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Coronavirus e conversazioni online

Coronavirus e conversazioni online

15 Ottobre 2020 Redazione SoloTablet
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Il primo a parlare dei dispositivi mobili come strumenti di scrittura e dosumentazione è stato il filosofo Maurizio Ferraris. Poi qualcuno ha anche coniato l’hashtag #nonchiamatelitelefonini. Una scelta azzeccata, anche nella fase corrente del contagio che ha confinato milioni di persone dentro le loro case, collegate al mondo prevalentemente tramite un dispositivo tecnologico.

Lo smartphone è servito per rimanere connessi e collegati ad amici, colleghi, compagni di classe ma, in base alle numerose indagini condotte sul comportamento degli utenti online, non è stato usato come telefono e neppure per navigare. E’ stato usato prevalentemente per messaggiare, chattare, videochiamarsi. In generale anzi l’utilizzo dello smartphone ha subito una flessione a favore di altre è piattaforme più consone alle video-chiamate, alle conferenze online, a video-giocare. 

Il coronavirus ha confermato la dipendenza digitale ma di essa ne ha evidenziato un cambiamento. Il distanziamento sociale ha favorito la vita sullo schermo aumentando la dipendenza dai mondi virtuali per connettersi, comunicare, lavorare e giocare. Ma a prevalere sono stati utilizzi mirati, finalizzati a rendere il distanziamento meno doloroso, noioso e insopportabile. E’ cresciuto l’uso delle piattaforme di social networking, di Instagram Live, di Messenger di Facebook e WhatsApp. 

L’uso diverso delle piattaforme tecnologiche ha evidenziato la necessità di rimanere connessi ma anche la difficoltà a disintossicarsi, ad esempio traendo vantaggio dal tempo libero offerto dal confinamento per fare altro, ad esempio leggere libri (molti lo hanno fatto come testimonia l’aumento di vendite di libri). La disintossicazione è resa difficile anche dalle azioni messe in campo dalle piattaforme tecnologiche per tenere le persone ad esse collegate e da esse dipendenti. Logica, interfacce, funzionalità di queste piattaforme sono pensate per tenere tutti connesso ma non basta. In azione ci sono anche azioni mirate, marketing e comunicazionali, implementate con tecniche di persuasione e motivazionali pensate per tenere tutti dentro i loro acquari virtuali, per catturare la loro attenzione, alimentare la bulimia digitale, attivando meccanismi di personalizzazione per soddisfare bisogni specifici e soprattutto per impedirci di trovare distrazioni diverse o altrove. 

Il confinamento non sembra avere aiutato la disintossicazione digitale, anzi ha suggerito di mantenere sempre attiva la connessione con dispositivi sempre ben carichi. Comportamenti che hanno probabilmente fatto aumentare forme emozionali di dipendenza, dando loro le motivazioni forti per giustificarla. Con effetti probabilmente negativi. Ad esempio la fuga dalla realtà, sostituita dai mondi virtuali frequentati online. 

La dipendenza ha avuto effetti su tutte le categorie di persone ma in particolare su quelle più giovani, più legate di altre categorie all’uso delle piattaforme social per comunicare, relazionarsi e socializzare. La tecnologia regale numerosi benefici e soluzioni ma quando se ne abusa può diventare un problema. E forse per molti, in questo periodo di contagio che sembra non avere fine, lo è diventata.

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