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Dieci buone pratiche per un sano equilibrio psicobiologico

Dieci buone pratiche per un sano equilibrio psicobiologico

01 Marzo 2023 Psicologia e Tecnologia
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L’uso delle tecnologie come babysitter ha un aspetto paradossale. Quando se ne sceglie una in carne ed ossa è sempre una scelta oculata e talvolta difficile: deve avere specifiche caratteristiche che riteniamo adeguate al bambino e generalmente per una che va bene ve ne sono molte altre scartate. Le tecnologia digitali sono standard, sempre le stesse e uguali per tutti. Possibile che vadano sempre bene?

Carlo Mazzucchelli, fondatore di SoloTablet, ha partecipato come relatore all'evento "L'Era Digitale: dalle potenzialità ai danni" organizzato da Sipnei con un intervento dal titolo "Dall'homo sapiens all'homo sapiens digitalis". All'evento sono intervenuti anche Alessandro Bianchi e Emilia Genta, psicologi dell'Istituto di Psicologia funzionale di Firenze con un intervento sullo "Sviluppo del Sé nella generazione virtuale: sue potenzialità e limiti".

Per proseguire una riflessione post-evento Era Digitale, SoloTablet ha coinvolto Alessandro Bianchi ed Emilia Genta in un'intervista finalizzata a condividere il decalogo di buone pratiche per un sano equilibrio psicobiologico, da loro presentato come mezzo utile a mettere in pratica sane strategie relazionali in grado di soddisfare i bisogni di fondo di ogni individuo. Il decalogo delle buone pratiche dovrebbe servire a limitare i danni dell'impatto delle tecnologie digitali nello sviluppo del Sé e a favorirne un uso intelligente nel tempo.


Buongiorno, durante l'evento SIPNEI sull'era digitale avete presentato un decalogo di regole per un sano sviluppo del Sé. Potreste contestualizzare queste buone pratiche all'interno del panorama relazionale che determina l'evoluzione costitutiva del Sé e i processi psicobiologici che la caratterizzano?

Sapiens o Digitalis alla base resta sempre l’Homo, che ha 2 caratteristiche fondamentali in linea con le conoscenze scientifiche più recenti:

La prima è un evidente funzionamento sistemico che impedisce lo si possa comprendere un pezzetto alla volta. A livello biologico i sistemi principali come il Sistema Nervoso, l’Immunitario, l’Endocrino si configurano come un network complesso che comunica a sua volta con i sistemi psicologici. Qualunque cosa accada, dal  beccarci il virus dell’influenza, alle riflessioni che ci suscita quanto leggiamo  è frutto di un lavoro di squadra di processi psicocorporei in un meraviglio equilibrio. Processi a loro volta inseriti in un panorama culturale.

Quando decidiamo per esempio l’acquisto di un nuovo smartphone le percezioni sensoriali (la sue forma e colore) accendono nel cervello schemi neurali appresi, che ce ne fanno pregustare la maneggiabilità, ci eccitano per le nuove possibilità offerte (magari anche per lo sconto proposto), ci portano a confrontare le percezioni con tutta una banca dati di ricordi, valutazioni, valori.

La decisione di acquisto nasce dalla collaborazione paritetica di processi biologici e cognitivi. In psicologia definiamo Sé questa organizzazione sistemica. È un Sé plastico, plasmato dalla storia personale, specie da quanto avvenuto nei primissimi tempi della nostra vita, e molto adattabile. Esso ha permesso all’Homo di digerire le molte modificazioni antropologiche avvenuta nella sua storia (per esempio con la rivoluzione industriale si è modificata  profondamente la percezione di Sé nel mondo, prima strettamente legata ai ritmo naturali e al rapporto diretto con cicli di produzione degli alimenti) e che oggi è sollecitato dall’avvento del digitale.

La plasticità non è però infinita. Ha i suoi limiti. Posso stare anche a lungo senza mangiare ma devo poi farlo se non voglio andare incontro a danni rilevanti o alla morte. Il neonato completamente privato di carezze muore in poco tempo (accadeva nei brefotrofi nella prima guerra mondiale).  Ci sono dei bisogni di fondo ineliminabili a cui il sistema integrato Sé deve essere in grado di dare risposte. In questo senso il Limite costituisce lo spazio (elastico) della nostra vita.

La seconda caratteristica è che il Sé si sviluppa nella relazione. Questo è un prerequisito alla vita. L’Homo non è un rettile che appena nato è indipendente; necessita di un lungo periodo di dipendenza che gli serve a rodare e tarare i propri sistemi, a configurare l’assetto del Sé che dovrà sopperire ai bisogni di fondo nella vita a venire una volta raggiunta l’indipendenza. Il cucciolo compie nell’infanzia un vero e proprio tirocinio PNEI (psiconeuroendocrinoimmunilogico); e lo fa dentro un orizzonte relazionale, con le figure di accudimento. Da questo tirocinio esce con le proprie caratteristiche e vizi di fondo.

 

La prima regola suggerisce di non lasciare il bambino con videogiochi o altri strumenti tecnologici. Tutto il contrario di quanto molti genitori oggi fanno quando delegano il loro ruolo di guida a un dispositivo. Quanto è importante l'affiancamento nei primi anni di vita?

Gli strumenti digitali costituiscono uno dei tanti luoghi di apprendimento del cucciolo umano e anche se il loro avvento costituisce una novità antropologica, non si sottraggono dal panorama relazionale che lo supporta (o dovrebbe).

Sono i genitori a comprare i videogiochi così come sono loro che acquistano il primo triciclo e la prima bicicletta. Nessuno penserebbe di dare quest’ultima in consegna al figlio lasciando che vi si arrangi da solo. Tutti ci ricordiamo la mano che ci teneva il sellino, lo sguardo vigile che accompagnava le prime pedalate  le istruzioni d’uso (si guida a destra ...), i pianti per le cadute e i cerotti che ci venivano attaccati.

Perché col digitale dovrebbe essere diverso? Anche col digitale il rischio di capocciate è presente così come il rischio (specie nelle piattaforme social) di investire qualcuno. Anche l’aspetto ludico del videogioco deve essere regolamentato. Non lasciamo il frigorifero liberamente disponibile al bambino: troppi gelati fanno male; il bambino non lo sa, il genitore si.

 

La seconda regola suggerisce di limitare il tempo di esposizione a un dispositivo tecnologico. Quali sono i rischi e cosa comportano nel caso si lasciasse dilatare il tempo e l'esposizione?

L’indigestione innanzitutto e la carenza di altri nutrimenti fondamentali poi. Il digitale (specie i videogiochi) sollecitano massicciamente alcuni aspetti nel funzionamento del sistema Sé rischiando di trascurarne altri importanti per una “dieta” equilibrata.

Innanzitutto la Motricità fine è iper stimolata (in particolare la manualità sottile e i movimenti oculari) a scapito della Motricità ampia. Parimenti i Movimenti veloci rispetto a quelli lenti.

Ma a cosa serve la motricità ampia- fine e lenta-veloce?

La Motricità Fine è quella di supporto alla concentrazione focalizzata. Il contorno visivo, la visione periferica è cancellata per la necessità di focalizzarsi nell’attenzione ai particolari.

Serve moltissimo nella vita: è il motivo per cui (prima ossessivamente ora meno) si insegnava ai bambini a scrivere nel rigo e a riempire di colore una figura senza uscire dai margini. Una capacità di focalizzarsi sul piccolo che ci porta senza soluzione di continuità ad abilità adulte specializzate: come nei dentisti, chirurghi, orologiai, elettrotecnici e in tutte le occasioni in cui un po’ di precisione e pignoleria è necessaria.

La Motricità Ampia è quella dell’andare oltre, prendere spazio, occuparlo, allargarvisi. Comprende la visione periferica e del contesto, la possibilità di guardare anche lontano in una visione d’insieme e supporta il senso globale e la fiducia del poter prendere possesso, produrre un effetto, lasciare un segno anche a distanza; in sintesi andare oltre i limiti.

Ambedue sono necessarie e collegate. Come un zoom che deve potersi stringere o allargare altrimenti non funziona. È uno zoom (una gamma diciamo) di processi integrati che deve poter allargare e restringere il campo di azione delle nostre esperienze.

I Movimenti Veloci permettono la rapidità di esecuzione e poi le scelte e decisioni rapide. Li usiamo tutti i giorni quando dobbiamo sbrigarci, correre per non perdere il treno, sciare, concludere un  compito noioso ...

I Movimenti Lenti sono quelli della calma, che ci permettono di assaporare le esperienze, dove conta più il processo che il risultato, il viaggio che la meta. Supportano  modalità “morbide” di attenzione. Una carezza piacevole è un movimento lento.

Anche qui ambedue sono polarità di una gamma necessaria: la vita che ci richiede in alcune situazioni di andare su di giri ed in altre a basso regime.

È la disponibilità di gamme ampie alla base della salute e delle relazioni efficaci. Una gamma ristretta, riduce l’orizzonte di capacità e rischia deprivazioni e zoppie.

 

La terza regola suggerisce un uso della tecnologia bilanciato, limitato e controllato. Quali sono i rischi nel caso in cui ciò non fosse possibile e il cervello dal bambino/ragazzo fosse sempre su di giri, sollecitato da automatismi e stimolazioni che impediscono qualsiasi sedimentazione di esperienze e connessioni neurali?

Aggiungerei il termine “sostenibile” (facendo riferimento ai limiti). I rischi sono nello sviluppo disarmonica dell’equilibrio del Sé.

In questo caso nello sbilanciamento su una polarità delle gamme: ricordiamo che non si tratta di semplici processi motori, ma di capacità interattive relazionali di base che anche da questi processi motori sono costituite, in un mix psicocorporeo (al contempo cognitivo, sensomotorio, emozionale e biologico). Nel gergo della Psicologia Funzionale si definiscono Funzionamenti di Fondo del Sé.

La bilancia tra Accendersi (su di giri) e Spegnersi (giù di giri) è l’essenza della capacità di affrontare lo stress. Lo stress non è cosa negativa. Abbiamo a disposizione un termostato che regola il livello di “temperatura” dell’eccitazione del nostro organismo sul quale continuamente dobbiamo agire per consentirci di affrontare, in modo più caldo a freddo (che è come dire su o giù di giri) le situazioni varie. È il cosiddetto asse dello stress (HPA) il network deputato ad attivare e disattivare l’organismo, mediante una cascata di eventi che rendono l’organismo pronto ad affrontare situazioni emotivamente significative (da ipotetici pericoli, al primo appuntamento, al colloquio di lavoro, ad alzarsi la mattina, a salvare la pelle nel videogioco).

Anche il sistema HPA si tara nella sua mobilità sin dalla primissima infanzia (si accende per esempio nella richiesta di latte e si placa con l’appagamento successivo). Se il termostato si registra troppo sull’acceso è un guaio. ....

La capacità di vivere e godersi la Calma rischia di uscirne mortificata, la possibilità di fermarsi sulle cose e sul contatto, la visione di insieme nel tempo necessario a metabolizzare le esperienze.

Con essa il senso di una reale Consistenza: posso guidare solo in uno spazio ristretto, cavalcare in un maneggio ma non in luoghi aperti.

Rischia invece di essere amplificato il Controllo. Anche qui non sono solo i movimenti ma l’organizzazione integrata del Sé che si focalizza sul controllo: tutto il sistema (con le sue funzioni del respiro, sguardo, movimenti, pensieri…) rischia di abitare più frequentemente su questa modalità in modo tendenzialmente stabile. Nella ripetizione delle esperienze si creano schemi tendenzialmente stabili di organizzazione di Funzioni che se sono sbilanciati rischiano di permanere. Lo spegnersi diviene problematico a seguito di una iper attivazione dell’asse dello stress.

Ma sono a rischio anche altri Funzionamenti di Fondo. Il Contenimento (come capacità di sentirsi bene e rassicurati all’interno di una relazione protettiva; esperienza soppiantata dal trovarsi a gestire da soli compiti spesso difficile e ansiogeni come nei videogiochi), ma anche i Limiti (sembra che nel digitale non vi sono reali effetti, quantomeno immediati nel mondo e se va male resetto) e la capacità di tollerare frustrazioni (quando tutto appare facile e riavviabile con un tasto).

 

La quarta regola ricorda comportamenti già sperimentati in passato dalle generazioni precedenti. Generazioni di genitori che hanno fatto uso del mezzo televisivo come perfetto strumento di babysitting. Le tecnologie, comprese quelle attuali, non sono babysitter eppure lo smartphone, il tablet e la console per il videogioco sono spesso usate come tali. Perché i genitori dovrebbero farne a meno?

L’uso delle tecnologie come babysitter ha un aspetto paradossale. Quando se ne sceglie una in carne ed ossa è sempre una scelta oculata e talvolta difficile: deve avere specifiche caratteristiche che riteniamo adeguate al bambino e generalmente per una che va bene ve ne sono molte altre scartate. Le tecnologia digitali sono standard, sempre le stesse e uguali per tutti.

Possibile che vadano sempre bene?

E che ne è delle caratteristiche umane necessarie all’apprendimento della vita? Chi si occupa di bambini deve essere una persona in carne ed ossa (genitori, babysitter, zii e parenti vari, insegnanti ...). La non umanità delle tecnologie preclude un loro uso improprio. Possono essere solo uno tra i giochi che impegnano il bambino e gli permettono di passare del tempo in relativa autonomia e successivamente uno strumento di supporto alla socializzazione. Purtroppo è un gioco così attraente ed efficace nel monopolizzare l’attenzione che i tempi tendono a dilatarsi oltre i limiti. All’adulto fa comodo: il bambino sta tranquillo e può lui dedicarsi ad altro; come accadeva prima, ma adesso più potentemente, con la TV.

 

La quinta regola sembra andare contro le logiche che governano le piattaforme tecnologiche attuali. Piattaforme che sembrano avere assunto il ruolo di guida e di regolamentazione delle interazioni e delle relazioni sociali. In questo contesto il ruolo dell'adulto risulta essere più complicato. Cosa dovrebbe fare per recuperare una funzione chiave per l'apprendimento relazionale sia nella prima e seconda infanzia e nella pre-adolescenza?

Questo è il tormentone che ripetiamo continuamente in tutti i settori chiave dell’educazione: dalle famiglie ai nidi alla scuola dell’infanzia e via via a seguire. Il ruolo di guida dell’adulto è precondizione per lo sviluppo in salute e benessere nei mammiferi anche non umani, ma anche negli uccelli a differenza, come già detto, dei rettili. Più che complicata la funziona adulta è complessa.

Dalla vita perinatale tocca a lui il ruolo di accompagnare il bambino nelle esperienze di taratura del sistema integrato. Il rapporto con le figure di accudimento è il prerequisito e lo sfondo relazionale dove ciò avviene.

La capacità di guidare qualunque strumento ausiliario (reale o virtuale), come di regolare le proprie emozioni, la responsabilità personale, i limiti dell’agire, sono capacità aspecifiche, con caratteristiche sensomotorie forti che riguardano l’assetto della comunicazione tra i nostri sistemi biologici e psicologici; il bambino nasce con capacità già presenti ma grezze, che necessitano un affinamento progressivo che l’adulto ha da guidare: preoccupandosi di offrire al bambino esperienze integrate e varie, sopperendo a mancanze e bilanciando quando è necessario. Nello specifico con occasioni di contatto reali il tempo passato da solo, con esperienze ampie e lente quelle fini e veloci, con abbassamenti del termostato le attivazioni troppo frequenti dell’asse HPA.

 

La sesta regola sembra mettere sullo stesso piano il gioco virtuale con quello reale. Eppure ci sono delle differenze sostanziali e il gioco virtuale e digitale dovrebbe forse venire messo in secondo piano. Ci potete illustrare meglio questa regola?

Volentieri perché è la più importante. Lo sviluppo del Sé avviene in continuità, dalla vita perinatale in poi. Sono le esperienze della prima infanzia in particolare a gettare le basi dello sviluppo successivo. Per esempio abbiamo prima sottolineato come il bisogno di Contatto sia fondamentale nel neonato. Da esso trae un nutrimento necessario paragonabile per importanza a quello alimentare; è rassicurazione, piacere, stabilità di una presenza buona accanto. È al contempo una specifica configurazione del sistema integrato del Sé che sviluppandosi in continuità nelle fasi successiva della vita permette di riprodurre la stessa configurazione per soddisfare ogni volta che ve ne è bisogno. Con la capacità di Contatto ci giochiamo la possibilità di stare bene con gli altri, trarre piacere e sostegno (e darlo) dalla prossimità nelle dimensioni sia affettive, che amicali, che lavorative.

La capacità di Contatto che si complessifica dopo la vita perinatale in tante esperienze fatte di batticuori, valutazione e aggiustamento propria adeguatezza, empatia, comprensione e rispecchiamento nell’altro, fiducia di Sé e delle proprie caratteristiche, incarnata nella comunicazione non verbale, nel tono di voce, nelle modalità comunicative varie da scoprire.
Ancora più complesse (ed entusiasmanti) nelle relazioni affettive ...

C’è un “dopo” più raffinato e indipendente che segue un “prima” meno raffinato e dipendente.

Come in alcuni esami all’università vi è una propedeuticità.

La scoperta dei neuroni specchio, che getta una luce sull’empatia e la comprensione dell’altro, ci dice che l’osservazione di movimenti, specie se emotivamente espressivi, nell’altra persona accende in chi osserva i medesimi circuiti neurali motori come se fosse lui stesso ad effettuare il movimento. Ma ciò è possibile solo su un “noto”  preesistente: i neuroni motori di chi osserva si accendono solo se ciò che riflettono è già interiorizzato e corrisponde a schemi neurali preesistenti. Non si accende ciò che non c’è. È un esempio di propedeuticità psicobiologica. C’è un prima (legato alle esperienze concrete registrate nelle banche dati psicobiologiche) e un dopo di possibile maggior astrazione. I videogiochi richiedono una capacità di astrarre e simbolizzare elevata: icone, personaggi, mondi fantastici costituiscono un mondo ideativo complesso che per essere maneggiato in modo non confusivo deve porsi sopra una base di esperienze concrete. Devo prima sapere cosa è uno spintone reale che virtuale per non confondere la mia forza vera con la fantasia. Devo prima regolare  i miei processi attentivi e l’asse HPA nelle stanze della mia vita che sugli schermi digitali. Devo prima misurare la mia capacità di tollerare le frustrazioni nelle relazionalità reali che difronte a un game over o una rispostaccia sul social…

Ricordiamo (soprattutto Emilia che vi partecipava) l’epoca digitalmente preistorica degli anni ’80 dove, presso l’allora Centro Studi W.Reich di Napoli, bambini di 3 anni venivano educati all’uso sostenibile del pc. Prima di cimentarsi con monitor e mouse, il pavimento di una grande sala diveniva lo schermo del pc e i bambini vi impersonavano (con tanto di codine attaccate dietro) i “topini” che poi avrebbero ritrovato virtuali. Il lavoro di un anno sfociò in un convegno storico dal titolo “Il bambino, il corpo e il computer”.

I  social, divengono una estensione di capacità relazionali solo se queste sono parallelamente, e sono state prima, sufficientemente praticate.

Più in generale l’indipendenza viene dopo la dipendenza, è una conquista progressiva, e la presenza dell’adulto può divenire fatalmente e funzionalmente sempre più discreta (in preadolescenza), in modo morbido, in rapporto a quanto è stata forte e chiara prima.

La relazione con l’adulto deve essere un elastico flessibile quanto solido.

Foto di Carlo Mazzucchelli - Tuc Tuc scolastico in Kerala

 

La settima regola suggerisce un uso delle piattaforme social inizialmente mediato dall'adulto. Un passaggio questo ritenuto necessario prima che il ragazzo o la ragazza possa ottenere e sviluppare una sua autonomia. La mediazione richiede l'affiancamento ma anche la conoscenza delle piattaforme usate dai ragazzi. Cosa non semplice per genitori non propriamente tecnovigili alle prese con ragazzi nativi digitali e tecnorapidi. Cosa ne pensate?

Su questo punto il gap generazionale pare incolmabile. Ma non è una novità assoluta. Quando negli anni ’60 la scolarizzazione di massa è stata uno degli elementi del boom molti figli hanno iniziato a parlare un linguaggio che molti genitori, scarsamente scolarizzati, balbettavano. Ancora oggi molti genitori non sono in grado di seguire i compiti dei loro figli, ma non per questo il loro ruolo di guida viene meno. Per il digitale distinguerei tra Uso Tecnico (rispetto ai quali i non nativi inevitabilmente balbettano) e Basi per l’Uso. Passando dalla bicicletta al motorino anche il genitore che non ne conosce la meccanica e magari non sa guidarlo ha il compito di dare al figlio le Basi che sono nel digitale sono: la sostenibilità, la capacità relazionale di contatto, il senso dei limiti, la responsabilità, la forza e consistenza. Tutto ciò avviene però dall’epoca del triciclo e prima ancora nella vita perinatale e prosegue in continuità nelle seconda infanzia e nell’adolescenza.

 

L'ottava regola suggerisce un uso intelligente delle piattaforme di social networking evitando le molte scorciatoie da esse rese possibili. Se ho capito bene queste piattaforme sono percepite come luoghi e strumenti di opportunità ma solo se usate consapevolmente e senza lasciarsi intrappolare dagli automatismi (scorciatoie) e meccanismi che le caratterizzano. In cosa consistono queste scorciatoie e come convincere bambini e ragazzi a evitarle?

Le tecnologie dovrebbero aggiungersi non soppiantare. In questo senso non possono essere scorciatoie. Come abbiamo detto il dopo non può precedere il prima.

La principale caratteristica delle piattaforme social è la facilità di entrare in rapporto in qualunque momento e ovunque. È una vera rivoluzione che modifica il modo di pensare e pensarci. Grazie ai voli low cost si è modificata la percezione della geografia: le capitali europee sono divenute vicine, raggiungibile in 2 ore e pochi soldi. Con i social è la geografia relazionale che cambia drasticamente: non devo aspettare ore o giorni per un appuntamento, non devo preparami e preoccuparmi del mio aspetto, connettere le parole con l’espressività non verbale, non devo fare lo sforzo (e la scoperta) psicocorporea dell’adattamento all’altro con  la scoperta di sempre nuove strategia interattive; svanisce la percezione diretta e molto corporea che l’altra persona mi piace, riduco i patemi d’animo da rischio rifiuti ma anche la sorpresa ...

Tutto ciò è estensione solo se si basa e si sviluppa su un patrimonio personale ricco; è invece una deprivazione se lo sostituisce e bypassa.

È per questo molto diverso se già conosco la persona con cui intrattengo una relazione sul social oppure no: se una parte rilevante delle prime relazioni che instauro sono virtuali rischio di trovarmi nel dopo che precede il prima senza aver completato il necessario tirocinio della duttilità relazionale reale che sola può permettermi di sviluppare gamme ampie.

Il potere di convincimento per i giovani non può ovviamente nascere dal proibizionismo (inutile e deleterio sempre) ma solo dall’esperienze di quanto la relazionalità concreta sia gratificante, stimolante e arricchente. A monte e parallelamente favorendo le occasioni e supportando le difficoltà.

 

La nona regola è una specie di appello affinché i genitori diventino adulti responsabili e si facciano carico delle fragilità e delle debolezze che, ben prima e ben di più del digitale, sono la vera causa di molti fenomeni di bullismo digitale. In cosa consiste la responsabilità del genitore e perché è così importante non abdicarvi?

È ancora un richiamo alla responsabilità adulta. È molto facile (e a volte comodo) abdicare con il digitale. Per il mezzo in sé che si sviluppa rapidamente e impatta con una maggior rapidità di apprendimento dei giovani e una minore degli adulti, e per il clima generale di incertezza sociale che aumenta difficoltà e diffidenze, stimola arroccamenti, spinge a omologazioni appiattenti.

Come non è l’auto responsabile degli investimenti, non è il digitale responsabile del suo uso alterato (come nel cyberbullismo); è la  fragilità e debolezza di chi lo usa (anche se appare come prepotenza). E qui torniamo alle Basi d’Uso che dal rapporto con l’adulto sono giunte. Per il digitale come per qualunque altro settore di attività.

La decima regola infine suggerisce all'adulto di favorire la solidità del Sé dei loro figli fin dall'inizio, tenendo sempre presente le sue (del Sé) caratteristiche di Sistema Integrato Relazionale. Questa regola o buona pratica sembra riportare tutta la nostra intervista in ambito PNEI. Ci potete argomentare meglio l'ultima regola contestualizzandola in un ambito che vede interate le varie componenti fisiologiche, psicologiche e mentali del ragazzo?

Ancora oggi si dice troppo spesso “è il carattere!”. Comodo alibi deresponsabilizzante. Esiste oggi sufficiente documentazione scientifica per concludere che le prime fasi di vita hanno un'influenza significativa sulle caratteristiche psicobiologiche dell'adulto e quindi sulla salute e la malattia.

Le scoperta dell’epigenetica, che queste tracce sono reversibili (in modo progressivamente minore via via che con l’evoluzione la plasticità del Sé diminuisce pur senza mai cessare del tutto) punta sulla responsabilità delle figure di accudimento (famiglie e scuola anzitutto).

La responsabilità, lungi dall’essere un fardello, è l’orizzonte di azione e dovrebbe essere vissuta come un potere. Nelle scienze umane  biologiche è in corso una vera e propria rivoluzione che sta modificando il paradigma di fondo, prima basato su modelli  riduttivisti e che oggi apre invece a una visione dell’umano nella sua interezza e nel suo fondamentale rapporto con l’ambiente e la cultura.

Possiamo cogliere l’essenziale continuità tra  il mondo del micro (quello del biologico molecolare) e il macro della cultura, società, ambiente (che nella vita quotidiana vuol dire emozioni e relazioni); e capire che non sono né il macro né il micro a produrre loro i funzionamenti, adattivi o disfunzionali, del Sé; le evidenze scientifiche ci dicono che non ci sono organi, luoghi corporei o processi deputati a fare una cosa in esclusiva ma solo processi implicati in.... È  il network, il sistema integrato, l’essenza dell’Homo. Questo nuovo paradigma può promuovere cambiamenti profondi nella cura, nella ricerca scientifica, nell’educazione e nelle relazioni umane. Mission di organizzazioni come la SIPNEI.

 

 

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