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🍒🍒RESIGNATION O RASSEGNAZIONE?

🍒🍒RESIGNATION O RASSEGNAZIONE?

14 Luglio 2022 Redazione SoloTablet
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Da mesi molta attenzione è stata posta al fenomeno della cosiddetta GREAT RESIGNATION, l’aumento delle dimissioni (negli USA nel 2021 si sono dimessi complessivamente quasi 50 milioni di lavoratori) dalle aziende, determinate dalla ricerca di una migliore qualità della vita.

Sembra la fine di una illusione collettiva, il diffondersi di un disincanto che va oltre il lavoro, un modo per riprendere il controllo di sé e di farlo a partire da una prima grande decisione, licenziarsi. Tra le cause principali sono state identificate leadership tossiche e culture aziendali molto interessate al capitale umano ma poco rispettose nei confronti dei dipendenti come esseri umani. Altri fattori sono stagnazione salariale (oggi peggiorata dall’inflazione galoppante), (s)bilanciamento vita-lavoro, località/distanza del posto di lavoro, qualità dei colleghi (concorrenti), opportunità di carriera, (in)stabilità, rispetto, riconoscimento ed etica. Lo storytelling ideologico sul tema è già all’opera cercando di spiegare il fenomeno anche come opportunità e libertà. Si racconta che potrebbero diffondersi proposte di maggiore flessibilità (lavoro da remoto e altro) e lavori che si modellano alle vite delle persone e non viceversa. Automazione (anche algoritmica) e intelligenza artificiale nel frattempo faranno il resto, con il rischio che molti di coloro che si sono licenziati saranno costretti a reinventarsi come imprenditori di sé stessi (?), assumendosi tutti i rischi e i costi che ne derivano. 

Anche in Italia il fenomeno è in costante crescita, nonostante le dimissioni rappresentino un vero e proprio salto nel buio, in un mercato fatto di precarietà, in assenza di legislazioni adeguate, ad esempio per l’indennità di disoccupazione, e per la difficoltà a trovare un nuovo lavoro. Colpisce una recente indagine del Censis che ha rilevato come l’82,3% dei lavoratori – l’86,0% tra i giovani, l’88,8% tra gli operai – si dica insoddisfatto della propria occupazione e ritenga di meritare di più. Una insoddisfazione che nasce da salari inadeguati, da welfare aziendali poco attenti alle esigenze delle persone e da ritmi di lavoro percepiti come stressanti. 

🍒GIOCANDO CON LA PAROLA 

Resignation è termine inglese per dimissioni che richiama, anche mnemonicamente, la parola rassegnazione. La parola si sposa bene con alcuni sinonimi di resign come give up, surrenderm, abandon, turning back, cut out, nella lingua francese renounce, dal latino resignare (re+signare), rompere un sigillo. A resignare è collegata anche la parola rassegnazione sia nel significato transitivo di rinuncia(re), rilassarsi, rimettere, sia intransitivo, a significare il (ri)mettersi alla volontà altrui, al fluire degli eventi accettandone (tollerandone, sopportandone) le conseguenze, o al fato. La rassegnazione potrebbe anche essere vista come “una ristrutturazione del campo immaginario” (Berardi Bifo) capace di rivelare nuove prospettive che nel contesto attuale rimangono negate. 

🍒LA GRANDE RASSEGNAZIONE 

Per capire ciò che sta succedendo bisogna allargare l’orizzonte, guardare oltre, OLTREPASSARE, rendersi disponibili a decostruire il contesto ideologico nel quale si nuota da tempo come i famosi pesciolini del racconto di Foster Wallace che non sanno cosa sia l’acqua nella quale sguazzano felici e contenti da quando sono nati. 

Il contesto, da far risalire al 2008, è quello della crisi del tecno-liberismo costruito su promesse felicitarie, ‘capacitarie’ e utilitaristiche non mantenute, se non per pochi fortunati. Lavoro precario, salari da fame e precarietà esistenziale, le bufale sul personal branding e l’imprenditoria di sé stessi, il capitale umano come risorsa di successo, la leadership come abilità di influenzare e fare (self)marketing di sé stessi, ecc. hanno creato grandi disillusioni che oggi si stanno manifestando in disincanto, in un ripensamento delle proprie vite lavorative e personali, nell’emergere di tanti elementi di rottura che mettono in discussione il presente. E la cosa sta succedendo ora perché, come ha scritto Paul Krugman, la pandemia ha permesso a molte persone di riconsiderare le proprie scelte di vita. Una riflessione esistenziale, etica, prepolitica ma pronta a trasformarsi in politica, che suggerisce a un numero crescente di ‘umani’ di non perdere più tempo per salari bassi, vivendo nella precarietà e instabilità lavorativa, nella tensione continua da cui derivano malessere psichico ed esistenziale.   

Rinunciare al lavoro, prendersi una pausa è come tirare il freno a mano di emergenza, è sintomatico di qualcosa di importante che va oltre il gesto in sé, anche per la sua valenza globale. Non comunica soltanto la scelta di nuovi stili di vita o di lentezza (che barba la filosofia della lentezza) ma anche una reazione, in particolare nelle nuove generazioni,  decelerezionista e antagonista. Non riguarda solo il lavoro ma una percezione diffusa di vivere tempi di crisi nelle quali il futuro fa paura, si diffonde il disincanto e aumenta la rassegnazione determinata dalla percezione di non potere fare nulla per cambiare, perché in realtà, in particolare in Italia, nulla mai cambia. 

Non è un caso che in tutti i paesi cosiddetti democratici la maggioranza dei cittadini non partecipi più alle elezioni ritenendo la democrazia morta e la politica impotente, non ci sia più alcuna fiducia in partiti e sindacati, si sia persa ogni aspettativa da movimenti che nascono e si liquefanno come neve nel deserto, si sia persa la fiducia in sé stessi (crisi della soggettività) come motore di cambiamento, si sia smesso di fare figli generando una crisi demografica dagli effetti futuri garantiti, e ora ci si ritiri anche dal lavoro. 

La rinuncia al lavoro può sembrare frutto di confusione, esaurimento e stanchezza, in realtà segnala il dissolversi di credenze, ideologie, narrazioni, contesti, capaci di dare significato all’esistenza. Il dissolvimento interessa ambiti privati e pubblici, individuali e collettivi, economici e sociali, genera panico, ansia persistente, mancanza di senso e infelicità. Il tutto è accelerato dalla velocità della tecnologia e dalle piattaforme a cui tutti sono collegati, generando una entropia crescente, prodromica a situazioni future caratterizzate dall’elevata criticità, da probabile aggressività e violenza. Probabile perché le alternative non ci sono ancora, essendo state per anni denigrate e frustrate. E le alternative si declinano in solidarietà e partecipazione, nel ripensamento delle idee di progresso, crescita, sviluppo ed evoluzione, in comportamenti di consumo responsabili e frugali, nel rallentamento psichico e nel recupero dell’attenzione oggi regalata alle piattaforme digitali, nella riscoperta del corpo, degli sguardi e dei volti, del vissuto e della sensibilità, in modo da poter operare una riconfigurazione del presente e del futuro, non solo di quello individuale. 

🍒ALLA RICERCA DI SENSO 

Più che alla ricerca di felicità, molti sembrano impegnati nel tentativo di ridare senso e significato alle loro vite, anche con scelte radicali dalle conseguenze imprevedibili. È un tentativo complicato, molto difficile perché obbliga a mettere in discussione i cardini sui cui si regge un sistema economico che ha dominato senza avversari, anche ideologicamente, negli ultimi 40 anni. Un sistema basato sul denaro e sull’utilitarismo, sulla massimizzazione dei profitti, sull’atomizzazione sociale, sull’individualismo e il nichilismo passivo, sul benessere individuale prima che collettivo, sulla competizione invece che sulla solidarietà, sull’autosufficienza invece che sulla collaborazione. 

Il risultato è però stato deludente e oggi molti se ne stanno accorgendo. Si stanno misurando con gli effetti in termini di sgretolamento dei diritti, sostituzione del pubblico con il privato, sparizione del bene pubblico e della solidarietà sociale, disuguaglianze, catastrofi sociali, politiche e ambientali, evidenti e non camuffabili dallo storytelling mediale prevalente, prevalenza del valore di mercato sui legami sociali e umani, solitudine e isolamento anche come risultato di un linguaggio sempre più informativo e sempre meno empatico e capace di veicolare significati, prevalenza dell’immagine di noi stessi (…sui social) su ciò che noi siamo. 

E poi ci sono anche gli effetti materiali, che colpiscono soprattutto i Millenial e la generazione Z. Sono effetti misurabili in difficoltà ad accedere all’istruzione (costi sempre più elevati, anche degli affitti), indebitamento delle famiglie, lavori precari e sottopagati, sparizione dei servizi sociali, impossibilità a farsi ascoltare e rappresentare dalla politica, difficoltà a programmare il futuro, disillusione sulle promesse di guadagno e di successo digitali (uno su cento ce la fa, forse!), scoperta drammatica di quanto sia falsa l’idea che il proprio successo dipenda da sé stessi piuttosto che dai contesti sociali, economici, culturali e politici nei quali si è immersi. 

Se questi sono gli effetti e i risultati ottenuti non è difficile capire la scelta della RESIGNATION e della RASSEGNAZIONE. Quest'ultima vissuta anche in assenza di dimissioni!

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