
Chi ha partecipato almeno una volta ad un convegno o a una conferenza avrà sicuramente assistito a persone che, sedute in platea, passano il loro tempo inpegnatissime a scrivere e a battere su tastiere di dispositivi di varie fogge, mentre potrebbero semplicemente rilassarsi, concentrarsi, ascoltare e lasciare lavorare il loro cervello in modo autonomo e technology-free.
Chi viaggia conosce molto bene l’abitudine diffusa di riprendere ogni cosa nuova con un dispositivo tecnologico perdendo spesso l’umanità di uno sguardo, il calore di un’emozione sensoriale e visiva e il contatto diretto che potrebbe trasformare una esperienza da semplice scatto a videogramma a memoria cognitiva e ricordi pre-scatto.
Infine chi partecipa attivamente alla comunicazione sociale online sa quante volte ci si possa pentire per messaggi, risposte o reazioni impulsive che trovano facile destinazione grazie alla rapidità con cui è possibile interagire attraverso dispositivi sempre connessi.
Tre semplici osservazioni che i patiti della tecnologia possono trovare inaccurate tanto sono convinti di poter ascoltare anche se connessi, di poter vivere esperienze emozionalmente importanti anche se artificialmente condizionate da un gadget tecnologico e di comunicare efficacemente grazie ai nuovi potenti strumenti tecnologici. Per loro si può andare a pranzo con il tablet o il laptop operativo, a letto con lo schermo acceso e fissato sulla pagina Facebook, al concerto con il tablet aperto e con l’auricolare dello smartphone nell’orecchio e al bar con gli amici condividendo una comunicazione solipsistica fatta di messaggini wahtsapp e cinguettii che vanno verso l’esterno più che interessare i membri della compagnia serale del momento, come se la realtà fosse sempre altrove e oltre qualcosa, basta che sia virtuale e non immersa nella realtà della realtà.
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Il potere della tecnologia è oggi nella sua capacità di dare forma alle cose che facciamo. Invece di essere noi a decidere se e quando usare le tecnologie digitali, sono esse a determinare, in modo positivo e/o negativo le nostre vite personali e lavorative in modi difficilmente prevedibili e sempre meno interrompibili. Anche il senso di astinenza non è altro che uno dei modi con cui la tecnologia ci ha soggiogato e reso dipendenti.
Se ciò viene vissuto come un problema, per alcuni la soluzione è molto semplice, basta spegnere tutto lo spegnibile, disconnettersi e lasciare andare la propria mente al rilassamento cognitivo di cui ha probabilmente perso conoscenza e esperienza. In realtà in problema non è esattamente questo. Non ci dovrebbe essere nessuna scelta radicale da compiere così come la soluzione non sta nell’adottare un approccio da eremita tecnofobo. Si dovrebbe potere trovare un bilanciamento adeguato a beneficiare dei vantaggi e delle opportunità della tecnologia e a ritrovare la calma, il silenzio neuronale, la capacità riflessiva e meditativa di un cervello non connesso a nulla tranne che a sé stesso, alle sue rappresentazioni cognitive e ai suoi vari livelli di coscienza.
Prima di provare il distacco e di ricercare il silenzio da assenza di rumori prodotti tecnologicamente, conviene fare dei tentativi brevi, intermittenti e non violenti con l’obiettivo di cogliere le reazioni e le differenze che possono essere intangibili, sottili e complesse da rilevare e gustare. Fare dei tentativi è semplice e può funzionare come una specie di auto-allenamento finalizzato a procurare benessere mentale e psicologico prima ancora che fisiologico e fisico.
I tentativi da fare prevedono di dimenticare lo smartphone a casa e di non tornare a prenderlo (quanti riprendono l’ascensore per farlo?), di andare ad un pranzo di lavoro abbandonando il laptop in ufficio, a lasciare smartphone, tablet e laptop disattivati durante un viaggio in aereo, sostituiti da un libro o da una sana conversazione con il vicino o la vicina di posto, di spegnere ogni dispositivo quando si interagisce con i propri figli a casa. Se si supera la tensione e l’ansia che questi gesti procurano significa che il coaching auto-gestito funziona e si è pronti a prove più impegnative e meno aneddotiche.
Più che la scelta radicale, in bianco e nero, di spegnere o rimanere connessi, ciò che serve è la capacità a comprendere e a sperimentare la tecnologia con responsabilità personale, grande buon senso e in base a bisogni reali.
Che poi si riesca a farlo, questa è tutta un’altra storia!