
La disoccupazione non è una invenzione dei media. In questi anni di crisi, data di inizio collocabile nel 2007/2008, la disoccupazione è diventata una realtà concreta che interessa tutte le economie del mondo, almeno nelle condizioni e cause che la rendono tale. Le percentuali possono variare ma la tendenza emergente è a un non ritorno alle condizioni pre-crisi. E’ come se si stessero vivendo situazioni completamente nuove, determinate dalla crisi del modello capitalistico ma anche dall’enorme progresso tecnologico.
Per uscire dalla crisi l’economia deve tornare a produrre posti di lavoro, almeno in numero tale da sostituire quelli che vanno perduti. La crisi attuale condiziona l’osservazione del presente così come le previsioni del futuro. Prevedere un calo della disoccupazione è oggi molto difficile. Lo è ancor più calcolare il ruolo che la tecnologia ha nel mantenerla elevata.
Per molti e due cose non sono collegate e l’economia, quando ripartirà, sarà in grado di produrre un numero crescente di posti di lavoro e di assorbire anche quelli distrutti o assorbiti da robot, macchine intelligenti e processi di automazione. Per altri ciò non avverrà e le macchine continueranno a distruggere posti di lavoro, alimentando nuova disoccupazione.
Le due visioni che si contrappongono verranno verificate solo in un prossimo futuro, neanche troppo lontano ma difficilmente determineranno una visione vincente su un’altra. Più probabile che la verità stia nel mezzo, declinabile in una terza visione che vede il futuro del lavoro fatto di grandi trasformazioni che, più che cancellare posti di lavoro, obbligheranno a ripensare la natura stessa del lavoro, a riorganizzarlo e reinventarlo.
Nulla di nuovo se si guarda al passato, in particolare alle trasformazioni indotte dalla Rivoluzione Industriale. Trasformazioni che hanno cambiato la manifattura, i trasporti e la distribuzione ma anche fatto aumentare i salari e creato maggiore benessere per tutti (quasi tutti).
Non tutti concordano sugli effetti positivi della Rivoluzione Industriale o sul fatto che tutti ne abbiano tratto vantaggio. In particolare le classi proletarie e operaie hanno tratto scarsi vantaggi e in alcuni casi hanno visto deteriore le condizioni delle loro vite.
La Rivoluzione delle Macchine attuali è paragonabile a quella Industriale per profondità e capacità trasformativa, avviene in scenari e contesti molto cambiati e vede protagonisti umani che hanno acquisito maggiori capacità di adattamento rispetto ai loro antenati. Tradotto nella concretezza ciò significa che gli essere umani attuali hanno maturato nuove abilità di combinare le loro competenze e abilità e i loro skil a quelli delle macchine per adattarsi alla rivoluzione tecnologica e digitale in atto.
A questa conclusione sono arrivati Andrew McAfee e Erik Brynjolfsson, i due autori del libro, pubblicato in Italia da Feltrinelli, La nuova rivoluzione delle macchine. La tesi del libro è che la tecnologia non è necessariamente destinata alla distruzione di posti di lavoro ma responsabile di una transizione che trasformerà la natura stessa del lavoro.
Se così fosse il futuro, crisi permettendo, dovrebbe essere ricco di opportunità. Peccato che lo scenario dominante è quello della precarizzazione del lavoro. Un primo risultato è che le persone che perdono il lavoro, anche per una scelta di automazione o robotizzazione, non sono necessariamente e stesse che troveranno un nuovo lavoro. Ogni transizione richiede tempo e durante quel tempo molti saranno chiamati ad affrontare sfide dolorose e periodi, più o meno lunghi, di assenza di lavoro. Inoltre le machine contribuiranno ad abbassare ancor più stipendi e salari rendendo sempre più complicata la vita di un numero crescente di persone e forse mettendo a rischio la stessa ripresa dell’economia. I fortunati saranno coloro che non si renderanno al potere delle macchine e, accettandone la sfida, svilupperanno nuove forme creative di abilità e, una su tutte, quella di trasformarsi insieme alla tecnologia.