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Facebook, notizie false, Trump e referendum

Facebook, notizie false, Trump e referendum

18 Novembre 2016 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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L'elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti ha prodotto un'interessante riflessione sulla verità e sulla crescente difficoltà a distinguerla dalla falsità. Per alcuni il problema è Facebook che fa da veicolo e propagatore di bufale e notizie false. Per altri il problema è filosofico e sociologico, e concerne una società incapace oramai di distinguere tra i fatti e la finzione, tra il vero e il falso. Più che di Facebook, la responsabilità è probabilmente della politica e dei suoi rappresentanti attuali. Chi sta seguendo il dibattito sul referendum costituzionale ne ha una plastica fotografia fatta di immagini mai definite, piene di ombre e chiaroscuri e con personaggi che cambiano faccia ad ogni folata di vento.

«la verità, lo sai, mi fa male …» canta Hillary Clinton

Finita l'era delle ideologie stiamo vivendo quella del dubbio e dell'incertezza. Il primo è sempre stato alla base della riflessione filosofica, fondata sull'idea che le conclusioni a cui ogni persona può arrivare non siano assolute ma sempre aperte a discussioni e revisioni e condizionate dal contesto sociale. L'incertezza non è tanto legata al dubbio filosofico ma a quello esistenziale che deriva da una realtà fatta di lavori precari e sottopagati, di scenari futuri mutevoli e imprevedibili e dalla sensazione di vivere una stagione da fine di tempi per i numerosi cambiamenti che non riescono a offrire soluzioni definitive alle molteplici crisi emergenti.

Il dubbio filosofico continua a essere pratica di pochi, l'incertezza è di molti. E' a quest'ultima che si è rivolto il messaggio ingannevole di Trump, fondato su una commistione di vero e falso, con l'obiettivo di creare adesione, sfruttare la credulità dando forma a vere e proprie bolle di informazione e di descrizione della realtà fasulle, prese per vere da un numero elevato di persone.

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Reality show e social networks

Ciò che è avvenuto è stato valutato come il risultato di un cocktail micidiale di populismo politico e potere dei social network che ha definito un nuovo contesto di verità (post-verità è il nuovo termine coniato negli Stati Uniti) nel quale non è più possibile verificare i fatti e la loro fattualità e veridicità perchè ormai tutte le fonti sono ritenute valide allo stesso modo, anche quelle scelte sulla base delle proprie opinioni personali e dei propri pregiudizi.

E' un contesto che ha fatto emergere una nuova forma di ideologia, tutta costruita sulla frammentazione dell'opinione pubblica. Un ritorno della post-modernità in termini di realtà come semplice frutto di interpretazioni ma fondata sulla pretesa legittima dei molti di fare la storia.  Una voglia di protagonismo che prende la forma di lotta di classe (popolo-elite) ma che affida le sorti dei suoi protagonisti nelle mani di personaggi politici che puntano all'affermazione (propaganda) piuttosto alla verità e sulle opinioni invece che sui fatti.

Dopo anni di reality show e di social networking alla Facebook, la realtà ha finito col perdere la sua forza per lasciare spazio alla finzione e al trash, ma anche per trasformare istanze e bisogni reali, dettati dall'incertezza e dalle difficoltà dell'esistenza, in  azioni che produrranno grandi abbagli e un ancor più grande inganno, incapaci come sono di condurre fuori dalla gabbia di acciaio della precarietà nella quale molte persone sono oggi imprigionate.

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Notizie false, notizie vere

E' in questo contesto che si colloca in questi giorni la discussione sul ruolo di Facebook nella circolazione di notizie false e la decisione dell'azienda di monitorarle e rimuoverle. Tutti concordano che qualcosa debba essere fatto e ora, a elezioni concluse (molti hanno accusato Facebook e Twitter di avere contribuito all'elezione di Trump...), anche Mark Zuckerberg sembra pensarla allo stesso modo, ma il problema non sembra così semplice da risolvere.

Facebook potrebbe decidere di non fare nulla, di implementare nuovi algoritmi e software di intelligenza artificiale per individuare le fale notizie e le narrazioni inventate, mettere all'opera un team di persone dedite alla ricerca di false notizie o affidarsi alle azioni degli utenti chiedendo loro di agire come spazzini delle falsità e delle non verità pubblicate in Rete. Nessuna di queste scelte sembra essere la risposta definitiva e nessuna sembra avere la possibilità di risolvere un problema irrisolvibile perchè legato alla percezione della realtà determinato dalle condizioni materiali, dalle opinioni, dai pregiudizi e dalle conoscenze di ognuno.

Non fare nulla è stata da anni la scelta su cui si è sviluppata molta parte della vita online. In parte per una scelta filosofica di fondo, in parte per semplice apatia e impossibilità di trovare una soluzione ottimale ad un problema complesso come quello della verità e di chi possa deciderne la veridicità e validità. Ogni scelta potrebbe nella realtà apparire come politicamente orientata (scorretta) o come tale percepita. Non fare nulla però significa anche lasciar tranquillamente circolare in Rete notizie che non superano la verifica dei fatti (fact checking) per la loro effettiva e dimostrabile falsità.

Rivolgersi ad algoritmi e bot per scremare le notizie vere da quelle false non dovrebbe essere un problema. Già oggi innumerevoli algoritmi, dotati di capacità di apprendere e di intelligenza artificiale, sono all'opera con finalità prettamente commerciali e di profitto. Se questi algoritmi sono già oggi in grado di personalizzare la proposizione a video di uno sport promozionale in base alle notizie raccolte sull'utente online, non dovrebbe essere complicato fare a stessa cosa con finalità diverse. Rimangono due grossi problemi di fondo: chi decide quali siano le notizie false da cancellare e perchè ci si dovrebbe fidare di algoritmi che già oggi, asserviti come sono agli obiettivi di profitto di chi li ha creati e attivati sulle proprie piattaforme, violano senza alcun controllo e possibilità di limitazione la privacy delle persone e la loro riservatezza oltre che decidere aprioristicamente cosa mostrare o non mostrare (vedi i meccanismi della personalizzazione del motore di ricerca di Google).

Non sembra sfuggire alla stessa logica e considerazioni la scelta eventuale di affidare la scrematura delle notizie a un team di persone in carne e ossa. Nessuno potrebbe infatti credere che le loro scelte possano essere basate sulla pura razionalità e correttezza e non possano essere influenzate dalle opinioni personali o di quelle che li comandano. Un problema esattamente simile a quello che emerge dall'uso degli algoritmi, a loro volta costruiti con logiche decise da persona umane con le loro opinioni e i loro pregiudizi.

La soluzione ideale potrebbe però risiedere nella attiva partecipazione degli utenti nella identificazione e segnalazione delle notizie false, magari attraverso l'attivazione di nuove tipologie di segnalatori che come i Like potrebbe servire da misuratori della veridicità o meno di una notizia o di una storia pubblicata online. E' una soluzione che appare semplice ma che in realtà si scontra con tutta l'ambiguità del mondo online attuale, fatto di identità non certificabili (le notizie cancellate potrebbero essere vere ma segnalate come false intenzionalmente, ad esempio per motivi politici), di strumenti tecnologici per loro natura manipolanti e di molta spazzatura informativa e di false conoscenze che potrebbero rendere difficile risalire alle fonti di una notizia o verificarne la veridicità.

Nessuna delle opzioni possibili fornisce da sola la soluzione. Nessuna può farlo, il problema non è legato solamente all'uso dello strumento tecnologico ma al tema della verità in un contesto più ampio, quello della società, della politica, del rapporto tra potere e verità, della esperienza individuale della crisi corrente, della mercificazione delle persone sempre più deprivate di un reale potere di scelta e di peso politico (il riferimento al referendum costituzionale è puramente casuale).

Verità e realtà dei fatti

Il problema non è più ontologico o filosofico e neppure tecnologico. E' probabilmente legato al bisogno di nuove certezze, di voglia di rappresentazione e partecipazione. Si crede a qualsiasi cosa pur di ottenerla. Ed essendo venuta meno ogni forma politica alternativa, tipicamente collocata a sinistra, al potere di turno, oggi questo bisogno trova espressione in personaggi politici come Trump ma anche come Renzi o Sarkozy che hanno deciso di sposare il trumpismo per non perdere il potere.

Più che la verità conta la realtà dei fatti e l'interpretazione che ne danno coloro che la vivono, in un circolo vizioso di depressione determinato dall'impossibilità di cambiare le condizioni materiali della loro esistenza e dalla distanza percepita dal potere.

Se non si vuole che questa realtà sia governata da rabbia e invidia non serve chiedere a Facebook di introdurre meccanismi di verifica della veridictà delle notizie. E' necessario ricorrere a d una concreta analisi sociale ed economica e produrre la cultura che serve per capire quanto  il problema non stia solo nelle storie inventate dal potente di turno per ingannare i suoi potenziali sostenitori ma soprattutto per capire le storie inventate per ingannare se stessi. Questa potrebbe essere la prima verità da cui partire e in questo Facebook, Twitter e le altre piattaforme tecnologiche hanno un ruolo relativo!

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*Spunti per questo articolo tratti dall'articolo di Christian Salomon su la Repubblica e quello di Jan Dawson su https://techpinions.com/

 

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