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Diritti violati e nuove schiavitù: ciò che non vogliamo vedere

Diritti violati e nuove schiavitù: ciò che non vogliamo vedere

29 Agosto 2016 Redazione SoloTablet
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Periodicamente riconquistano le prime pagine dei media le condizioni di lavoro a cui devono sottostare milioni di dipendenti delle maggiori fabbriche asiatiche che producono gadget tecnologici. La cronaca è fatta di immagini impressionanti, di diritti violati, di racconti di tentativi di rivolte continue e di suicidi. Queste notizie non sembrano turbare l’opinione pubblica e non portano i consumatori a modificare le loro preferenze e scelte di acquisto. Poco importa se un iPhone o latro dispositivo è costruito in schiavitù, ciò che conta è possederlo e mostrarlo.

Per un iPhone molte persone sono disposte a tutto, anche a far finta di non vedere i diritti violati dei lavoratori che li producono. Venuto meno l’impegno che ha caratterizzato le generazioni precedenti e con la vittoria del mercato e della globalizzazione, la realtà attuale sembra essere guidata esclusivamente dal profitto e dal consumo. Il boicottaggio, in nome dei valori e dei diritti, non è necessariamente la soluzione ma non lo è neppure il disinteresse diffuso che caratterizza molti comportamenti di acquisto dei consumatori che sembrano adattarsi in modo passivo agli ideali dominanti e a chi li alimenta.

Le cronache recenti hanno riportato nuovamente notizie di diritti violati in alcune fabbriche cinesi. Le denunce vengono da China Labot Wath, un organismo composto da attivisti che da tempo denunciano le condizioni di lavoro dei lavoratori impiegati in grandi complessi industriali cinesi dai quali escono i prodotti di Apple e di numeroso altri grandi marchi tecnologici globali.

In un rapporto recente China Labor Watch ha evidenziato come le continue richieste di abbattimento dei costi di produzione da parte di Apple abbiano portato ad un peggioramento delle condizioni lavorative dei dipendenti di Pegatron, l’azienda che con Foxconn si divide la produzione di iPhone in Cina. Apple non può ritenersi responsabile di quanto avviene in queste aziende e spesso è anche impotente nel poter intervenire. La sua richiesta di ridurre i costi, legata alla volontà di mantenere elevati e costanti i suoi profitti, determina però interventi delle aziende produttrici che portano a riduzioni del salario e al peggioramento delle condizioni lavorative dei loro dipendenti.

L’opinione pubblica è chiamata all’indignazione da campagne di stampa o semplici servizi giornalistici che a scadenze periodiche riportano lo scandalo delle fabbriche cinesi in prima pagina. E’ però sempre una indignazione passeggera che si limita al tempo dedicato alla lettura dell’articolo o del semplice titolo. Pochi sembrano avere interesse ad interrogarsi e a capire quali siano le condizioni di vita di persone che sono praticamente ridotte in schiavitù per soddisfare i bisogni di un mercato, spesso ricco e occidentale, che non può fare a meno del gadget tecnologico più aggiornato. Il mancato interesse è legato alla condizione di passività che caratterizza ormai i comportamenti di molti consumatori che rinunciano ad agire, facendo scelte diverse, pur di non interrompere il loro rapporto con un marchio o una Marca.

La precarietà che dall’Asia si è riversata come condizione di lavoro anche in occidente e in Italia dovrebbe far riflettere ma in realtà lascia indifferenti. Per uscire da questa condizione potrebbe servire la lettura del rapporto di China Labor Watch e delle notizie in esso riportate relative all’uso di straordinari forzati, di stipendi da fame, di condizioni di lavoro disumane, anche per stagisti e neo-assunti e di violazioni delle leggi.

La lettura permetterebbe di scoprire cosa succede all’interno di un’azienda come Pegatron che continua a ridurre i salari dei lavoratori nonostante in Cina lo stipendio medio sia in costante salita, taglia l’assistenza e le indennità assicurative per ridurre i costi di produzione, impone orari di lavoro e straordinari forzati (senza di essi molti lavoratori non vivrebbero tanto sono bassi i loro salari)  illegali persino in Cina e aumenta i sistemi di controllo dei lavoratori mentre non si cura dei rischi associati alle condizioni di lavoro e che portano a continui incidenti e infortuni.

Apple ha reagito alla pubblicazione del nuovo rapporto di China Labor Watch ammettendo di essere a conoscenza del fenomeno degli straordinari ma negando che il fenomeno sia così esteso come è stato riportato. Non ha comunque fornito alcuna risposta all’appello che viene dagli attivisti di China Labor Watch affinchè intervenga per migliorare la qualità della vita dei lavoratori. L’assenza di una reazione da parte di Apple non meraviglia ma dovrebbe convincere molti consumatori a riflettere ogni qualvolta decide di acquistare un suo prodotto.  Il suo modello di business costruito sulla massimizzazione del profitto ha trasformato Apple nell’azienda più capitalizzata e ricca del mondo ma ha probabilmente anche contribuito al diffondersi di forme di schiavitù lavorative come quelle descritte nel rapporto di China Labor Watch.

Più colpevoli di Apple sono però i consumatori che sembrano avere rinunciato a qualsiasi forma di riflessione critica sui loro gesti e comportamenti e che si dimostrano incapaci di gesti sovversivi e controtendenza. Interessati ai legami del muro delle facce questi consumatori sembrano avere dimenticato i legami umani che ci dovrebbero legare a persone lontane che sono probabilmente private anche del tempo per stare su Facebook. Avendo dimenticato l’umanità è come se si fossero addormentati. I pochi che vegliano sanno di appartenere a una collettività e agiscono di conseguenza, anche con nuove scelte di acquisto, gli altri continuano a dormire, a farsi condizionare nelle loro scelte di consumo e a comportarsi come se non lo sapessero. Sordi alle violazioni dei diritti altrui non si accorgono così della perdita di diritti a cui loro stessi stanno andando incontro.

 

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