PRECARIO

01 Gennaio 2022 Etica e tecnologia
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precàrio [dal lat. precarius, «ottenuto con preghiere, concesso per grazia», derivato di prex precis «preghiera»]. Incerto, non sicuro, soggetto a subire, da un momento all’altro, un cambiamento, un peggioramento. Che o chi ha un rapporto di lavoro temporaneo senza garanzie di stabilità o continuità, legato a un contratto a termine.

"La parola precario viene dal latino "prex", preghiera. Precarium vuole dire dunque ottenuto con preghiere, per volontà e concessione di altri, per grazia. E di ciò i precari della scuola ne sanno qualcosa..." - Silvana La Porta

[pre·cà·rio] 

Se molti si sentono precari è perché si trovano a vivere dentro un mondo del lavoro allo sfascio. Una realtà globalizzata, da alcuni paragonata a un grande parco giochi, un ottovolante esistenziale, tutta votata all’imprenditorialità e all’innovazione ma che è diventata sempre più precaria per un numero crescente di persone. Persone ingannate, sfruttate, schiacciate dentro il dualismo imprenditorialità e precarietà, in esperienze caratterizzate da entusiasmo (una su cento ce la fa) e tanta paura (e se non ce la si fa?) oltre che incertezza, disillusione, assenza di futuro e tanta ansia. I precari sono una categoria sociale in costante aumento (lo stato attuale delle cose! Così va il mondo!), anche tra persone non più giovani, dentro una realtà già precaria di suo per l’emergere di crisi continue, non solo economiche ma globali, di sistema e paradigmatiche.  

Precario/a è chi vive una situazione di precarietà lavorativa accidentata raccontandosi o lasciandosi raccontare come imprenditore/imprenditrice (aspirava a fare il manager oggi consegna hamburger a domicilio e ha la partita IVA). Ha il baricentro professionale fissato sulla propria persona perché non può contare sulle imprese (molte si definiscono agenzie) con cui collabora e per questo preferisce pensarsi come imprenditore e azienda, anche senza avere alcuna azienda.

Precari possono esserlo o diventarlo tutti. Ne deriva un malessere diffuso che in molti casi degenera in patologie derivate dal non sentirsi realizzati, dal non essere mai sicuri, condannati a vivere (sopravvivere alla) la vita senza poterla progettare (Geert Lovink). Obbligati a prendersi continuamente dei rischi (le narrazioni mediatiche sul cambiamento lo richiedono) e cura di sé stessi. 

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Precario/a è chi si racconta ipocritamente come imprenditore, creativo (Stay foolish, stay hunger…come se tutti potessero essere Steve Jobs!), startupper ma che in realtà vive rinchiuso in un gioco di ruoli nel quale si ritrova a giocare, spesso inconsapevolmente, la parte del creativo, dell’innovativo, dell’imprenditore di sé stesso, del titolare di un McJob (Low paid job with few prospects – Oxford Dictionary) del free-lance ma che poi, per sopravvivere, è obbligato/a a fare il rider serale, per una delle molte società di delivery che sulla precarietà hanno costruito il loro modello di business e i loro profitti, prestare la voce (voice over) per contenuti audio, scrivere articoli per 10/15 euro, impegnarsi in attività di crowdfunding nella speranza di ottenere i finanziamenti necessari a un’attività imprenditoriale.   

Precario/a è il rider, lo storyteller e il creatore di contenuti, l’aspirante autore, ma anche lo stagista e il tirocinante non pagato, il giornalista, il manager d’azienda licenziato, il social media marketer, il grafico, lo scrittore e la scrittrice (condannati alla creazione di contenuti e allo storytelling, spesso della loro stessa esperienza personale ed esistenziale di precarietà), l’artista, il lavoratore interinale, il ricercatore universitario, i docenti a contratto precario permanente, gli artisti, gli studenti, i disoccupati, impiegati, e molti altri, tutti impegnati a non soccombere a una precarietà che, da economica e professionale, si è fatta sempre più psichica, cognitiva, ed esistenziale. 

Precario/a è chi, pur aspirando come gli altri a un futuro pieno di futuro è costretto a vivere sempre nel presente, dentro l’illusione iatrogena di essere autonomo, imprenditore, libero di fare scelte e di cambiare, ma in realtà ansioso perché invidioso di coloro che invece autonomi, imprenditori e liberi lo sono un po' meno, sottomessi come sono a volontà, scelte e decisioni di capi e capetti, manager e proprietari d’azienda. 

Precari/e si sentono un po’ tutti, anche coloro che hanno ancora un lavoro a tempo indeterminato e un buon stipendio ma sanno che il capitalismo delle piattaforme, il cognitariato (terminologia coniata da Berardi Bifo per descrivere il nuovo proletariato emergente) diffuso, l’automazione tecnologica e la pervasività delle intelligenze artificiali, stanno cambiando il contesto dentro il quale le persone si trovano ad agire. Essere o diventare precari non è più una eccezione ma una condizione esperienziale umana a cui tutti devono prepararsi (Stay Tune Stay Ready!). Sia per accettarla sia per cambiarla, anche con l’aiuto degli altri. 

Precario/a è chi è diventato liquido e flessibile dentro una società sempre più frammentata e dentro vite senza strategie di lungo termine. Liquido come l’acqua che non ha forma ma assume quella del contenitore che la raccoglie. Flessibile per poter modificare carattere, personalità, emozioni e desideri in modo da poter gestire la precarietà derivante dai mille progetti in cui si è coinvolti, in modo da non perdere il controllo di sé stessi, della propria vita, delle relazioni interpersonali e sociali con gli altri. 

Precario/a è lo status di persone che sperimentano spesso una insoddisfazione cronica, una infelicità solitaria, una eroicità che si esplicita in lotte contro mulini a vento, un vittimismo nei confronti di un sistema e di modelli di business percepiti come immodificabili e ai quali bisogna semplicemente adattarsi. L’alternativa sarebbe la ribellione ma come realizzarla? Con quali motivazioni, con e insieme a chi, contro chi e che cosa, con quale probabilità di successo, con quali risultati? 

"Sul piano sociale e psicologico, l’impatto più profondo della flessibilità consiste nel rendere precaria la posizione delle persone prese di mira e nel mantenerle precarie, con l’adozione di misure quali la sostituzione dei contratti a tempo indeterminato e garantiti dalla legge con assunzioni a termine o collaborazioni temporanee, che permettono il licenziamento immediato."
(Zygmunt Bauman)
"La precarietà genera paura, il cui primo effetto è lo slittamento dalla democrazia a forme oligarchiche."
(Zygmunt Bauman)

 

Precario/a è una persona che sta accumulando rabbia e acredine perché si sente tradita dalle istituzioni, raggirata dalle leggi vigenti, abbandonata dai molti altri (élite, politici, partiti, sindacati, pubblici impiegati, dipendenti a tempo pieno, startupper e imprenditori, ecc.) che ce l’hanno fatta lasciandola indietro. L’alienazione che ne deriva non fa che aumentare l’astio, l’irritazione, la collera, il rancore, tutti sentimenti che generano dispiacere, disappunto, stizza, tanto veleno. Ma anche rassegnazione, passività, disagio personale e sociale, volontà di fuga e, per alcuni, anche una fuga dalla vita. 

Precari/ie sono persone di tutte le età ma soprattutto giovani Millennial e nativi digitali (tutti sono nativi digitali ma i Millennial sono i primi a avere vissuto la rivoluzione digitale), esperti nell’uso delle nuove tecnologie. Tanti strumenti tecnologici che credono di usare come loro mezzi di produzione controllandoli, senza molta consapevolezza del fatto che a dominare sono loro (l’inconsapevolezza è un avvoltoio che divora il cuore e la mente!). Tecnologie digitali, manipolatorie e cognitive, capaci di imporre le loro interfacce lavorative e logiche produttive, di sfruttare al meglio le capacità, le abilità, ma anche il tempo e i bisogni di coloro che le usano e/o le abitano (molte tecnologie sono piattaforme). 

 

Precario/a è un cittadino della Rete che abita le piattaforme tecnologiche nella speranza di trarne vantaggi professionali e lavorativi, per proporre e vendere servizi e per cercare nuove opportunità di guadagno (spesso misurabili in pochi euro). In attesa del desiderato successo, possibile grazie a pratiche creative e continuative, passa il tempo a postare, ad aggiustare profili e a partecipare a corsi di formazione online su come aggiustarli, a riempire moduli online, a chattare, a fare branding di sé stesso/a e a promuovere abilità e servizi. Poi, deluso dai risultati ottenuti, dedica il tempo che gli/le rimane per lamentarsi prendendosela con sé stesso/a per avere fallito in termini di imprenditorialità e abilità promozionale e marketing (personal branding) online, forse per non essere riuscito a vivere i valori della cultura GIG nel quale è immerso. 

"La conclusione a cui erano arrivati, in sostanza, era che i precari della ricerca erano considerati dall'università e dal Ministero più o meno come la flora batterica intestinale: ovvero, dei parassiti. Parassiti buoni, s'intende; necessari per il buon funzionamento dell'organismo (in quanto sono i precari quelli che stanno realmente in laboratorio), ma mantenuti in vita con gli ultimi residui delle risorse ingerite e, in ultima analisi, in una situazione oggettivamente di merda.“ —  Marco Malvaldi, Il gioco delle tre carte

Precari/precarie sono lavoratori e professionisti del cognitariato dell’era tecnologica che devono adattarsi a una realtà di mercato diventata precaria anche per molti imprenditori, artigiani e aziende.  Realtà imprenditoriali che oggi contribuiscono, con la loro impossibilità a offrire posti di lavoro duraturi e ben pagati, all’aumento della precarietà lavorativa generale ed anzi ne acuiscono contraddizioni, fragilità e problematicità con la loro concorrenza e competizione, in una corsa fatta di sgomitate e trabocchetti per garantirsi benefici e vantaggi rubandoli ad altri. Il tutto in una orsa al ribasso che penalizza tutti e non premia, alla lunga, nessuno. 

Precari/ie sono persone (non tutte) che sognano una coscienza di classe che faccia nascere collaborazione, solidarietà, cooperazione, impegno collettivo in lotte capaci di dare forma a un cambiamento reale delle loro condizioni di vita materiale. Un modo per evitare che il disagio, il malessere e l’astio accumulato si trasformino in scelte politiche populiste che oltre a non portare loro alcun beneficio potrebbero determinare effetti collaterali sociali e politici indesiderati. 

Precario/a sei tu, perché non racconti la tua storia e la tua esperienza?

 

Autore

Carlo Mazzucchelli

Dirigente d'azienda, filosofo e tecnologo, Carlo Mazzucchelli è il fondatore di SoloTablet, un progetto dedicato a una riflessione critica sulla tecnologia.

Esperto di marketing, comunicazione e management, ha operato in ruoli manageriali e dirigenziali in aziende italiane e multinazionali.

Focalizzato da sempre sull'innovazione ha implementato numerosi programmi finalizzati al cambiamento, a incrementare l'efficacia dell'attività commerciale, il valore del capitale relazionale dell'azienda e la fidelizzazione della clientela, attraverso tecnologie all'avanguardia e approcci innovativi. Giornalista e storyteller, formatore, oratore in meeting, seminari e convegni.

È esperto di Internet, social networking, ambienti collaborativi in rete e strumenti di analisi delle reti sociali.

Autore di 20 libri sulla tecnologia (Collana Technovisions Delos Digital)

 

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