SESSUALITA'

01 Gennaio 2022 Etica e tecnologia
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sessualità [da sessuale]. In generale, il complesso dei fenomeni mediante i quali due organismi della stessa specie riescono a operare tra loro scambi di materiale genetico finalizzato alla conservazione della specie. Nelle specie a riproduzione agamica la sessualità si manifesta in varî modi: nei virus con scambî di frammenti di genoma, nei batterî con fenomeni di trasduzione, trasformazione e coniugazione, nei protozoi con la coniugazione, ecc.; nelle specie a riproduzione sessuata la sessualità è identificabile nell’insieme delle caratteristiche anatomiche, funzionali, comportamentali che rendono gli individui dei due sessi, a sviluppo completo, atti a unirsi e a riprodursi; nell’uomo è inoltre strettamente legata a fattori di ordine psicologico, culturale e sociale che in ogni individuo prevalgono sui fattori biologici, costituendo la base della cosiddetta vita sessuale o comportamento sessuale, teso non solo alla finalità riproduttiva ma anche alla ricerca del piacere. (Treccani.it)

[ses·sua·li·tà]

Parola controversa, un tempo usata per indicare il dimorfismo morfologico presente in individui appartenenti alla medesima specie.

“Dimorfismo” deriva dal greco dimorphos, “che ha due forme”. Il concetto si è poi allargato alla sfera del comportamento, come avviene per i fenomeni legati alla natura degli esseri viventi, includendo così non solo gli aspetti fisici ma anche quelli psicologici connessi all’atto della riproduzione. Fin qui, nei limiti anodini del linguaggio scientifico.

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Ma di anodino la sessualità ha ben poco. La parola coinvolge la sfera dell’emotività, e quindi suscita sentimenti, in un range spropositato che va dalla paura all’estasi. Nella sessualità converge tutto il sentire umano; non c’è emozione che ne sia esclusa, non c’è comportamento che ne sia risparmiato.

Amore e odio stanno, come le due facce di Giano, di fronte al tempio della Vita, ad indicare le due (anche qui) possibilità che abbiamo di rappresentare la nostra differenza, due facce che racchiudono gli indefiniti livelli del sentimento.

Anche la filosofia ha detto la sua, da Platone a Foucault, passando da Eros (il desiderio) a Phobos (la paura), dall’accettazione al rifiuto. Sondare la psiche alla ricerca della sessualità è un gesto nietzschiano, è uno scavare ai propri piedi col rischio di finire in una voragine, in un incubo popolato di mostri, che poi non sono altro che le nostre facce deformate e inaccettabili.

Perché inaccettabili? Vale a dire: cosa c’è di inaccettabile nella sessualità? Prima risposta: tutto ciò che ferisce l’altro. Non è come per la libertà: la mia sessualità  comincia dove comincia la sessualità dell’altro. Non è lecito invadere la sfera sessuale dal di fuori, da un campo cioè che non sia comune. La sessualità non è un limite ma un orizzonte. Seconda risposta: il suo essere natura senza cultura. Non ci piace saperci animali. Omne animal post coitum triste, frase attribuita ad Aristotele ma di origine incerta, spoglia l’unione amorosa di ogni poesia e ci riduce a organismi ripugnanti, a vesciche, come diceva Marco Aurelio, che si gonfiano e si sgonfiano. L’incubo è questo ritorno alla vita nuda e cruda, a quell’istinto da cui eternamente cerchiamo di sfuggire.

The sexual act is a sacrament of WiIl. To profane it is the great offense. All true expression of it is lawful; all suppression or distortion of it is contrary to the Law of liberty.” — Crowley, The Law is for All

La domanda si è fatta fragorosa nel mondo d’oggi: da un lato vogliamo rendere accettabile l’inaccettabile, non tolleriamo limiti e prescrizioni, l’invadenza delle regole nella nostra intimità. Dall’altro, si moltiplicano i tentativi di marcare gli orizzonti: il concetto di aggressione non riguarda più solamente gli atti, ma sempre di più le parole e le opinioni. Si vuole che la legge sanzioni anche il discorso e i giudizi: l’omofobia è un reato, il gallismo è un reato, il catcalling è un reato.  L’offesa è uscita dalla sfera privata e ha fatto irruzione in quella pubblica. Sotto questo riguardo, essere ebrei o transessuali è la stessa cosa: minoranze “protette”, come gli Apaches dopo il massacro. Vogliamo essere liberi ma al riparo di mura molto solide, vogliamo esercitare la nostra sessualità possibilmente senza l’altro.

Nel Simposio di Platone si cita quel mito che narra di quando Zeus, per stanchezza e indignazione verso il genere umano, divise ogni individuo in due metà, le quali da allora si cercano disperatamente, nell’illusorio desiderio di riunirsi, di tornare all’unità.

Duemilacinquecento anni dopo, stiamo cercando di ridare vita a quell’archetipo, a quel desiderio di unità, ma in modo più radicale e definitivo: cerchiamo questa riunione non tra due corpi ma in uno solo; vogliamo essere uomini-donne o donne-uomini per uscire dall’incubo del desiderio, dal dimorfismo che ci distingue, dall’essere-gettati che non abbiamo scelto.

Ho settant’anni e ogni mio giudizio è inopportuno; posso solo concludere dicendo: “ma ecco che è l’ora di andare: io a morire, e voi a vivere. Chi di noi due vada verso il meglio è oscuro a tutti fuori che a Dio” (Platone, Apologia di Socrate).

* Le immagini sono tratte da Alphachanneling 


 

Autore

Maurizio Chatel

Nel 2008 è entrato nell’associazione Phronesis per la consulenza filosofica. Come consulente volontario ha lavorato per il Comune di Torino, aprendo uno sportello d’ascolto per i Care Givers a cui si sono rivolte centinaia di persone. L’iniziativa è poi stata chiusa dal Comune stesso per motivi burocratici mai del tutto chiariti.

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