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L'essere umano è il mondo che lo implica (Rossano Buccioni)

L'essere umano è il mondo che lo implica (Rossano Buccioni)

28 Gennaio 2021 Il sociologo digitale
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La nostra è una società che cresce globalmente e che fa accadere tutto realmente e contemporaneamente. Cioè non c'è una tecnologia che va veloce e degli esseri umani che arrancano, magari si ribellano cercando di adeguarsi e lamentano costantemente il venir meno di un orizzonte sociale consueto, dunque rassicurante. Il Luddismo esisteva in una società non integrata a livello tecno-scientifico, dove la rivendicazione lavorativa faceva tutt'uno con la ricerca di libertà politica. Chi oggi critica le tecnologie le utilizza comunque .... Il web esiste come rete perchè prima si è sviluppata una società reticolare, cioè senza centro e senza vertice.


L’era che viviamo è digitale e molto tecnologica
. È mediata tecnologicamente, dominata dai dati, dall’automazione, dalle macchine, dalle piattaforme, dagli assistenti personali e dalle intelligenze artificiali. Una società digitalmente modificata, per essere conosciuta, letta, interpretata e compresa suggerisce il ricorso a nuovi concetti, nuovi metodi investigativi e approcci sociologici, nuove definizioni, con l’obiettivo di investigare con maggiore accuratezza le interazioni tra dati, persone e tecnologie. 

L’analisi dei fenomeni sociali dell’era digitale obbliga a prestare attenzione alla proliferazione delle tecnologie e dei media digitali nella vita delle persone e nei loro comportamenti. Sempre nella consapevolezza che approcci, concetti e categorie usate nelle pratiche sociologiche, oggi come ieri, possano influenzare la ricerca stessa. La sociologia può oggi fornire un grande contributo al dibattito in corso sugli effetti della tecnologia e può fornire una visione alternativa (non tutti i dati possono essere ridotti a dati comportamentali) su come oggi possiamo conoscere la società, anche attraverso i dati e gli strumenti digitali (smartphone, piattaforme, APP, ecc.) che la caratterizzano.

Di tutto questo abbiamo deciso di parlarne con alcuni sociologi (sociologi digitali?), con l’obiettivo di condividere una riflessione ampia e aperta e contribuire alla più ampia discussione in corso. 

In questo articolo proponiamo l’intervista che Carlo Mazzucchelli  ha condotto con Rossano Buccioni, SOCIOLOGO DELLA DEVIANZA E DEL MUTAMENTO SOCIALE nonchè Giornalista.


 

Buongiorno, può raccontarci qualcosa di lei, della sua attività attuale, del suo interesse per le nuove tecnologie e per una riflessione sull'era tecnologica che viviamo? Qual è il suo rapporto con le tecnologie e quale l’uso che ne fa nelle sue attività lavorative (sociologia digitale)?

Mi considero un immigrato digitale ed essendo insegnante, ogni giorno faccio esperienza del sequestro motivazionale che gli strumenti tecnici operano sulle persone giovani. Sequestro vissuto come apertura di mondi e di orizzonti relazionali, non come mera sottrazione di interesse alla scuola o all'orizzontalità della dimensione analogica.

La proposta di realtà costruita digitalmente sta divenendo più stipulativa di quella conosciuta storicamente e ciò ha delle implicazioni psico-sociali enormi specialmente se consideriamo la matrice comunicativa/individualizzante della società globalizzata.

La tecnologia accelera in ogni ambito della vita sociale, produce cambiamenti dirompenti (disruptive) nelle vite delle persone. Ne condiziona i comportamenti e i modi di percepire, conoscere e interagire con le molteplici realtà (fattuale, virtuale, digitale, ecc.) esperienziali individuali e sociali. Tutto ciò rappresenta una grande sfida per le pratiche sociologiche e la sociologia. Lei cosa ne pensa? Come descriverebbe una realtà nella quale il web e i media sociali sono diventati un’infrastruttura sociale (mobilità, auto senza autista, Internet degli oggetti, intelligenze artificiali, ecc.) diffusa come lo sono da tempo l’elettricità e i media tradizionali? Non crede che per comprendere le trasformazioni in atto servano nuovi approcci, metodologie e pratiche?

Mi sono formato sulla teoria dei sistemi sociali di Niklas Luhmann. Dunque occorre dire no alle intuitive analogie meccanicistiche e si alla complessità sociale, anche contro-intuitiva.

La nostra è una società che cresce globalmente e che fa accadere tutto realmente e contemporaneamente. Cioè non c'è una tecnologia che va veloce e degli esseri umani che arrancano, magari si ribellano cercando di adeguarsi e lamentano costantemente il venir meno di un orizzonte sociale consueto, dunque rassicurante. Il Luddismo esisteva in una società non integrata a livello tecno-scientifico, dove la rivendicazione lavorativa faceva tutt'uno con la ricerca di libertà politica. Chi oggi critica le tecnologie le utilizza comunque .... Il web esiste come rete perchè prima si è sviluppata una società reticolare, cioè senza centro e senza vertice.

L'estrema accelerazione della vita sociale realizzata dopo la fine delle grandi narrazioni non poteva non giovarsi di quella che Heidegger definiva "semplificazione funzionante", cioè la costruzione della realtà su base tecnologica, performando le tecniche a misura delle mancanze biologiche umane.

Non è pensabile una società globale senza impronta tecnologica. Se la nostra è dunque una società integrata tecnicamente ed economicamente (e non moralmente e politicamente), il tema sarà quale essere umano potrà risultare determinato da questa logica tecnologica estrema, fermo restando il problematico rapporto tra autonomia dell'io e complessità sociale. Se molti osservatori sostengono il graduale passaggio ad una società post-human, quale umanità abiterà l'era dopo-umana? Credo che la prospettiva di osservazione possa essere questa.

 

Come è cambiato l’ambito della sua attività nell’era digitale? La tecnologia ha cambiato mente e corpo, quest’ultimo trasformato da protesi e tecnologie indossabili, ma anche in termini simbolici fino alla sua negazione. La realtà si è fatta multipla, fatta di realtà virtuali e parallele, tanti nonluoghi (M. Augè) nei quali si vive un continuo presente (hic et nunc), spesso superficialmente, attraverso superfici di uno schermo, e in velocità. Ne deriva un affanno esistenziale fatto di solitudine, individuale e sociale, di perdita di senso. Lei cosa ne pensa? Cosa serve oggi per alimentare una presa di coscienza sulla contemporaneità e una lettura critica delle nuove realtà digitali? Che funzione ha in tutto questo la sociologia? Ha senso una sociologia digitale e in cosa si distinguerebbe dalla sociologia classica?

Noi non abbiamo un corpo, ma lo "siamo".

Con la crescita del controllo a distanza sugli oggetti e sulle persone, si è attivato un potente riduzionismo biologistico della condizione umana, semplificata di volta in volta in quella o quell'altra attribuzione. Ora noi siamo due corpi: quello della cartà d'identità ed il c.d. "corpo informatico", costituito dalle tracce in rete che disseminiamo ogni giorno e che qualcuno può utilizzare per falsificarci.

Il filosofo Luciano Floridi parla di "On life" e la gran parte della nostra vita di relazione transita attraverso la rete. Anche i rapporti con le istituzioni richiederanno sempre più questo attraversamento. Ripeto: si potrebbe anche pensare che l'individuo, facendo aggio sulla sua capacità critica, potrà difendersi o limitare la dominanza tecnologica, ma faccio sommessamente notare come siamo consapevoli di una parte infima del nostro universo cosciente. Non siamo consapevoli dei condizionamenti che riceviamo nel nostro percorso di socializzazione e delle traiettorie che fanno assumere a scelte di vitache poi riteniamo nostre.

La psicologa Marisa Fiumanò, scrisse qualche anno fa un delizioso libretto intitolato: L'inconscio è il sociale... L'individuo è performato dall'età della tecnica e non esiste immagnazione sociologica - emancipativa o libertaria - esterna alla società della tecnica.

 

Viviamo tempi alla fine dei tempi, siamo testimoni di un salto paradigmatico verso scenari futuri imprevedibili, che per alcuni potrebbero essere distopici. La trasformazione in atto obbliga tutti a riflettere sul fenomeno della pervasività e dell'uso diffuso di strumenti tecnologici ma anche sui loro effetti. Qual è la sua visione dell'era tecnologica che viviamo e che tipo di riflessione dovrebbe, secondo lei, essere fatta, da parte di sociologi, antropologi, filosofi e scienziati, ma anche di singole persone?

Le scienze umane non possono esser viste come strumenti di difesa di un umanesimo ante litteram, ma come strumenti di analisi degli effetti delle trasformazioni epocali che stiamo attraversando, senza restare vincolati ad immagini dell'uomo che oggi sono del tutto inapplicabili.

C'è chi fa sociologia per stabilire come è composta la società e chi per capire la sofferenza che pagano le persone che ci vivono dentro. A me piace fare una sintesi tra le due finalità sociologiche.

Come Freud non sarebbe capace di spiegare l'attuale "disagio della civiltà", nemmeno i classici della sociologia messi insieme potrebbero spiegarsi come siamo potuti arrivare ad un sistema sociale che, muovendo dall'idea settecentesca "del giusto mezzo", (ciò che è buono per un essere umano dev'esser buono anche per la società in cui vive), si è spinto talmente oltre da trasformarsi in un orizzonte post-human.

 

Per molti di noi, cresciuti nell’era definita della postmodernità, il pensiero di Zygmunt Bauman è diventato un punto di riferimento solido e costante. Chi non ha riflettuto sulla modernità liquida, sul bisogno di comunità e sulla solitudine del cittadino postmoderno? Le sue riflessioni hanno obbligato a interrogarci anche sulle tecnologie e le loro rivoluzioni, sul loro ruolo nella contemporaneità e i loro effetti. In una realtà nella quale siamo sempre più online, prigionieri dentro mondi paralleli e virtuali è forse arrivato il momento di interrogarsi criticamente sul concetto di liquidità. La realtà attuale, anche per effetto del coronavirus, sembra essere diventata pesante. La realtà fattuale ha preso l’avvento su quella virtuale, si è solidificata facendo emergere tutto ciò che di reale esiste: precarietà, povertà, disuguaglianze, solitudine, emarginazione, ansia e malattie psichiche. Lei cosa ne pensa? Sono ancora valide le categorie di Bauman o non dovremmo forse rileggerle e modificarle alla luce della nuova realtà pandemica?

Con tutto il rispetto per Bauman, è stato Marx a dire per primo che "tutto ciò che è solido si dissolve nell'aria".

Bauman ha scritto ottimi saggi, ma secondo me il suo miglior libro è quello sull'Olocausto, una straordinaria lettura di un dramma epocale alla luce di alcuni criteri-guida dell'occidente tecnologico, come la razionalizzazione, la tecnicizzazione e la formalizzazione dell'esistente.

Se osserviamo la nascita del romanzo in Occidente, il meccanismo su cui si è basata la sua fortuna è il raddoppiamento della realtà. Tale raddoppiamento non doveva essere falso, ma verosimile, allo scopo di far funzionare a pieno regime i meccanismi di rappresentazione della realtà che ci caratterizzano. 

L'era digitale ha perfezionato in modo portentoso una invenzione della storia dell'umanesimo classico. Essendo la nostra società senza vertice e senza centro la sua natura relazionale a carattere reticolare non poteva che produrre un WEB, risposta logica ad esigenze strutturali di lunga durata. Il resto è solo intensità performativa perchè dato che in Occidente "chi può vince sempre su chi non può", mi sembra ovvio l'adeguamento di ogni individuo e di ogni gruppo sociale alle grammatiche della modernizzazione imposte dalla dominanza tecno-scientifica.

 

Secondo Franco Ferrarotti la pandemia non ha solo dimostrato la sua forza ma anche che il futuro non è della tecnologia. Quest’ultima ha favorito la globalizzazione ma ad averla realmente attuata è stata il coronavirus. L’incertezza che ne è derivata, su scala mondiale, non può trovare risposte nella tecnologia ma solo in una umanità capace di riconoscere i propri limiti. Grazie alla pandemia oggi c’è la possibilità di ripensare il futuro a misura d’uomo per rifondarlo su categorie nuove, non necessariamente quelle emerse in questa era digitale fatta di volontà di potenza, funzionalismo, narcisismo esagerato, visibilità ma anche servitù e complicità con le macchine sulle quali abbiamo fatto eccessivo affidamento fino a diventarne dipendenti. Oggi più che mai serve ciò che le macchine non hanno: progettualità, volontà, responsabilità, consapevolezza, empatia, solidarietà, senso della comunità e iniziativa umana. Lei cosa ne pensa. Che riflessioni le suggeriscono queste idee di Ferrarotti? Cosa fare per un futuro diverso?

L'essere umano è il mondo che lo implica.

Niklas Luhmann sosteneva che nonostante viviamo in una realtà contingente dove le cose stanno così, ma potrebbero benissimo stare altrimenti, ad una singola persona non è concesso di cambare nemmeno una virgola del contesto, anche se un cambamento pur minimo potrebbe essere tranquillamente contemplato data la non necessarietà di molte componenti del nostro mondo sociale.

Ognuno è libero di pensare ciò che vuole, ma non esiste un mondo che sta fuori ed un essere umano che al suo interno si ingegni per modificarlo. Il sistema sociale reagirebbe immediatamente, con dinamiche strutturali che imporrebbero di ricominciare daccapo il lavoro di riforma, dato il nuovo incremento di complessità strutturale.... La Gnosi antica, qualla di Marcione, parlava del mondo come di "Un immenso carcere senza via di scampo"; la lettura millenaristica a sfondo escatologico, riproposta in chiave secolare nell'epoca contemporanea, credo abbia una qualche ragione di essere. Si possono modificare strutture sociali semplici, ma nella nostra è quasi impossibile cercare di applicare strumenti emancipativi o di critica sociale.

Ricordo un titolo che Ferrarotti scrisse sui giovani nativi digitali: Un popolo di agguerriti, informatissimi idioti, (o giù di li). Le ricerche degli psicologi della comunicazione non attestano affatto una idiozia generazionale dei giovani internauti, ma una disposizione assai spiazzante per gli adulti nei confronti di interi repertori di azioni e di relazioni sociali. Il mutamento sociale non trova più nelle ideologie, ma nelle tecnologie un impulso sempre più forte, al netto della struttura sociale nella quale siamo inseriti e del patrimonio di concetti che ci si rendono disponibili per pensare. Anche quelli relativi al fare la rivoluzione....

 

La pandemia ha imposto in molti ambiti personali e lavorativi l’uso della tecnologia per interagire socialmente così come per lavorare e fare didattica. Il telelavoro esiste da anni, lo smartworking che molti scoprono oggi viene da lontano (in Italia primi anni 80) ma per ragioni culturali non si è mai affermato. Lo smartworking non è che uno dei tanti cambiamenti in atto. Forse più importanti sono il cambiamento (agile) delle forme organizzative, la flessibilità lavorativa e organizzativa, la gestione del tempo, di lavoro e tempo libero, come flusso continuo di entrambi, la mobilità, la parità di genere, ecc. Da sociologo/a come valuta ciò che sta succedendo nel mondo lavorativo e nella realtà esistenziale di ognuno sempre più determinata tecnologicamente?

Ecco appunto. Il discorso sulla forte intensificazione tecnologica del periodo pandemico è la conferma di quanto detto sopra. Il tema della pandemia in socioolgia potrebbe essere rubricato come l'ennesimo episodio della questione relativa al rapporto Evento/Struttura.

L'evento è una ondata oceanica tremenda che solleva ogni cosa; la struttura è la scogliera di granito che è li da secoli. Che succede? L'acqua dell'oceano si ritira, vi sono danni e devastazioni, ma la scogliera (la struttura sociale) resta intatta. Lo so che è difficile, ma per struttura sociale intendo una realtà sostanzialmente indifferente ai convincimenti ed alle sofferenze umane.

Società è un sistema emergente al di sopra delle colossali azioni/esperienze dei gruppi umani che si muovono al suo interno, largamente per eterogenesi dei fini, direbbe Max Weber. Cioè date alcune premesse, raramente si attivano linee causali che conducono a conseguenze desiderabili. La nostra è una società-mondo che non si può permettere il lusso di dipendere da Tizio o da Caio, semmai sarà il contrario. Se lei ha una impresa quotata in borsa e decide di de-localizzare, gli investitori la premieranno, senza rimproverarla delle famiglie che ha messo sul lastrico.

Il criterio di funzionamento della nostra società è autologico: fare soldi in economia, produrre leggi in politica, vincersi una causa in diritto; ogni sistema sociale è chiuso pricipescamente nella sua autoreferenza e dall'esterno le possibilità di un sistema sociale di influenzarne un altro sompre sempre minori. Cosa appare quasi irrilevante in tale logica macro? L'uomo. Ecco il post-human, dato che la nostra società non vive, ma emerge al di sopra dei suoi costituenti ambientali (corpi, sistemi psichici, movimenti verdi ecc.) determinando una dialettica infinita di aumento e riduzione della complessità.

 

Miliardi di persone sono oggi dotate di smartphone usati come protesi tecnologiche, di display magnetici capaci di restringere la visuale dell'occhio umano rendendola falsamente aumentata, di applicazioni in grado di regalare esperienze virtuali e parallele di tipo digitale. In questa realtà ciò che manca è una riflessione su quanto la tecnologia stia cambiando la vita delle persone (High Tech High Touch di Naisbitt) ma soprattutto su quali siano gli effetti e quali possano esserne le conseguenze.  Stanno cambiando i concetti stessi con cui analizziamo e cerchiamo di comprendere la realtà. La tecnologia non è più neutrale, sta riscrivendo il mondo intero e il cervello stesso delle persone. Come stanno cambiando secondo lei i concetti che usiamo per interagire e comprendere la realtà tecnologica? Quali strumenti interpretativi e mappe sono necessari per comprendere il nostro essere sempre più online (in Rete)? In che modo la sociologia può oggi aiutare nel cogliere le nuove composizioni sociali (reti, comunità, tribù, gruppi, ecc.), nel cogliere le somiglianze e le differenze da esse emergenti, nell’interpretare le relazioni fattuali e quelle virtuali e come esse siano condizionate dal mezzo tecnologico? Ritiene anche lei che la tecnologia non sia più neutrale?

Lei sa che la Sociologia non è una  "Nobel science" per intenderci, ma un'area di fusione tra discipline osservative diverse sulla condizione umana: psicoanalisi, antropologia, storiografia, economia, scienza della politica, ecc.

Ci sono delle "sociologie speciali" come la sociologia visuale, la sociologia della tecnica o la stessa sociologia dell'educazione che potranno monitorare in maniera ravvicinata il coefficiente trasformativo imposto dalla pervasività dell'utilizzo di strumenti informatici. Già nel 1964 Gunther Anders affermava che l'uomo "era antiquato", riprendendo delle suggestioni di Francis Bacon vergate nella "Nuova Atlantide" del 1627. La tecnologia non è solo una strategia problem solving, ma anche un criterio di integrazione della società, cioè prevede anche coloro che la criticano perchè riesce ad essere un fatto sociale totale. Evidentemente non esiste neutralità del mezzo tecnico perchè rende partecipi delle sue stesse ipotesi costruttive e rappresentative della realtà i suoi stessi utilizzatori. Recentemente ci si è molto interessati alle trasformazioni della gestualità dei giovani che fanno un utilizzo massiccio degli smartphone; la conclusione più ovvia cui sono giunti diversi osservatori, è che stiamo passando da tecnologie pensate per gli uomini ad uomini pensati per le tecnologie.

 

La rivoluzione tecnologica è sotterranea, continua, invisibile, intelligente. E’ fatta di componenti software miniaturizzati, agili e leggeri capaci di apprendere, di interagire, di integrarsi e di adattarsi come se fossero neuroni in cerca di nuove sinapsi.  Questa rivoluzione sta cambiando le vite di tutti ma anche la loro percezione della realtà, la loro mente e il loro inconscio. Modificati come siamo dalla tecnologia, non ci rendiamo conto di avere indossato delle lenti con cui interpretiamo il mondo e interagiamo con esso. Lei cosa ne pensa?

Si tratta di uno scenario che potremmo definire di pro-determinazione dell'essere umano in vista di tecnologie di discontinuità (computer con libero arbitrio; esonero umano da azioni rischiose ed assistite tecnicamente; robot militari che esauriranno qualsiasi retorica dell'eroismo e di attaccamento alla Patria....).

La tecnologia interpreta meglio di altre istanze costruttrici di realtà sociale ed individuale, quello che si era soliti definire "spirito del tempo"; i risvolti più sorprendenti si avranno sull'ambiente umano il quale, necessariamente debitore di una temporalità ortogonale rispetto a quella tecno-scientifica, finirà per essere risucchiato nel gorgo dell'innovazione incessante alla base della sua stessa idea di società. Con esiti altamente imprevedibili....

 

Una delle studiose più attente al fenomeno della tecnologia è Sherry Turkle. Nei suoi libri Insieme ma soli e nell'ultimo La conversazione necessaria, la Turkle ha analizzato il fenomeno dei social network arrivando alla conclusione che, avendo sacrificato la conversazione umana alle tecnologie digitali,  il dialogo stia perdendo la sua forza e si stia perdendo la capacità di sopportare solitudine e inquietudini ma anche di concentrarsi, riflettere e operare per il proprio benessere psichico e cognitivo. Lei come guarda al fenomeno dei social network e alle pratiche, anche compulsive, che in essi si manifestano? Cosa stiamo perdendo o guadagnando da una interazione umana con la realtà sempre più mediata da dispositivi tecnologici?

Il linguaggio è il motore di un sistema sociale, dato che consente ad Ego di attivare le sue aspettative nei confronti di Alter e viceversa. Se lei moltiplica gli effetti di questa disposizione per milioni di occorrenze, potrà comprendere l'improbabile probabilità dell'intesa comunicativa, sempre in bilico tra distorsione delle intenzioni e caso fortuito.

Tra l'altro, nella verboarticolazione umana vi è una grave e costante perdita di informazione che fa impiegare troppo tempo per raggiungere una intesa formalizzabile. All'umano occorre del tempo per dispiegare le sue potenzialità. Alla tecnologia molto meno e nel mondo digitale spesso si parla con entusiasmo dell'estrema semplificazione dei linguaggi che spesso si possono ridurre all'alternativa si/no.

La codificazione semplificata del linguaggio è alla base dello stesso funzionamento binario dei sistemi sociali su cui si è costruita la società differenziata (pago/non pago in economia; giusto/ingiusto in diritto, ecc.). Certamente le competenze linguistiche rispecchiano la possibilità di un essere umano di valutare il suo processo di introiezione/acculturazione in riferimento al contesto storico-sociale in cui viene al mondo, ma la novità di questi ultimi decenni è proprio la moltiplicazione dei linguaggi e l'attraversamento di mondi ispirati a logiche costitutive diverse. Ogni individuo ha necessità di farsi parte attiva di questi mondi, correndo però il rischio di frammentarsi nella babele dei linguaggi.

 

Secondo Richard Sennet, autore del libro L’uomo artigiano, basta un’intuizione per dare senso e concretezza a bisogni diffusi. Serve anche cooperazione (legami), abilità (lavorare bene) e fierezza per le cose ben fatte, nella realtà fattuale così come in quella online. Il sapere che sta alla base dell’artigianalità si basa sui legami. Non soltanto mutualistici, di cooperazione e collaborazione ma anche di competenze dialogiche. In rete tutti operiamo per accrescere le nostre reti di contatti ma non sempre i legami che ne derivano servono al nostro essere artigiani in termini di relazionalità, di reale cooperazione e collaborazione. Lei cosa ne pensa. Qual è il ruolo della tecnologia nel definire gli ambiti delle competenze necessarie, delle professionalità del mercato e del lavoro in generale?

Le reti sono una metafora della valutazione strumentale dell'altro e della lettura spregiudicata delle modalità individualistico/possessive di stare sulla scena del mondo cui tutti noi dobbiamo conformarci. Sono convinto che la tecnologia imponga le sue strategie ad un "ambiente umano" che soffre di un evidente dislivello prometeico. Il gergo umanistico con cui si cerca di dettagliare l'inserzione dei singoli individui nelle strategie del mercato del lavoro, lascia il tempo che trova perchè il passaggio delle tecnicalità organizzative alle stesse modalità che abbiamo di percepirci, da un lato impone delle logice lavorative uguali per tutti e dall'altro indirizza la personalizzazione delle traiettorie di vita e di impiego nell'alveo di tendenze alla omogeneizzazione che sono ormai di portata globale.

Vuole aggiungere altro per i lettori di SoloTablet, ad esempio qualche suggerimento di lettura? Vuole suggerire dei temi che potrebbero essere approfonditi in attività future? Cosa suggerisce per condividere e far conoscere l'iniziativa nella quale anche lei è stato/a coinvolto/a?

Mi permetto di suggerire due testi, uno di un semiologo e l'altro di un filosofo:

Gianfranco Marrone, La fatica di essere pigri, Cortina, MIlano, 2020;

Miguel Benasayag, Cinque lezioni di complessità, Feltrinelli, Milano, 2021;

Cosa pensa del nostro progetto SoloTablet? Ci piacerebbe avere dei suggerimenti per migliorarlo!

E' senz'altro un buon progetto.

Complimenti!

 

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