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Il tempo è solo presente: The Big Now!

Il tempo è solo presente: The Big Now!

10 Marzo 2017 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Come ha scritto Douglas Rushkoff, la nostra società è orientata al presente. Viviamo in un grande Big Now nel quale tutto deve avvenire online e Live, in tempo reale e senza alcun momento di tregua. La vita sembra a tutti accelerata ma nella realtà non lo è. E' semplicemente dimensionata sul tempo corrente, sul consumismo usa e getta e su ciò che sta succedendo in un dato momento. Il presentismo però da solo non basta!

Orientati come siamo al tempo presente tecnologico il rischio è di dimenticare il passato e perdere la prospettiva del futuro. Vivere costantemente nel presente sembra essere la soluzione perfetta per una vita vissuta di corsa ma percepita come buona e l'unica oggi percorribile. Nella realtà vivere nel presente non aumenta la consapevolezza di ciò che ci circonda e non ci permette di interagire con la realtà in modo più efficiente, produttivo e utile.

Nessuno è obbligato a staccare la spina dai mezzi tecnologici che lo tengono incatenato al presente continuo, ma forse una maggiore attenzione autocritica su quanto gli succede potrebbe suggerire approcci utili a garantirsi esperienze umane, professionali e lavorative di qualità.

Fare cose diverse da quelle a cui si è abituati o che tutti fanno non è semplice, richiede energie supplementari e una qualche dose di fatica. Pensare in modo diverso non è semplice soprattutto se si è impegnati in un multitasking anomalo determinato da mezzi tecnologici e applicazioni richedenti costante attenzione, input, feedback e azioni. Fare molte cose insieme non è comunque umanamente sostenibile, per lo meno non in modo continuativo. Meglio al contrario focalizzare l'attenzione su poche cose e concentrarsi con passione su una o due cose a cui si tiene veramente o che si vuole vedere cambiare. Per praticare l'arte della focalizzazione è però necessario liberarsi dal surplus informativo sempre presente e adattare con intelligenza il surplus cognitivo in cui si è immersi agli obiettivi su cui si è deciso di intervenire.

Una delle molle per un'azione di interpretazione e trasformazione della realtà è la curiosità. Oggi essa viene esercitata prevalentemente online (Google Search e non solo), negli spazi abitati della Rete (cosa fanno i nostri amici e cambiamenti di stato) e in mille altri ambiti abitati tecnologcamente (Internet degli oggetti, automobili e case intelligenti, ecc.). La curiosità dovrebbe però essere esercitata anche nella vita reale, in casa, nelle relazioni con amici e conoscenti e in ambienti di lavoro. essere curiosi significa osservare cosa fanno gli altri e imparare dalle loro azioni, praticare la conversazione e la comunicazione pragmatica, fare domande e predisporsi all'ascolto, all'imitazione, all'apprendimento e ad interrogarsi prima di ogni scelta o azione.

Poste le domande ci si può affidare per le risposte alla propria intuizione. Una capacità umana oggi condizionata dal fatto di essere condizionati dagli strumenti tecnologici che usiamo. Molte delle nostre percezioni della realtà e delle intuizioni che da esse deriviamo sono il risultato delle percezioni di sensori, applicazioni e altri strumenti tecnologici che fanno da intermediari tra noi e i dati della realtà. Abbiamo disimparato a sentire il cuore e i suoi battiti e ci affidiamo ai sensori di FitBit o di iWatch per conoscerli. Stiamo disimparando a cogliere il lampo negli occhi di un interlocutore o interlocutrice e ci affidiamo alle lenti miracolose e HD delle fotocamere dei nostri dispositivi. Dubitiamo delle nostre intuizioni legate ai fatti, alle immagini, alle esperienze e preferiamo contare sempre più su quelle elaborate in modo logico e razionale da algoritmi software sempre più intelligenti ma forse ancora scarsamente intuitivi. Affidarsi ai dati e agli algoritmi significa rinunciare alla capacità della componente subcosciente della nostra mente di riconoscere dettagli, pattern e lezioni apprese nelle esperienze del passato e che servono a dirci se le nostre intuizioni sono sintonizzate con ciò che siamo e ciò che già conosciamo. Fare una scelta di vita basata su una intuizione è cosa ben diversa dall'affidarsi all'intuizione di Tripadvisor che ci segnala l'hotel che, secondo i suoi algoritmi, è perfetto per la nostra vacanza.

Uscire dal tempo presente significa riconoscere la stagionalità del tempo e quella della vita. Significa allontanare per un attimo il ronzio compulsivo e continuo di quanti non rinunciando all'attivo fuggente si fanno sfuggire tutti gli altri attimi seguenti. Significa cedere il controllo, fare un passo indietro (il passato è sempre lì, non è sparito così come non sparisce dal cloud o dai Big Data) godersi una pausa, parlare o riflettere sulla vita che si sta vivendo, fare scelte diverse e decidere che si può anche non fare ciò che tutti fanno, spesso senza rendersi conto della noia che li accompagna e della schizofrenia alla quale sono costantemente costretti dall'urgenza del tempo reale e presente.

Prendere le distanze dal presente e dalle sue schizofrenie e/o digifrenie (termine coniato da Rushkoff per descrivere la spinta mediatica e tecnologica a essere in più posti nello stesso istante) ci si potrebbe rendere conto di quanto diverse siano le relazioni dentro il mondo digitale del muro delle facce rispetto a quelle nella realtà fattuale in cui ognuno continua a essere immerso. Tornare a relazioni umane, faccia a faccia, occhi negli occhi, tattili e cinestetiche, offre un numero di opportunità maggiore per sentirsi bene. Si possono vivere esperienze che online non sono possibili, o lo sono in modo diverso, come la confidenza, la conversazione prolungata, l'adattamento empatico all'altro, l'ascolto, la qualità del tempo inteso come kairos, la resilienza che nasce da pochi contatti ma più reali perché sentiti e percepiti anche fisicamente e la libertà che deriva dall'avere rinunciato alla schiavitù del proprio profilo digitale.


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