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Il silenzio perduto dell'era digitale

Il silenzio perduto dell'era digitale

09 Febbraio 2018 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Il rumore non è più solo un'esperienza di chi vive in città. Il rumore è ovunque e pervasivo, segue chiunque e non abbandona nessuno. Tutti vivono il rumore di fondo della tecnologia perché tutti sono ormai connessi e coinvolti. E' un rumore mentale e del desiderio, continuamente alimentato dai social network, che impedisce il silenzio, in particolare quello interiore. L'assalto al silenzio è coltivato con cura e meticolosità ma anche reso possibile dalla nostra scarsa resistenza e opposizione.

L'unico silenzio che sembra interessare alla tecnologia è quello delle cuffie che, eliminando il rumore permettono, secondo quanto promette la pubblicità che le reclamizza, di ritrovare il silenzio ma che in realtà riducono solamente il rumore di fondo in modo da permettere un ascolto musicale di qualità. L'isolamento e il silenzio che ne derivano non sono esperienze paragonabili a quelle riscontrabili durante un ritiro in un monastero francescano o buddista o durante la scalata di una montagna.

Il silenzio di cui avremmo bisogno invece è quello fuori e dentro di noi, del pensiero che pensa sé stesso e si fa ascoltare, della bocca  che tace e della volontà. Il silenzio ricercato non è solo quello acustico, oggi rotto in continuazione da un inquinamento fatto di urla, decibel lanciati in tutte le direzioni e generati da una miriade di oggetti che abitano le strade, il cielo, il sottosuolo (metropolitane, ecc.), gli spazi commerciali, l'orizzonte visivo ma anche i nostri auricolari e le nostre protesi tecnologiche.

Il caminetto del mio rifugio montanaro!

Sommersi dal rumore di fondo e dall'inquinamento acustico siamo immersi in ambienti tecnologici che ci hanno fatto dimenticare le esperienze sonore degli ambienti naturali. Ambienti caratterizzati anch'essi da rumori diffusi ma in sintonia con quello che dovrebbe essere l'esperienza di vita di esseri umani che vogliono continuare a mantenere l'abilità di distinguere suoni e rumori, di scegliere quando farlo e di dare loro il giusto valore, che in alcuni casi potrebbe esprimersi in silenzio.

Così come il rumore continuo di fondo della nostra era globalizzata sta cambiando la vita dei mondi animali, di quelli marini e di quelli naturali, il rumore tecnologico dei mondi digitali a bassa frequenza a sempre in azione porta allo spiaggiamento un numero crescente di individui, incapaci ormai di distinguere il cinguettio elettronico da quello di un pettirosso o di un cardellino.

L'inquinamento acustico diffuso suggerisce interventi tecnologici finalizzati a isolare scuole e edifici dal rombo di aerei decollanti, a mettere il silenziatore a moto sempre più potenti e rumorose, a  creare spazi liberati dai rumori e insonorizzati con corridoi di fuga dai rumori persistenti e di sottofondo. La tecnologia non può però garantire l'unico silenzio di cui oggi probabilmente ci sarebbe bisogno. Il silenzio che nasce dall'ascolto di sé stessi e rende possibile l'ascolto e il rispetto degli altri. Il silenzio musicale di John Cage, non necessariamente collegato a espressioni sonore e tonali ma pur sempre ricco di suoni e musica che bisogna imparare, in silenzio, a riconoscere e ad ascoltare. Un silenzio reso difficile da sperimentare in ambienti e situazioni sempre presidiati da protesi e oggetti tecnologici, che con i loro squilli, cinguettii, notifiche varie, producono una cacofonia di suoni difficilmente interrompibile e superabile. A meno di abbandonare ogni connessione e dispositivo per rifugiarsi in un eremo, un monastero, una vetta o un atollo marittimo nel quale non esiste Wi-Fi, non arrivano segnali diversi da quelli che il silenzio interiore può inviare.

Disconnessi, finalmente soli (non necessariamente solitari), senza protesi tecnologiche e rilassati, ci si può allora dedicare alla riflessione e alla meditazione, due pratiche con cui nutrire attraverso la concentrazione, anima e corpo  in modo consapevole e prendendosi cura di sé. Pratiche che non portano o non passano necessariamente da una chiesa o un monastero, da una palestra di Yoga o dall'anagarika (scelta di abbracciare la vita monastica) ma che servono a dare forma al silenzio che serve per meditare e riflettere e nel farlo a sentirsi connessi al mondo. Una connessione irraggiungibile da qualsiasi browser, piattaforma di social network o rete Wi-Fi frequentati ogni giorno. Una esperienza del tempo presente che non rinnega il passato e costruisce nuovi futuri perché permette di rimanere concentrati su quello che si sta facendo e sulle proprie percezioni ed emozioni.

Foto di un'opera dell'artista Kretz Gaby esposta in una chiesa alsaziana

 

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