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Serve una riflessione critica capace di portare a una coscienza diversa sul ruolo della tecnologia

Serve una riflessione critica capace di portare a una coscienza diversa sul ruolo della tecnologia

01 Febbraio 2021 Interviste filosofiche
Interviste filosofiche
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I nostri sé sono networked: c’è un nucleo stabile, ma differenti aspetti di quel sé vengono enfatizzati in situazioni sociali differenti» (p. 391, edizione Guerini Scientifica). Il problema però è che quegli aspetti iniziano a diventare “personaggi” diversi, assistiamo a una sorta di dissociazione di identità. Un mondo networked può offrire alle persone la possibilità di vivere bene, se però sanno come farlo. Una forte consapevolezza di sé e dei propri valori, un atteggiamento critico e una presa di distanza scettica risultano sempre necessari per evitare di soccombere. Ma questo atteggiamento non è qualcosa di naturale, è qualcosa che va sviluppato e allenato costantemente.

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Tutti sembrano concordare sul fatto che viviamo tempi interessanti, complessi e ricchi di cambiamenti. Molti associano il cambiamento alla tecnologia. Pochi riflettono su quanto in profondità la tecnologia stia trasformando il mondo, la realtà oggettiva e fattuale delle persone, nelle loro vesti di consumatori, cittadini ed elettori. Sulla velocità di fuga e volontà di potenza della tecnologia e sulla sua continua evoluzione, negli ultimi anni sono stati scritti numerosi libri che propongono nuovi strumenti concettuali e cognitivi per conoscere meglio la tecnologia e/o suggeriscono una riflessione critica utile per un utilizzo diverso e più consapevole della tecnologia e per comprenderne meglio i suoi effetti sull'evoluzione futura del genere umano.

Su questi temi SoloTablet sta sviluppando da tempo una riflessione ampia e aperta, contribuendo alla più ampia discussione in corso. Un approccio usato è quello di coinvolgere e intervistare autori, specialisti e studiosi che stanno contribuendo con il loro lavoro speculativo, di ricerca, professionale e di scrittura a questa discussione.

In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli ha condotto con Mauro ZamberlanBusiness writer, Web marketing specialist, Consulente filosofico e Giornalista pubblicista


Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica e dell'informazione che viviamo?

Sono Mauro Zamberlan. Come giornalista e consulente di comunicazione e web marketing mi occupo principalmente di business writing, content marketing e brand journalism. A questa attività affianco quelle di counseling filosofico e formazione.

Sin da giovanissimo sono stato attratto dalle nuove tecnologie, soprattutto digitali. Appassionato di fantascienza, sono stato tra i primi “smanettoni” del Commodore 64. Professionalmente ho avuto la possibilità di vedere l’evoluzione del web dai primissimi siti in html fino agli odierni CMS.

Devo ringraziare il mio professore di filosofia al liceo per avermi mostrato come la filosofia fosse una disciplina applicabile a ogni aspetto della vita e per avermi insegnato ad assumere un autentico atteggiamento filosofico.

Secondo il filosofo pop del momento, Slavoj Žižek, viviamo tempi alla fine dei tempi. Quella del filosofo sloveno è una riflessione sulla società e sull'economia del terzo millennio ma può essere estesa anche alla tecnologia e alla sua volontà di potenza (il technium di Kevin Kelly nel suo libro Cosa vuole la tecnologia) che stanno trasformando il mondo, l'uomo, la percezione della realtà e l'evoluzione futura del genere umano. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sugli effetti della tecnologia. Qual è la sua visione attuale dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe essere fatta, da parte dei filosofi e degli scienziati ma anche delle singole persone?

Vista la mia professione ho un atteggiamento che potremmo definire di ottimismo critico e pragmatico. Apprezzo le tecnologie web in quanto permettono alle persone di prendersi meglio cura di sé e questo lo si fa ponendosi il problema di scegliere se, e quale, tecnologia usare, quando usarla e a che scopo.

Come scrivono Lee Rainie e Barry Wellman nel volume Networked, viviamo in un mondo networked ed essere networked non è così inquietante.

L’identità delle persone è networked, ossia un’identità che mostra differenti parti di sé ai diversi segmenti di audience che compongono i network di ciascuno. «Non si tratta di avere sé separati per differenti porzioni dei propri network, o per le interazioni online – contrapposte a quelle offline.

I nostri sé non sono costituiti da personaggi diversi, sono, al contrario, networked: c’è un nucleo stabile, ma differenti aspetti di quel sé vengono enfatizzati in situazioni sociali differenti» (p. 391, edizione Guerini Scientifica). Il problema però è che quegli aspetti iniziano a diventare “personaggi” diversi, assistiamo a una sorta di dissociazione di identità. Un mondo networked può offrire alle persone la possibilità di vivere bene, se però sanno come farlo. Una forte consapevolezza di sé e dei propri valori, un atteggiamento critico e una presa di distanza scettica risultano sempre necessari per evitare di soccombere. Ma questo atteggiamento non è qualcosa di naturale, è qualcosa che va sviluppato e allenato costantemente.

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Il primo effetto è che stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Lo sta facendo attraverso il potere dei produttori tecnologici e la tacita complicità degli utenti/consumatori. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

La tecnologia non è mai stata né neutra né neutrale. Gli sviluppi tecnologici non cadono dal cielo, ma nascono in un contesto storico e psico-socio-culturale, pertanto non possono non esserne “impregnati”. A loro volta influenzano la struttura sociale, il nostro modo di pensare e agire, i nostri stili di vita, ecc.

La tecnologia non è né buona né cattiva, è come un “pharmakon”, un rimedio che intossica o un veleno che cura. Come sottolinea anche Martina Vazzoler in #Homodigitalis (Hoepli, 2020), questa duplicità nei secoli si è tradotta in uno sterile dibattito tra tecno-ottimisti e tecno-pessimisti. Entrambi gli atteggiamenti portano a una stessa conclusione: il disconoscimento della nostra responsabilità. «Entrambe le posizioni nascondono una intrinseca irresponsabilità nei confronti del ruolo che vogliamo imputare alla tecnologia».

Vi è la necessità e l’urgenza di una consapevolezza di questa mancata assunzione di responsabilità. Sono quindi concorde con Naisbitt sull’importanza di una riflessione critica capace di portare a una coscienza diversa sul ruolo della tecnologia. Una maggiore consapevolezza può aiutarci a individuare l’impatto che le tecnologie (digitali e non) hanno sulla nostra vita, sulle nostre scelte esistenziali, sociali e politiche.

 

Secondo il filosofo francese Alain Badiou ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è (chi siamo!) ma quel che viene. Con lo sguardo rivolto alla tecnologia e alla sua evoluzione, quali sono secondo lei i possibili scenari futuri che stanno emergendo e quale immagine del mondo futuro che verrà ci stanno anticipando?

Difficile individuare quale mondo futuro ci attende.

È indubbio che da un lato vi sono degli aspetti positivi: le nuove tecnologie offrono possibilità impensabili fino a 15 anni fa, d’altronde non possiamo notare l’altra faccia della medaglia: la ricerca del senso della vita si riduce a una somma di like, l’autentica narrazione di sé diventa esibizione e ricerca di consenso dei propri follower. Torniamo così alla duplicità della precedente risposta.

Collegandomi alla domanda successiva, perché si avveri uno scenario desiderabile, è auspicabile quanto propone Wilhelm Schmid – professore di filosofia e consulente filosofico tedesco – nel suo libro Filosofia dell’arte di vivere (Fazi Editore, 2014).

Occorre creare le basi di una nuova filosofia dell’arte di vivere.

Con l’espressione “arte di vivere” «si intendono sostanzialmente la possibilità e lo sforzo di condurre la vita in maniera riflessiva, evitando di lasciarsi vivere in maniera inconsapevole. […] La filosofia dell’arte di vivere è ottativa: apre possibilità. […] si sforza di dare un concetto alla vita, di elaborarne il materiale e di presentare i metodi che permettono al singolo individuo di comprendere la sua esistenza e di effettuare le proprie scelte. […] Un individuo in grado di venire a capo della sua propria vita non ha bisogno di sminuire gli altri per poter diventare consapevole delle proprie potenzialità: la comprensione che ha di se stesso non si esaurisce nei confini che definiscono la sua identità».

 

Mentre l'attenzione dei media e dei consumatori è tutta mirata alle meraviglie tecnologiche di prodotti tecnologici diventati protesi operative e cognitive per la nostra interazione con molteplici realtà parallele nelle quali viviamo, sfugge ai più la pervasività della tecnologia, nelle sue componenti nascoste e invisibili. Poca attenzione è dedicata all'uso di soluzioni di Cloud Computing e ancora meno di Big Data nei quali vengono archiviati miliardi di dati personali. In particolare sfugge quasi a tutti che il software sta dominando il mondo e determinando una rivoluzione paragonabile a quella dell'alfabeto, della scrittura, della stampa e di Internet. Questa rivoluzione è sotterranea, continua, invisibile, intelligente, Fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi. Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?

Un atteggiamento riflessivo porta a rendersi conto delle lenti che stiamo indossando.

La tecnologia nelle sue diverse modalità (biotecnologie, nucleare, Big Data, criptovalute, ecc.) è in sé sia buona che cattiva e siamo noi a poter enfatizzare queste sue valenze intrinseche normandone l’uso. Naturalmente entra in campo anche un discorso politico.

Per lo storico Luciano Canfora (Filosofia per i prossimi umani, edizioni Giunti, 2020) un possibile anticorpo alla mostruosa raccolta di dati su tutto e tutti da parte delle grandi techno-corporations è la memoria. Se non ci sforzeremo di ricordare, per una sorta di pigrizia mentale, ben presto saremo prigionieri di chi detiene le informazioni. La memoria diventa uno strumento capitale di libertà.

 

Se il software è al comando, chi lo produce e gestisce lo è ancora di più. Questo software, nella forma di applicazioni, è oggi sempre più nelle mani di quelli che Eugeny Morozov chiama i Signori del silicio (la banda dei quattro: Google, Fcebook, Amazon e Apple). E' un controllo che pone il problema della privacy e della riservatezza dei dati ma anche quello della complicità conformistica e acritica degli utenti/consumatori nel soddisfare la bulimia del software e di chi lo gestisce. Grazie ai suoi algoritmi e pervasività, il software, ma anche la tecnologia in generale, pone numerosi problemi, tutti interessanti per una riflessione filosofica ma anche politica e umanistica, quali la libertà individuale (non solo di scelta), la democrazia, l'identità, ecc.(si potrebbe citare a questo proposito La Boétiee il suo testo Il Discorso sulla servitù volontaria). Lei cosa ne pensa?

Sono tutti problemi molto importanti, che andrebbero affrontati anche da un punto di vista politico.

Nel volumetto Io&Tech di Massimiano Bucchi (Bompiani, 2020) sottolinea come società e politica abbiano inconsapevolmente accettato a lungo come dati di fatto tre aspetti per nulla scontati: in primis che le tecnologie di facile uso individuale fossero gestite da privati in regime di sostanziale monopolio e in condizioni da rendere inefficaci i tradizionali meccanismi di regolazione. Il secondo equivoco è la presunta gratuità di servizi, come email, social media, ecc.: in realtà ogni utente per usarli deve cedere dati e informazioni personali. Il terzo equivoco è la presunta sovrapposizione tra accessibilità e trasparenza. La politica non può presentarsi all’appuntamento con lo sviluppo tecnologico sprovveduta e disarmata. Dobbiamo chiederci quale futuro desideriamo per le nostre città, il nostro tessuto culturale, commerciale, ecc.

Quando la tecnologia ci domanda se vogliamo comunicare più rapidamente, sapere di cosa stanno palando gli altri, mostrare i nostri acquisti agli amici, ecc., la risposta appare scontata e apparentemente innocua. Invece dobbiamo chiederci “perché?”.

Se non lo facciamo rischiamo che sia «la tecnologia a farci scivolare in tasca le risposte prima ancora di averci dato il tempo di fare le domande».

 

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo  guadagnando da una interazione umana e con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

Facendo riferimento al presente i social network ci permettono di mantenere una dimensione di socialità nonostante la pandemia. Si tratta di relazioni più deboli ma comunque importanti.

Occupandomi di comunicazione concordo con Sherry Turkle nel constatare che stiamo perdendo quelle competenze linguistiche che rendono possibile l’espressione di emozioni e stati d’animo ad esempio.

Più volte nella mia pratica di counseling filosofico ho riscontrato che le persone hanno difficoltà a nominare ciò che provano. Del resto la libertà di una persona passa dalla sua capacità di padroneggiare le parole che utilizza per rapportarsi con il mondo che la circonda.

 

In un libro di Finn Brunton e Helen Nissenbaum, Offuscamento. Manuale di difesa della privacy e della protesta, si descrivono le tecniche che potrebbero essere usate per ingannare, offuscare e rendere inoffensivi gli algoritmi di cui è disseminata la nostra vita online. Il libro propone alcuni semplici comportamenti che potrebbero permettere di difendere i propri spazi di libertà dall'invadenza della tecnologia. Secondo lei è possibile difendersi e come si potrebbe farlo?

È possibile difendersi innanzitutto conoscendo le strategie che vengono messe in atto dagli algoritmi, e volumi come quello di Finn Brunton ed Helen Nissenbaum sono utili in tal senso.

Basilare è assumere quell’atteggiamento di maggiore consapevolezza che è stato citato più volte in questa intervista. Atteggiamento che consiste nella capacità di una persona di rapportarsi a se stessa e al suo mondo da una prospettiva più critica, ampia e profonda.

Per critica intendo una prospettiva che include la consapevolezza di credenze, opinioni, presupposizioni e della possibilità di indagarle, esplicitarle, invece di prenderle per ovvie o scontate.

Per profonda intendo una prospettiva che comprende una varietà di considerazioni e modi alternativi di affrontare una questione o un problema: un insieme di idee (principi, concetti, presupposti, questioni, ecc.) che si connettono in reti complesse, formando quella che possiamo chiamare “visione del mondo”. L’obiettivo è quello di allenarsi ad assumere un atteggiamento mentale che non dà mai nulla per scontato, definitivo, immodificabile, che ha sempre la voglia e la curiosità di chiedersi: “perché?”. Non è un processo di sola riflessione astratta, è una vera e propria pratica di vita. È un processo costante e continuo. Facile? No. Impegnativo? Molto.

Come possiamo fare in modo che la consapevolezza che maturiamo, i cambiamenti nei nostri pensieri intervengano nel momento opportuno? Attraverso l’allenamento, l’esercizio: non si impara a vivere secondo certi pensieri o una certa “visione del mondo” se non esercitandosi a pensare quei pensieri, a pensare quella visione del mondo. Solo attraverso la pratica e l’esercizio, un pensiero, un atteggiamento diventa abituale.

L’obiettivo è quello di «conficcare in se stessi» quei discorsi veri e razionali a cui approdiamo, «di equipaggiarci di pensieri salutari che siano quindi a portata di mano, che si presentino da sé quando servono, che ci vengano in soccorso spontaneamente e automaticamente all’occorrenza, per non venire turbati e travolti dagli eventi e dalle passioni». In altre parole l’obiettivo è di «trasformare i pensieri in matrici d’azione»[1].

 

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Durante l’intervista ho citato vari volumi che ritengo siano utili da leggere. Penso che raccogliere gli interventi più significativi, proponendo la pubblicazione a un editore “tradizionale” potrebbe dare ancora un’ulteriore visibilità al progetto.

Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo!

Trovo sia un sito ricco di spunti e riflessioni. Consigli per migliorarlo? A mio parere si potrebbe puntare sui formati video e podcast per incrementare la diffusione dei contenuti e coinvolgere così un più ampio pubblico.


[1]D’Angelo M. (2008), Esercizi filosofici ed esercizi di senso, in Berra L.E. e D’Angelo M., a cura di, Counseling filosofico e ricerca di senso, Liguori Editore, Napoli, pp. 64-65

 

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