provocazione, "La linea obliqua" di Andrea Vaccaro, un visionario cattolico che coniuga digitale e teologia.

Credo che sia importante informarsi sui cambiamenti in atto, guardare il software (algoritmi, intelligenza artificiale …) in modo meno superficiale e distaccato, essere più consapevoli socialmente. È una sfida educativa. Coinvolge tutti nella comprensione della epoca storica che viviamo, la Quarta Rivoluzione Industriale, e nella trasmissione di valori morali (o etici, in base al nostro punto di vista) capaci di orientare una vita digitale virtuosa.

Personalmente, cerco una lettura obiettiva della realtà digitale tenendo come sfondo il Magistero della Chiesa Cattolica. L'idea di una Chiesa fatta di velluti, cariatidi e libri polverosi appartiene ad un passato immaginifico, per nostra fortuna. Al riguardo, una ricerca su Google della lettura cattolica del digitale potrebbe risultare piacevolmente sorprendente.

Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo!

Progetti dedicati alla riflessione filosofica del digitale sono pochi e vanno premiati e conosciuti.

Tiro acqua al mio mulino: bisogna abbattere il pregiudizio che la Chiesa sia contro la scienza e la modernità e quindi è un titolo di merito dare spazio anche alle voci cattoliche come la mia.

 

 

* Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli (Lituania, Lettonia, Estonia)

 

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