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La rivoluzione tecnologica è sotterranea, continua, invisibile, intelligente ( Laura Bonaguro)

La rivoluzione tecnologica è sotterranea, continua, invisibile, intelligente ( Laura Bonaguro)

09 Settembre 2017 Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
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La cultura è appiattita dal business, dalla miriade di prodotti non necessari, dalla supremazia degli oggetti rispetto i servizi. La consapevolezza diffusa dell’utilizzo della tecnologia avverrà solo dopo l’accettazione di modelli e stili di vita virtuosi. Finché resteremo ancorati a uno sterile e deviato concetto di nuovo, a una finta idea di miglioramento, produrremo unicamente spazzatura.

"Diogene […] obiettò una volta che gli si facevano le lodi di un filosofo: “Che cosa mai ha da mostrare di grande, se da tanto tempo pratica la filosofia e non ha ancora turbato nessuno?” Proprio così bisognerebbe scrivere sulla tomba della filosofia della università: “Non ha mai turbato nessuno” (F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III. Schopenhauer come educatore, tr. it. di M. Montinari, in F. Nietzsche, Opere, vol. III, tomo I, Adelphi, pag. 457)."



In questo articolo proponiamo l'intervista che Carlo Mazzucchelli ha condotto con Laura Bonaguro, architetto con esperienze trasversali nel campo del design, della comunicazione e dell'immagine; una passione per la scrittura, in particolare per la poesia, nonché curiosità su ogni forma d'arte.


Sei filosofo, sociologo, piscologo, studioso della tecnologia o semplice cittadino consapevole della Rete e vuoi partecipare alla nostra iniziativa con un contributo di pensiero? .

Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.




Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?

Buongiorno,
sono un architetto con esperienze trasversali nel campo del design, della comunicazione e dell'immagine; una passione per la scrittura, in particolare per la poesia, nonché curiosità su ogni forma d'arte.

Sono cresciuta in una azienda produttrice di arredi e sistemi espositivi personalizzati per la pubblicità sul punto vendita, ora mi dedico alla consulenza e alla formazione.
Nel mio lavoro l'apporto tecnologico è, ed è stato, fondamentale. Verso la metà degli anni '90 ho vissuto il mio primo grande upgrade progettuale passando dal disegno manuale alla stampa tramite CAD. Le arti grafiche si arricchivano di Photoshop, programmi di illustrazione, impaginazione, musica! Nutrivo molto entusiasmo e fiducia nel digitale, fantasticavo mondi incredibili.

Con gli anni è subentrato disincanto e una più attenta considerazione degli strumenti come tali, vuoi per l'eccezionale obsolescenza indotta, vuoi per l'esasperato aspetto consumistico, indifferente alla vita e alle risorse del pianeta.

Il mio rapporto con la tecnologia e l'informazione è ora dissacrante con rispetto, perché nulla va esaltato o demonizzato però preso con le pinze in un costante rapporto dialettico tra artificiale e umano.

Considero ogni lavoro un processo, nel quale convogliano molteplici fattori da collegare armonicamente, e perseguo l’attitudine a operare a più livelli, a sguazzare nel caos, a valutare qualsiasi dettaglio. Un passaggio quasi naturale da progettista.

(Ma non dovremmo esserlo un po’ tutti?)

Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Zizek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?



Stiamo perdendo la dimensione etica dei cambiamenti e dobbiamo riappropriarcene.

Non è solo un problema di decodifica del reale, si rimane in superficie, si semplifica demandando al futuro (o alle istituzioni, politica, posteri) l’esito delle nostre azioni. È una preoccupante mancanza di responsabilità giustificata col profitto, consenso, benessere istantaneo, crescita.

Abbiamo trascurato la capacità di esercitare una visione d'insieme e attutire così i colpi delle variabili nascoste all’interno di ogni impresa.
Viviamo in punti di non ritorno, in acrobazie senza rete. Senza una metafisica della qualità a supporto decisionale.


Non è facile, niente è facile, ma ci meritiamo di tentare, iniziando, ad esempio, “dal primo mattone a sinistra” (Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig), un passo alla volta. È una questione di metodo.

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze. Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

Il termine tecnologia contiene sfumature in virtù dei vari contesti culturali e sociali di appartenenza. Se la decliniamo come sistema di conoscenze in trasformazione (McLuhan), nasce e si sviluppa a partire da scoperte e scelte.

Allora non può essere neutrale. Il problema di governarla, che fa ipotizzare a Kelly una scienza organica capace di una propria spontanea evoluzione, non è diverso da un fuoco che divampa in un incendio incontenibile e, in qualità di sistema probabilistico, nel migliore dei casi ci riserva solo un potenziale per cambiare rotta. Il controllo è una pia illusione.

 

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?



La storia ci tramanda esempi discordanti, le interpretazioni sono spesso distorte. Ci affidiamo a un passato nostalgico, irreale, perché l'incertezza del nuovo crea ansia o false speranze. Immaginare il futuro è una delle doti più stupefacenti dell’uomo, bisogna però affrontare il presente andandogli incontro con verità. 


Se è corretto farsi le giuste domande, è altrettanto vitale cercare risposte sincere. Senza barare, senza narcisismo o pretese di onnipotenza. Senza utilitarismi. Tra gli scenari possibili lavorare per quello migliore.



Secondo alcuni, tecnofobi, tecno-pessimisti e tecno-luddisti, il futuro della tecnologia sarà distopico, dominato dalle macchine, dalla singolarità di Kurzweil (la via di fuga della tecnologia) e da un Matrix nel quale saranno introvabili persino le pillole rosse che hanno permesso a Neo di prendere coscienza della realtà artificiale nella quale era imprigionato. Per altri, tecnofili, tecno-entusiasti e tecno-maniaci, il futuro sarà ricco di opportunità e nuove utopie/etopie. A quali di queste categorie pensa di appartenere e qual è la sua visione del futuro tecnologico che ci aspetta? E se la posizione da assumere fosse semplicemente quelle tecno-critica o tecno-cinica?

E se a contare davvero fosse solo una maggiore consapevolezza diffusa nell'utilizzo della tecnologia? 



Il pensiero critico è probabilmente la posizione più ricca di prospettive. I pericoli esistono, creano confusione, spaventano. Procedere con integrità pronti a mettersi in discussione, credo sia l'atteggiamento indispensabile per affrontare qualsiasi panorama, tecnologico o meno. Poi riconoscere la mediocrità prima ancora di combatterla è un ottimo stato mentale, contribuisce ad abbassare il divario uomo-macchina. La cultura è appiattita dal business, dalla miriade di prodotti non necessari, dalla supremazia degli oggetti rispetto i servizi. La consapevolezza diffusa dell’utilizzo della tecnologia avverrà solo dopo l’accettazione di modelli e stili di vita virtuosi. Finché resteremo ancorati a uno sterile e deviato concetto di nuovo, a una finta idea di miglioramento, produrremo unicamente spazzatura.

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili.

Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi. 
Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?

Una notizia letta di recente mi ha incuriosito: Sukhinver Obhi, un neuroscienziato dell’università dell’Ontario, “scopre che le posizioni di potere influiscono su uno specifico processo neurale: il rispecchiamento, una delle componenti fondamentali della capacità di provare empatia”. Non è tanto un fattore psicologico ma neurologico. In condizioni di potere il nostro cervello si modifica. Il ruolo sembra produrre cambiamenti più o meno reversibili ai nostri processi neurali alla base dei comportamenti ma anche dello stesso pensiero.

Qui si va oltre l'indossare delle lenti, la pervasività sta nel rapporto anziché nell’oggetto (siamo noi a modificarci non la tecnologia a farlo) e non è soltanto una metamorfosi cognitiva, è strutturale. Più ci sentiamo potenti (non necessariamente attraverso gli strumenti oppure crediamo di diventarlo), più siamo soggetti a trasformazioni indelebili dannose.

In un momento in cui istruzione, media e informazione falliscono il compito di veicolare la cultura non ci rimane che l’autocoscienza.



Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc. (si potrebbe citare a questo proposito La Boetie e il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?



Sono d'accordo con Étienne de La Boétie, esiste una perversa sottomissione per essere più appagati e prestanti. O per una ingenua fiducia mal riposta.
È comunque un problema di valori e di etica come dicevo all’inizio. Anche di pigrizia, la complessità è faticosa. E infine di politica, espressione di una sottocultura virale, inadeguata al confronto col mondo.

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali, il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo/guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

I social sono una opportunità abusata e riflettono la nostra limitatezza.

L’antico Giano bifronte, da una parte concede, dall'altra toglie. Difficile fare un bilancio, penso che una buona educazione al loro uso sia mancata, forse inscrivibile nella più globale educazione civica ormai obsoleta quanto sottostimata. Riprenderla nelle scuole in un modo più contemporaneo e partecipativo anziché nozionistico e didattico (che tanto allontana i ragazzi) potrebbe portare frutti inaspettati.

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?

Questo manuale mi ricorda X (Little Brother), romanzo del 2008 di Cory Doctorow, nel quale la tecnologia è trasformata in strumento di controllo in nome della sicurezza. Insomma, un racconto di orwelliana memoria in cui i protagonisti adolescenti, tramite espedienti per eludere telecamere, e testi cifrati, mettono in discussione il confine tra legge e moralità, tra diritti individuali e collettivi.
L’unica difesa efficace forse consiste nell’esercitare la discriminante del buon senso nella frequentazione della rete e nel concedere i propri dati.

Non ho esperienza né numeri alla mano per fare altre considerazioni su fenomeni di hackeraggio. Sembrano aspetti in crescita e di difficile contenimento proprio in virtù di quella democratizzazione e facilità d’uso tecnologica ormai alla portata di tutti, deregolamentata. La mancanza di vincoli limita pure la creatività, non smettiamo di raccontarcelo.



Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Qualcosa di particolare: 
• Enzo Mari, Lezioni di disegno. Storie di risme di carta, draghi e struzzi in cattedra - Rizzoli 2008.
Lezioni (ironiche, polemiche, ma con acume) scritte e disegnate a mano per riflettere sulla progettazione e non disimparare a pensare. Una gradevole compagnia raccontata da chi ha sempre messo in guardia dall'equivoco computer-intelligenza-progresso.

Qualcosa di evergreen:
• Marshall McLuhan, Dal Cliché all'Archetipo, L'uomo tecnologico nel villaggio globale
SugarCoEdizioni 1996.
Per nulla datato, contiene interessanti dettagli sulla pervasività dei messaggi nell'immaginario collettivo. Il mezzo non è neutrale, suscita comportamenti e plasma una certa forma mentis indipendentemente dal contenuto.

Qualcosa di recente:
• Alain Deneault, La mediocrazia 
Neri Pozza, I Colibrì 2017.
 La religione d'impresa, madre della società delle funzioni, ha fagocitato ogni concetto di mestiere e di tecnica/arte/perizia. Consigli per contrastarla.




Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo!

È uno spazio in divenire ricco di spunti.

Non posso che complimentarmi e continuare a frequentarlo.




 * Tutte le immagini di questo articolo sono scatti di viaggio di Carlo Mazzucchelli (Lituania Paesi Baltici, Deserto di Atacama Cile)

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