In questa era digitale abitiamo realtà parallele, virtuali e fattuali, vissute tutte come reali, forse ci sentiamo in gabbia. La realtà si è popolata di macchine capaci di decidere da sole, reti di oggetti interconnessi e capaci di parlare tra loro, auto senza pilota, assistenti virtuali, algoritmi che decidono per noi e intelligenze artificiali. Di fronte alla potenza e alla bellezza della tecnologia siamo tutti affascinati, attratti e coinvolti, come individui, aziende e organizzazioni. Anche sul fronte dell’innovazione.
Le nuove tecnologie hanno un impatto fondamentale, in termini di efficienza ed efficacia, nel rendere perseguibile l’innovazione in ambiti diversi: collaborazione, trasformazione digitale, management, processi e modelli di business. Grazie alle nuove tecnologie ogni realtà imprenditoriale può agire su vari fronti: intelligenza e conoscenza, prevedibilità degli scenari futuri e visione, interazione e collaborazione. Ognuno di questi ambiti può trarre vantaggio da tecnologie specifiche: Big Data, analytics, IoT, realtà aumentata e modellazione, digital workplace, e-learning, IA, Blockchain, ecc.
L’Italia continua a scontare la sua arretratezza in ricerca e innovazione e a poco è servito il lancio dell’industria 4.0. A eccezione di un piccolo gruppo di imprese innovative l’imprenditorialità italiana non brilla per investimenti in ricerca e innovazione, forse manca la cultura. Il gap con le altre nazioni europee si sta allargando con conseguenze facilmente prevedibili. I problemi sono noti: scarse risorse per la ricerca, la scienza, l’università e la formazione, il taglio di fondi pubblici, il mercato del lavoro, la scarsa produttività, l’adattamento verso il basso, la carenza di infrastrutture.
In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli ha condotto con Fabrizio Zizza, Senior Innovation Manager at NTT DATA Italia
Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica che viviamo? Qual è il suo rapporto con le tecnologie e quale l’uso che ne fa nelle sue attività lavorative (antropologia digitale)? Come è cambiato l’ambito della sua attività nell’era digitale?
Buongiorno a tutti voi!
Mi sono laureato nel 1989 in Scienze dell’Informazione presso l’Università degli Studi di Milano, con una tesi nell’ambito delle reti per trasmissione di flussi multimediali. Ho iniziato la mia attività lavorativa in Italtel, alla quale sarò sempre grato per avermi consentito di svolgere una vera attività di ricerca in ambito europeo, partecipando attivamente ai programmi finanziati dall’Unione Europea e gestendo progetti nell’ambito della creazione e fornitura di servizi su reti a larga banda.
Sono poi passato a Siemens ed a Nokia Siemens Networks, nelle quali ho svolto ruoli manageriali in ambito R&D, coordinando il reparto di System Engineering per le funzionalità di accesso radio GSM. Nel 2010 sono entrato in Value Team, poi confluita in NTT DATA Italia.
Ho gestito grossi progetti in ambito nazionale ed internazionale ed ora, nell’ambito della funzione di Innovation, mi occupo della valorizzazione degli asset derivanti sia da attività di ricerca interne che dalla collaborazione con startup innovative.
Sono un appassionato di tecnologia, che permea le mie attività lavorative e private.
Trovo che sia davvero in grado di migliorarci la vita, soprattutto quando è talmente avanzata da essere “discreta”, permettendoci di interagire in maniera “trasparente”, in modo naturale e senza eccessi che creano barriere soprattutto per i non nativi digitali. In ambito lavorativo, per chi come me ha iniziato nell’era dei fax e dei monitor a fosfori verdi, il miglioramento è stato continuo ed esponenziale, consentendo di raggiungere livelli prima impensabili di produttività ed organizzazione del lavoro. Ovviamente la tecnologia deve essere usata in modo appropriato; penso ad esempio agli abusi nell’utilizzo delle e-mail.
Direi di iniziare con una definizione di innovazione, sempre che ce ne sia bisogno. La parola è polisemica, si presta a interpretazioni diverse dalle quali possono derivare definizioni e concettualizzazioni confuse (per esempio, il progresso e la produzione di senso che determina non sono assimilabili tout court all’innovazione, una innovazione non produce necessariamente il meglio!). Innovazione si collega a concetti come creatività, elaborazione di nuove idee e nuovi modi di pensare, immaginazione, gestione del cambiamento, competitività, creazione di valore per l’organizzazione e gli stakeholder, capacità implementativa, trasformazione digitale. Cosa significa per lei innovazione e come la definirebbe?
L’innovazione si può definire in molti modi, senza mai perdere di vista i valori di crescita e miglioramento ai quali si ispira. La vera innovazione crea nuove soluzioni in grado di migliorare la società.
Mi piace in particolare definire l’innovazione come il processo che mettiamo in atto nel rendere comprensibile e fruibile per l’adattabilità umana, che lavora in termini lineari, l’avanzamento tecnologico, che per sua natura è invece un processo esponenziale. Perché l’innovazione sia utile dobbiamo riuscire a comprenderne le dinamiche e metabolizzarne i risultati, favorendo una crescita continua e mantenendo la necessaria visione d’insieme.
Questo è il nostro lavoro quotidiano nell’ambito dell’innovazione.
Il futuro non è prevedibile ma, sfruttando il pensiero immaginativo, si possono interpretare i segnali di futuro emergenti e creare scenari futuri per poi progettarli. Saper anticipare questi scenari, cavalcare in anteprima le tendenze emergenti, comprendere per tempo i mutamenti evolutivi e i cambiamenti in formazione, è diventato urgente, quasi una necessità. A rendere tutto ciò possibile sono persone dotate di immaginazione, capaci di tradurre le loro visioni in progetti e narrazioni condivise. Lei cosa pensa? Che ruolo hanno secondo lei l’immaginazione e la creatività ma soprattutto le persone coinvolte nei processi di innovazione?
Il ruolo delle persone è fondamentale, la storia lo insegna.
Oggi, grazie alla tecnologia, abbiamo la possibilità di condividere i risultati della ricerca e collaborare su scala molto elevata. La co-innovazione e la co-creazione rappresentano secondo me il vero salto di qualità della ricerca contemporanea, che è il risultato dell’unione di molte menti, meno legata all’idea geniale del singolo individuo che ha spesso caratterizzato il passato. In questo modo possiamo progredire sempre più velocemente e rendiamo anche più semplice replicare il risultato del nostro lavoro
L’accelerazione imposta dalla tecnologia obbliga tutte le aziende e le organizzazioni a innovare e a investire nella trasformazione digitale. L’urgenza nasce dalla necessità di stare al passo con un mercato in costante mutamento e di rimanere competitivi, in contesti sempre più globalizzati dalla tecnologia. Quanto è urgente secondo lei sapere innovare? Perché molte aziende, pur percependone l’importanza, mostrano difficoltà nel farlo (investimenti, risorse, abilità, talenti, ecc.), soprattutto in modo efficace? E’ un problema di cultura, di ecosistemi abitati, di contesti presidiati, di leadership o di governance?
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
Sapere innovare è indubbiamente fondamentale per qualsiasi azienda interessata a restare sul mercato. L’innovazione in azienda non è un lusso, è una necessità. Chi, in momenti di difficoltà come questo, riesce a salvaguardare gli investimenti nell’innovazione pone le basi per un futuro prospero.
A volte si pensa troppo a breve termine; servono invece visione prospettica e pensiero strategico. E poi serve saper sbagliare: anche dai fallimenti otteniamo tantissime informazioni; sbagliare presto significa capire per tempo quali sono i percorsi sbagliati e questo ci evita di investire grossi capitali in soluzioni che non sono state validate a sufficienza. Nelle aziende i talenti ci sono; è necessario saperli valorizzare, organizzando hackathon e challenge come facciamo noi, per coinvolgere tutti ed individuare le idee vincenti.
In azienda si può innovare in vari modi, dalla composizione di un portafoglio prodotti e servizi che soddisfi le motivazioni all’acquisto dei clienti, a iniziative finalizzate a minimizzare costi e risorse, al monitoraggio attento delle varie filiere produttive, all’uso efficiente dei Big Data. Nessuna innovazione esiste però senza cultura. Per innovare non bastano buone idee, spirito imprenditoriale o capacità di adattamento e cambiamento. Serve una cultura innovativa, in grado di favorire l’emergere delle spinte innovative, di alimentare nuove idee e favorire l’adozione delle migliori perché funzionali e profittevoli per l’azienda e l’organizzazione. Lei cosa ne pensa? Quale cultura aziendale è necessaria per far evolvere o cambiare vecchi metodi, modelli, processi, procedure e coinvolgere ogni stakeholder nel processo di innovazione?
Credo che la job rotation sia molto importante; la permanenza in un ruolo specifico per un tempo troppo elevato tende a spegnere la capacità delle persone di innovare costantemente nell’ambito della propria attività, in quanto acquisiti gli strumenti di base spesso si procede con una sorta di pilota automatico, ripercorrendo sempre gli stessi passi. Poi è importante coinvolgere tutti tramite ad esempio strumenti come gli hackathon, che aiutano le persone ad uscire dal quotidiano per misurarsi con nuove sfide.
E’ molto importante anche la contaminazione con idee esterne all’azienda. In NTT DATA seguiamo un modello di open innovation, nel quale lavoriamo insieme ai nostri clienti, alle startup innovative ed al mondo della ricerca universitaria, per cogliere nuovi spunti e mantenere sempre nuova l’offerta aziendale.
Uno degli approcci usati per favorire l’innovazione in azienda è l’attivazione di laboratori dedicati alla innovazione, separati dalle principali componenti operative aziendali. Strumenti utili per incoraggiare interventi radicali (disruptive) di cambiamento, eliminando passaggi burocratici e offrendo alle persone coinvolte la libertà di mettere in discussione l’esistente e immaginare scenari futuri. Cosa pensa dei laboratori per l’innovazione? Quanto sono efficaci e utili all’interno di un processo complicato come quello dell’innovazione? E se invece l’innovazione fosse alla portata di tutti, nel loro ruolo aziendale, e in base a professionalità e abilità individuali?
Sono sicuramente strumenti utili, perché permettono di creare tempi e luoghi dedicati all’innovazione. Non possiamo però prescindere dalla valorizzazione del quotidiano, stimolando le persone con nuove attività, coinvolgendole nella creazione di idee ed esponendole al pensiero esterno.
L’innovazione è un processo che, a partire dall’analisi del contesto, aiuta a comprendere la necessità del cambiamento e innesca quanto serve per attuarlo. Innovare è mettersi in viaggio verso nuove destinazioni e mete, accettare il rischio e le sfide che ne derivano, aprirsi in modo creativo al nuovo, al sorprendente e a scenari diversi. L’accelerazione al cambiamento imposta dalla volontà di potenza della tecnologia impone a tutti, liberi professionisti, piccoli artigiani e negozianti, PMI, grandi aziende e organizzazioni pubbliche e private di investire in innovazione. Secondo lei in che modo potrebbe essere intrapreso questo viaggio? In solitudine o in compagnia di esperti, associazioni di categoria, ambiti (per es. parchi tecnologici) dedicati alla innovazione? In forma auto-organizzata o dentro progettualità, ecosistemi sostenuti da investimenti statali?
Sono tutti strumenti importanti.
Personalmente io credo molto nel lavoro di gruppo e non ritengo troppo plausibile l’innovazione fatta in solitudine nell’era moderna; ci può sempre essere il lampo di genio, ma per essere sviluppato adeguatamente richiede sempre collaborazione e confronto.
Quindi ben venga il viaggio in solitudine se si vuole riflettere su qualcosa o far sedimentare qualche idea, ma poi dobbiamo portare il risultato nel gruppo, perché solo con il contributo di altri riusciamo a dare forma completa all’idea. Gli investimenti sono molto importanti, perché ci consentono di sperimentare le tecnologie nelle loro fasi iniziali, discriminando così per tempo le buone idee da quelle fallimentari. Non sempre serve investire moltissimo; a volte un piccolo progetto può darci le informazioni basilari per prendere decisioni strategiche che si riflettono su valori economici superiori di ordini di grandezza.
L’innovazione è un ambito competitivo nel quale si confrontano entità (aziende, leader, manager, individui) e alternative diverse. A fare la differenza sul processo di innovazione e sulla sua diffusione (sempre interconnessi) è la coesistenza di processi e variabili differenti, spesso non prevedibili, che condizionano le scelte, le strategie, gli investimenti e i progetti (percorsi). Per innovare serve consapevolezza (devo innovare ma non so come fare) e conoscenza, interesse (le informazioni che ho non mi bastano) e capacità decisionale, saper valutare (proiezione dell’innovazione nel futuro), sperimentare implementando prima di confermare, adottare e diffondere. Lei cosa pensa? E’ corretta questa visione o ce ne sono di alternative? Quali sono le criticità da considerare e quando una innovazione può essere considerata di successo (compatibile, sperimentabile, osservabile e percepibile, diffondibile)?
Dal mio punto di vista per fare una buona innovazione non basta avere buone idee; bisogna anche saperle valutare, sperimentare e nel caso realizzare. Servono quindi immaginazione, visione, intuito, capacità tecniche e capacità manageriali. Anche per questa ragione, come accennavo prima, sono convinto che l’innovazione sia un lavoro di gruppo. Secondo me l’innovazione di successo è quella che viene adottata dalla società. Abbiamo visto idee che sembravano ottime sulla carta, ma che poi non hanno riscosso il successo previsto.
Il panorama del mercato dell’era tecnologica vede aziende tradizionali competere con aziende innovative e startup. Ha ancora senso questa classificazione in una fase di sviluppo dalle dinamiche pervasive e accelerate, determinate anche dalla irresistibile evoluzione delle nuove tecnologie? Non dobbiamo forse cambiare categorie per reinterpretare in modo diverso i mutamenti che stanno emergendo in ambito economico, aziendale, organizzativo e sociale? Con categorie mutate in che modo potremmo valutare l’innovazione nelle tre tipologie di aziende sopra menzionate? Non è forse meglio distinguere tra aziende che sono consapevoli dell’impatto della tecnologia e aziende che perseverano nella loro visione ancorata al passato negandosi in questo modo di leggere i segnali di mutamento emergenti?
Premesso che un’azienda che non ha una visione chiara dell’impatto della tecnologia è destinata a non rimanere sul mercato, in NTT DATA crediamo molto nella collaborazione con le startup innovative, che costituiscono uno dei volani del rinnovamento continuo della nostra offerta aziendale, e valorizziamo le differenze che esistono fra noi.
Con le startup abbiamo perfetta complementarietà: loro portano tecnologie che non abbiamo, oppure verticali specifici già pronti costruiti su tecnologie di base che anche noi conosciamo bene, e noi le consolidiamo, le integriamo in soluzioni più ampie e le portiamo sul mercato, raggiungendo un parco clienti molto vasto e garantendo ai nostri clienti la bontà della soluzione. E’ una collaborazione nella quale tutti vincono.
Molte aziende hanno creato posizioni e aziendali dedicate all’innovazione. L’innovation manager è diventato una figura professionale ricercatissima sul mercato delle competenze. Secondo lei l’innovation manager con le sue competenze può aiutare le aziende nel percorso verso la trasformazione tecnologica e digitale attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie abilitanti? Che ruolo ha l’innovation manager in azienda? E’ il regista dell’innovazione o semplice elemento stimolante che, con la sua apertura mentale, capacità di diffondere conoscenza e far circolare nuove idee, contribuisce a mettere in discussione l’esistente e a far emergere gli scenari futuri? Non tutte le aziende e le organizzazioni sono pronte per affidarsi a un innovation manager. Quali secondo lei lo sono e perché?
Dipende molto dall’azienda. In un contesto nel quale l’innovazione non fa ancora parte integrante della cultura aziendale l’innovation manager può senz’altro aiutare a creare lo stimolo iniziale necessario ed a costruire la giusta cultura. Quando invece l’azienda ha già una forte base innovativa la figura dell’innovation manager può a mio avviso essere integrata in altri ruoli.
Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?
Colgo volentieri l’occasione per invitare alla lettura del libro scritto dal nostro CEO Walter Ruffinoni, “Italia 5.0 – un nuovo umanesimo per rilanciare il Paese”. E’ assolutamente attuale e presenta il nostro pensiero con una sintesi molto lucida.
Molto ben strutturato e di facile utilizzo. Mi riconosco senz’altro in molti punti del manifesto.