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La fisiognomica, questa sconosciuta: come rimanere gentilmente umani

La fisiognomica, questa sconosciuta: come rimanere gentilmente umani

07 Settembre 2021 Anna Maria Palma
Anna Maria Palma
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Questa estate mi è capitato di riflettere su questa parola, fisiognomica, sul suo significato.

Ecco la definizione della Treccani
“Fisiognomica (o fisiognomonica, fisiognomonia). - Il nome greco di ϕυσιογνωμονία (riconoscimento, interpretazione della natura") fu per la prima volta usato da Aristotele per designare la scienza che deduceva i caratteri spirituali degl'individui dal loro aspetto corporeo, e particolarmente dai tratti del loro volto.
Di qui l'origine di una lunga tradizione di scritti (tra i quali possono essere ricordati come più notevoli i Physiognomische Fragmente di J. K. Lavater, del 1775-78, e la Psychische Anthropologie di G. E. Schulze, del 1819) che mirò ad approfondire tali ricerche, in servizio della filosofia morale e in genere della precettistica pratica. Il fine conoscitivo della fisiognomica venne invece a invertirsi quando essa si orientò non più verso la deduzione dell'interno dall'esterno, dei caratteri morali da quelli somatici, bensì verso l'opposta determinazione dei caratteri esteriori che dovessero corrispondere a date passioni o atteggiamenti spirituali: ne nacque la teoria dell'"espressione" come elemento della tecnica delle arti figurative. Ma con ciò venne anche cadendo in disuso l'antico nome della scienza, che finì per trasferirsi - mediante il trapasso di "fisiognomonia" in "fisionomia" - a quella realtà che ne era stata l'oggetto principale.”

Mi sono ricordata di una canzone di Franco Battiato che non riporto per intero, solo qualche verso iniziale, già significativo:

Leggo dentro i tuoi occhi

da quante volte vivi

dal taglio della bocca

se sei disposto all'odio o all'indulgenza

nel tratto del tuo naso

se sei orgoglioso fiero oppure vile

i drammi del tuo cuore

lì leggo nelle mani

nelle loro falangi

dispendio o tirchieria.

Da come ridi e siedi

so come fai l'amore

quando ti arrabbi

se propendi all'astio o all'onestà

per cose che non sai e non intendi

se sei presuntuoso od umile

negli archi delle unghie

se sei un puro un avido o un meschino.

Senza rimanere così vincolati all’analisi di Battiato, e neanche a quelle di numerosi studiosi sul tema, come Paul Ekman ad esempio, ho riflettuto molto su come le persone si sono adeguate in questi ultimi tempi al saluto e all’uso della mascherina.

Ho rifiutato categoricamente, seppure gentilmente “la gomitata”, qualcosa del genere, solo perché vista in televisione immediatamente adottata per evitare il contatto con le mani o anche l’abbraccio, ma neanche rispettosa di quella distanza che ci è stato richiesto di mantenere.

Ho adottato il mio saluto personale, uno sguardo di accoglienza, un breve inchino del capo per indicare rispetto o la mano sul cuore guardando la persona incontrata, mettendo nel mio sguardo un sorriso e l’intensità possibile, a seconda del livello di prossimità.

E sono rimasta io, non omologata, felice di continuare a stare connessa con la mia unicità e connessa in presenza con le persone incontrate.

La mascherina, non più questa sconosciuta, purtroppo.

La considero un presidio sanitario, quindi benissimo quella acquistata in farmacia, con il materiale previsto e del colore stabilito.

Nessuna ricerca di colori in tonalità del vestiario o dei capelli, non ricerca di “trucchi” per renderla umana con le labbra o con il sorriso stampati, né il simbolo della squadra del cuore o del partito.

Ma va bene anche questo se per qualcuno diventa un modo per esorcizzare quanto sta accadendo e considerare così la mascherina un accessorio “alla moda”.

Preferirei continuare a ritenerla un presidio sanitario e vorrei con questo augurarmi che non debba venire a far parte per sempre del nostro quotidiano.

Penso alle centinaia di professionisti costretti per lavoro ad indossarla e per tante ore.

Ma fra le persone che incontro ho notato come viene portata, arrivando così alla fisiognomica: all’orecchio, al polso, al gomito, al braccio, ma la posizione che mi lascia perplessa e quella “sotto bazza”!

Trascuro il fatto di averla vista al mare anche come “passata” sui capelli!

 mascherine

 

Non voglio qui considerare chi la tiene irregolarmente, sotto al naso o addirittura sotto le labbra.

E guai a far notare questo nei mezzi pubblici o nei negozi.

 

Nel mio marsupio, nella mia borsa ci sono sempre due mascherine.

Quando devo indossarla la tiro fuori e la indosso come si deve: a coprire bocca e naso.

E una volta che posso toglierla, la ripongo nell’apposita custodia: non desidero che venga a far parte della “mia fisiognomica”.

Ma soprattutto ho molto a cura l’igiene del mio naso, di quello che respiro e della mia bocca.

Quelle “sotto bazza” soprattutto (magari di una persona barbuta), ma anche al braccio o al polso, penso che possano diventare un ricettacolo molto probabile di germi e virus di altra specie: non sarà Covid, ma…

 

 

In questo momento in cui le diatribe sul vaccino, sul passaporto verde occupano tanta parte del nostro quotidiano, per non pensare a quanto sta accadendo a carico di violenze umane in Afghanistan o violenze della natura, uragani e terremoti in altre parti del mondo, perché mi metto a parlare di questioni come la fisiognomica?

Chi mi conosce, chi mi legge sa che da qualche tempo sto prendendo le distanze da disquisizioni altamente filosofiche sempre utili per “dare aria al cervello”, come ama dire un caro amico, ma che corrono il rischio di rimanere talvolta, fini a se stesse

Sono invece gentilmente ostinata ad applicare le buone pratiche nel quotidiano, nelle azioni di tutti i giorni, a cercare di rimanere umani quando ci incontriamo. Sono tantissime le occasioni, le interazioni dove la gentilezza si manifesta nei più piccoli genti, nelle più piccole attenzioni nelle quali continuiamo a rimanere persone.

E preserviamo la nostra dignità e lo facciamo ristabilendo connessioni profonde che rendono l'incontro, sia di persone che on line, sempre di una qualità che fa bene al cuore e ci continua a far sentire simili e, in quanto tali, ancora più insieme..

Ho scritto tanto sulla presenza on line, sui sensi che ci permettono di garantire la qualità delle interazioni umane: Effetto cielo in una stanza, ovvero le relazioni asimmetriche.

Sempre rispettosi della propria unicità, di quella degli altri mantenendo integra per quanto possibile la relazione umana e quindi prendendosi anche cura della fisiognomica che poi rappresenta il modo di interpretare la realtà, di restare fedeli ad un saluto affettuoso anche a distanza e, nel rispetto di questa, evitare accuratamente di assumere mode e modalità che poco hanno a che fare con l’affettività e con il cuore.

Modalità che finiscono per testimoniare il nostro modo di vivere, di stare al mondo, possono diventare una verifica di quanto siamo capaci di mantenere fede ai valori, di quanto profondo sia per noi il fattore umano, il senso di persona.

Quel senso di, di cui scrive Maurizio Spaccazocchi:

 «...ci porta subito alla valorizzazione del concetto di persona: persona, maschera, pròsopon (dal greco di fronte) e òpis (allo sguardo).

Persona è chi mostra lo sguardo nei confronti dell’altro.

Siamo persone perché qualcuno ci guarda.

Agiamo come persone quando ci voltiamo verso l’altro e con l’atto di volgerci mostriamo il nostro volto all’altro.”

 Si parla tanto di libertà e di libertà di scelta, ma poi non la esercitiamo nelle cose più piccole, ci sembrano dettagli inutili, attenzioni che non possono cambiare il fuori.

Allora preferiamo adeguarci, senza mantenere un pensiero critico, incapaci di “oltrepassare” e scegliere di adottare quei piccoli accorgimenti e comportamenti che possono fare la differenza, che ci fanno rimanere persone, nonostante ogni nonostante.

Preservando così tutto quello che è in nostro potere per garantire che l’incontro con l’altro mantenga quelle caratteristiche di affettività e di relazione.

 

Così anche la cosa comune invita al silenzio e

il nostro incontro rimane la meta della libertà:

il luogo indefinito, in un tempo indefinito,

la parola indefinita per l’uomo indefinito.

Jacob Levy

 

 

 

 

 

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