Il racconto di una rivoluzione in atto
Le difficoltà che le nuove forze politiche stanno affrontando trovano il loro riscontro immediato nelle difficoltà dei media nel raccontarle. Si percepisce un gap cognitivo, forse dettato dalla scarsa disponibilità ad accettare il nuovo che emerge, che guarda attonito allo sfarinamento di algoritmi di sistema che sembravano immutabili e insostituibili.
Mentre si analizzano gli algoritmi digitali che sembrano caratterizzare la novità pentastellata con la sua piattaforma Rousseau e il suo populismo digitale, ci si dimentica che gli algoritmi esistono da tempo, ben prima della loro evoluzione digitale. Gli algoritmi pre-esistenti sono quelli che hanno permesso a forze politiche tradizionali, anche se non più rappresentative, di continuare a celebrare i riti sempre meno partecipati della Repubblica, di costruire le loro narrazioni mediatiche e di imporre le loro leggi 'per il bene del paese', oltre che per appalti e regalie varie. Nel farlo queste forze hanno dato forma nel tempo ad algoritmi (alchimie) potenti capaci di impedire, anche con l'aiuto di media tutto tranne che indipendenti, ogni forma di ribellismo, rivoluzione e cambiamento.
Oggi si devono confrontare con nuove tipologie di algoritmi, non più di loro proprietà e neppure da loro gestibili, che hanno facilitato l'emergere di nuove forme di fare politica ribellandosi all'esistente, nuovi modi (diversi dai giornali) di acquisire informazioni utili alla comprensione della realtà e di maggiore consapevolezza politica, utile a trasformare la relazione tra cittadino e istituzioni, elettori e partiti.
Forze e realtà emergenti
Ciò che di stimolante e interessante sta emergendo (non necessariamente una svolta ma sicuramente un cambiamento molto importante) è l'affermarsi di modalità nuove di fare politica come effetto trasformativo delle tecnologie digitali sulla realtà. Il disorientamento che ne deriva colpisce sia coloro che hanno adottato la tecnologia come strumento di cambiamento (loro stessi spesso inconsapevoli del ruolo non neutrale degli algoritmi di Google Search o di Facebook e del ruolo dei Big Data), sia coloro che fanno fatica a comprendere come e quanto in profondità essa stia sostituendosi alle narrazioni tradizionali, mettendo in crisi le abitudini praticate nell'esercizio del potere e i suoi meccanismi di gestione, consolidati nel tempo, che ne hanno permesso l'esistenza e la continuità.
Le machine al lavoro, gli umani senza lavoro felici e contenti!
I nuovi algoritmi emergenti (Algoritmi di libertà) sono stati qualificati come populisti facendo ricorso a una terminologia molto ambigua che spiega soltanto, in molti casi, la liturgia fatta di semplici contumelie e scarse riflessioni di chi continua a non comprendere la componente democratica del populismo. Una componente fatta di comportamenti anti-establishment che mirano semplicemente a rimescolare le carte del potere (vedi articolo di Nadia Urbinati su la Repubblica del 14 di maggio), dandone una fetta maggiore a coloro che per anni se ne sono sentiti esclusi e che nel reclamarlo cambiano in popolocrazia (terminologia usata da Marc Lazar e Ilvo Diamanti in un suo libro che tutti dovrebbero leggere) i connotati delle democrazie occidentali.
Rimescolamento delle carte
Il rimescolamento delle carte è avvenuto, a dispetto degli algoritmi reali esistenti, grazie al prevalere della politica digitale su quella reale. L'uso della tecnologia da parte dei potenziali elettori e dei cittadini ha tolto significato alle variabili utilizzate dai partiti tradizionali per valorizzare i loro algoritmi previsionali, impedendo loro di cogliere i nuovi fenomeni attrattivi emergenti e il ruolo giocato da coloro che li hanno colti per tempo e, in qualche caso, alimentati e favoriti.
Clamorosa è stata ad esempio l'assoluta inadeguatezza (insipienza narcisistica) di Renzi nel comprendere che le formule algoritmiche alle quali si era affidato erano vuote, superate e incapaci di garantirgli la conservazione del potere. L'uso persistente di strumenti tecnologici, in particolare di Twitter e Facebook, e il modo con cui Renzi e i suoi vi si sono cimentati, non hanno fatto altro che confermare questa inadeguatezza. Non si può infatti usare gli algoritmi dei media sociali nello stesso modo con cui si sono usati quelli non digitali e senza comprendere il ruolo giocato nella realtà dai nuovi linguaggi, dai protocolli del Web, dai motori di ricerca, dalle piattaforme e dagli algoritmi computazionali nel determinare l'opinione pubblica e le sue espressioni politiche.
La tecnologia riflette la visione del mondo
Se è vero quello che scriveva Neil Postman che "ogni tecnologia è circondata da istruzioni la cui organizzazione - per non dire la loro ragione d'essere - riflette la visione del mondo sostenuta da quella tecnologia...", gli algoritmi digitali che hanno contribuito all'affermazione di un movimento come i Cinque stelle ma anche alla demagogia della comunicazione leghista, non sono altro che l'espressione del tentativo di far emergere una nuova visione del mondo per trasformarlo. Non lo faranno in modo neutrale, questo è certo, ma neutrali non sono stati neppure gli algoritmi reali che negli ultimi trent'anni hanno completamente cambiato il mondo uscito fuori dallo spirito di rivolta della generazione del '68 e dei Baby Boomers a favore di oligarchie, politiche, finanziarie, ed economiche che hanno colonizzato le menti di miliardi di persone rendendole più povere, più precarie ma anche più complici e meno inclini a reagire e a ribellarsi (Il potere degli algoritmi: è tempo di ribellarsi?).
Di fronte al risultato elettorale, prodotto anche dalla potenza dei nuovi algoritmi digitali, è inutile esercitarsi nell'esprimere giudizi di valore. L'algoritmo digitale non è neutrale ma non può essere a priori definito come buono o cattivo. Semmai si tratta solo di attendere per valutarne un utilizzo stupido o intelligente, proprietario o pubblico, autoritario o democratico, libero o imposto e manipolatorio. L'attesa è però ciò che le forze politiche tradizionali non possono praticare, se vogliono comprendere velocemente ciò che è già successo ma soprattutto se vogliono provare a pianificare ciò che serve per contrastare i nuovi algoritmi e chi li usa.
I nuovi algoritmi dai quali usciranno probabilmente le nuove proposte di legge del governo penta-leghista non possono essere semplicemente etichettati come dannosi. Potrebbero essere infatti una benedizione per molti, ad esempio per gli esodati rimasti e i sessantenni che potranno andare in pensione prima, per chi riceverà un reddito di cittadinanza (annacquato probabilmente con l'inclusione attuale), per chi pensa che con minori migranti l'Italia sarà un paese più sicuro, ecc. ecc.
Tentativi di reazione in scenari complessi
Un modo per reagire agli algoritmi emergenti è di ridefinire quelli che oggi sembrano diventati obsoleti perché vuoti delle variabili che li avevano caratterizzati e perché piegati a interessi (costanti numeriche, flussi, protocolli, ecc.) di pochi privilegiati e delle caste alle quali essi appartengono. Rivalorizzare quelle variabili potrebbe servire a un ripensamento generale, anche dei nuovi algoritmi, con l'introduzione (valorizzazione non ambigua) di concetti vecchi ma di grande attualità come uguaglianza (nella distribuzione della ricchezza - Oligarchi e plebei. Diario di un conflitto globale), miglioramento economico (non più solo lavori precari e a tempo iper-determinato), dignità (nel senso dei diritti), libertà (allargata a tutti e non solo ai tutelati perché appartenenti a caste o comunità di privilegiati), opportunità (di lavoro, di carriera, di genere, di crescita sociale, ecc.)
Gli scenari emergenti descrivono tempi complessi ma interessanti e non necessariamente negativi. Comprenderli significa essere consapevoli che sono scenari matrioska, le cui diverse anime (bamboline) contengono altri problemi e nuove opportunità. Aprire le matrioske è un esercizio al quale sono chiamati soprattutto i partiti tradizionali e i loro rappresentanti, in particolare quelli ancora convinti della validità degli algoritmi che hanno loro permesso di perpetuare il loro potere fino al quattro di marzo. Per loro vale il suggerimento del teorico della complessità Mauro Cerruti "...l'insieme delle possibilità (algoritmiche - ndr) evolutive non è statico e predeterminato: l'universo del possibile si rigenera ricorrentemente in modo discontinuo e imprevedibile. La storia è anche storia naturale delle possibilità, una storia nella quale nuovi universi di possibilità si producono in coincidenza con le svolte, le discontinuità dei processi evolutivi...(e degli algoritmi - ndr)".
* La foto della testata è di Areej Mawasi