
Ci eravamo spersi io e mia moglie qualche settimana fa passeggiando in una campagna provenzale quando lei ha deciso di attivare il navigatore sullo smartphone, che in effetti ha rintracciato la strada del ritorno. Durante il tragitto intrapreso abbiamo commentato la presenza di un vitigno al nostro fianco. Il navigatore, avendo intercettato quella frase, ha immediatamente suggerito come arrivare a un posto chiamato “Il Vitigno”, suggerendo il percorso e precisando che sarebbero occorsi sei giorni e qualche ora di cammino. Un consiglio evidentemente ridicolo, ad onta della sua precisione e concretezza. Quel che impressionava non era certo il malinteso sulla richiesta, ma la normalità con cui proponeva di camminare una settimana.
Il perfezionamento dell’intelligenza artificiale passa attraverso il machine learning, ossia la capacità di una macchina di non limitarsi a eseguire quanto è preordinato nel software ma di apprendere progressivamente dalle correzioni che, anche inconsapevolmente, le trasmettiamo noi, oltre che da quelle che le trasmette l’ambiente. I tecno-ottimisti ritengono che in questo modo sarà presto ridotta, e forse annullata, la distanza che intercorre tra la mente umana e quella artificiale. I tecno-scettici sottolineano che alcune attitudini dell’intelligenza sono tipicamente sociali e che, in particolare per il linguaggio, sarà impossibile che la macchina colga le sfumature diverse che le medesime espressioni linguistiche ricollegano a contesti diversi.
La comicità si fonda proprio sull’alterazione impropria di un contesto. Bergson, al quale dobbiamo il testo tuttora più intrigante e intuitivo sulle caratteristiche del comico, ne vedeva il paradigma nell’irruzione del meccanico nel vivente. Il filosofo, che ancora non poteva immaginare l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, scriveva che non vi è comicità al di fuori dell’umano. Di un paesaggio diremo che è bello o brutto, e se di un animale diciamo che fa ridere è perché lo abbiamo scoperto in un atteggiamento umano.
In realtà, il cinema ci ha progressivamente abituato all’antropomorfizzazione degli animali, al punto che, l’effetto comico più irresistibile è quando l’animale, cui si sono fatte indossare le vesti umane, torna a comportarsi da animale. In uno dei film della serie di Shrek il Gatto con gli stivali bardato da moschettiere a un certo punto ci pare così assimilato al personaggio umano che ci strappa la risata quando inganna gli avversari facendo le fusa. Dell’animale che si finge umano, quindi, ridiamo, quando torna animale. La macchina non produce lo stesso effetto. Del computer più sofisticato, o del software che si materializza in un’app, non ci verrebbe mai da ridere quando torna a svolgere funzioni più meccaniche. E’ l’eccesso di umanità che a volte manifesta (l’arbitrio di umanità, potremmo dire: l’umanità usata a sproposito) a farcelo trovare ridicolo. Nella definizione di Bergson sembra imporsi, nel campo del comico, un’insuperabile alterità tra l’uomo e la macchina. L’uomo ci fa ridere se si distrae e si comporta al pari di una macchina (scivola buffamente o attacca malamente due parole che non c’entrano, come nei motti di cui si occupava Freud). La macchina che si comporta come uomo, per deduzione, attirerebbe il comico su di sé quando somiglia smaccatamente a un uomo, almeno quando fa o dice qualcosa che un uomo cosciente, dotato del senso del ridicolo, si sarebbe astenuto dal compiere o pronunciare. Se in campagna avessimo interpellato un contadino, con altrettanta cortesia ci avrebbe indicato la strada per “Il Vitigno” ma non il tempo necessario per percorrerla a piedi.
...completa la lettura dell'articolo sul WROG di Remo Bassetti...uno spazio in Rete da frequentare!